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Distanza dalle vedute: terrapieno e demolizione

Una società cooperativa realizza un terrapieno a meno di tre metri dalle finestre dei vicini, limitandone la visuale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8283/2024, ha stabilito che un terrapieno artificiale è a tutti gli effetti una “costruzione” e che la violazione della distanza dalle vedute, tutelata come diritto reale assoluto, impone la rimozione dell’opera (rimessione in pristino) e non un semplice risarcimento.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Distanza dalle vedute: La Cassazione conferma che un terrapieno è una costruzione e va rimosso

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto immobiliare: la distanza dalle vedute. Il caso analizzato chiarisce due punti fondamentali: primo, un terrapieno artificiale va considerato una “costruzione” a tutti gli effetti; secondo, la sua realizzazione in violazione delle distanze legali impone la completa rimozione dell’opera. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa: Un Terrapieno Troppo Vicino

La controversia nasce quando una società cooperativa decide di innalzare il livello del proprio terreno, creando un terrapieno a meno di tre metri di distanza dalle finestre di due proprietà confinanti. Le proprietarie, vedendo leso il loro diritto di veduta, si rivolgono al Tribunale, che ordina l’arretramento del terrapieno.

La decisione viene confermata in Appello. La Corte territoriale respinge le argomentazioni della cooperativa, la quale sosteneva che un terrapieno non fosse una “costruzione” e che, in ogni caso, la violazione non giustificasse un ordine di demolizione, ma al massimo un rimedio meno drastico.

Il Ricorso in Cassazione e la Violazione della distanza dalle vedute

La società cooperativa non si arrende e porta il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su due motivi principali. In primo luogo, ribadisce che un’opera come un terrapieno non rientra nella nozione di “costruzione” ai sensi dell’art. 907 del Codice Civile, che impone una distanza di tre metri dalle vedute. In secondo luogo, e questo è il punto giuridicamente più rilevante, sostiene che la “rimessione in pristino stato” (cioè la demolizione o rimozione) sia un rimedio previsto dall’art. 872 c.c. solo per la violazione delle norme sulle distanze tra costruzioni (Sezione VI del Codice), e non per quelle a tutela delle vedute (Sezione VII). Poiché le vicine avevano lamentato solo la violazione del loro diritto di veduta, secondo la ricorrente, non si sarebbe potuto ordinare l’arretramento.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti definitivi sulla questione.

Innanzitutto, i giudici hanno confermato un principio ormai consolidato: la sopraelevazione di un fondo mediante un terrapieno artificiale costituisce a tutti gli effetti una “costruzione”. L’obbligo di mantenere una distanza dalle vedute di almeno tre metri, previsto dall’art. 907 c.c., ha natura assoluta e non ammette deroghe o valutazioni sull’effettiva entità del pregiudizio alla visuale.

Il cuore della decisione, però, risiede nella confutazione del secondo motivo di ricorso. La Corte ha spiegato che la distinzione tra norme “integrative” del codice (la cui violazione consente la demolizione) e norme che danno diritto solo al risarcimento del danno riguarda esclusivamente la disciplina sulle distanze tra costruzioni (artt. 873 e segg. c.c.). Lo scopo di queste norme è di salute pubblica, ovvero evitare la creazione di intercapedini insalubri.

Il diritto di veduta, invece, ha una natura giuridica e una finalità completamente diverse. Si tratta di un diritto reale assoluto, la cui tutela non può che consistere nel ripristino della situazione precedente alla violazione. Pertanto, quando una costruzione viola la distanza dalle vedute, l’unico rimedio efficace per ripristinare il diritto leso è la “rimessione in pristino stato”, ovvero la rimozione dell’opera illegittima. Non è possibile accontentarsi di un semplice risarcimento del danno, perché il diritto stesso verrebbe svuotato del suo contenuto.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce con forza un principio fondamentale a tutela della proprietà e dei rapporti di vicinato. Chiunque intenda edificare o modificare il proprio terreno deve prestare la massima attenzione alla presenza di vedute nelle proprietà confinanti. Qualsiasi opera stabile che si innalzi dal suolo, inclusi muri di contenimento e terrapieni, deve rispettare la distanza minima di tre metri. La violazione di questa norma non è sanabile con un indennizzo economico, ma comporta il dovere di rimuovere quanto costruito, ripristinando integralmente il diritto di veduta del vicino.

Un terrapieno artificiale è considerato una “costruzione” ai fini delle distanze legali?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la sopraelevazione di un fondo mediante la messa in opera di un terrapieno artificiale costituisce a tutti gli effetti una “costruzione” ai fini del rispetto delle norme sulla distanza dalle vedute.

Cosa succede se una nuova costruzione viola la distanza di tre metri da una veduta esistente?
La violazione del diritto di veduta, trattandosi di un diritto reale assoluto, comporta l’obbligo di ripristinare la situazione legale preesistente. L’unico rimedio possibile è la cosiddetta “rimessione in pristino stato”, che si traduce nella rimozione o arretramento dell’opera per rispettare la distanza legale.

La demolizione è sempre ammessa per la violazione delle norme sulle distanze?
No. La Corte chiarisce che la distinzione tra norme la cui violazione consente la demolizione e quelle che non la consentono riguarda la disciplina delle distanze tra costruzioni (art. 873 c.c.), non quella a tutela delle vedute (art. 907 c.c.). La protezione del diritto di veduta, per sua natura, impone sempre il ripristino completo della situazione precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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