Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26991 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26991 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30671-2020 proposto da:
NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio legale Abbamonte, rappresentati e difesi dall’ avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1654/2020 della CORTE DI APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/05/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 3.12.2005 NOME Franco evocava in giudizio NOME NOME e NOME NOME innanzi il Tribunale di Nola, invocando l’accertamento della realizzazione, da parte dei convenuti, di una struttura (costituita da una tettoia munita di tegole) in violazione delle distanze e la loro condanna alla rimozione della stessa ed al risarcimento del danno. L’attore allegava in particolare di essere titolare di due vedute dirette, laterali ed oblique, dal proprio immobile sul sottostante terrazzo dei convenuti, che sarebbero state pregiudicate dall’erezione della tettoia oggetto di causa sul detto terrazzo.
Nella resistenza dei convenuti, che in via riconvenzionale invocavano l’accertamento della natura illecita delle vedute esercitate dall’attore e ne chiedevano la chiusura, il Tribunale, con sentenza n. 964/2014, accoglieva in parte la domanda, ordinando ai convenuti l’arretramento della tettoia in coerenza con quanto indicato dal C.T.U. e condannandoli al risarcimento del danno; rigettava invece la domanda riconvenzionale.
Con la sentenza impugnata, n. 1654/2020, la Corte di Appello di Napoli accoglieva il gravame proposto dal COGNOME avverso la decisione di prime cure, riformandola ed ordinando l’integrale demolizione del manufatto oggetto della domanda, fino al rispetto della distanza di tre metri, di cui all’art. 907 c.c., calcolata secondo il criterio radiale. La Corte distrettuale osservava che il Tribunale aveva erroneamente applicato al caso di specie la norma di cui all’art. 112 del regolamento
edilizio comunale, secondo cui non vanno considerati, ai fini del calcolo della distanza dal confine, gli sporti ornamentali e decorativi che non costituiscono superficie coperta, fino ad un aggetto di due metri dall’edificio, ordinando la rimozione della struttura controversa soltanto sino al rispetto della detta prescrizione, senza considerare che, vertendosi in tema di rapporti tra proprietari di immobili confinanti, la disposizione suindicata non poteva essere applicata, dovendosi invece fare riferimento all’art. 907 c.c., che vieta la costruzione di manufatti a distanza inferiore di tre metri dalle vedute del vicino.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione NOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a sette motivi.
Resiste con controricorso COGNOME COGNOME.
Il ricorso è stato chiamato una prima volta all’adunanza camerale del 20.3.2025, in prossimità della quale ambo le parti hanno depositato memoria, e rinviato a nuovo ruolo per impedimento del relatore.
Il ricorso è stato quindi nuovamente fissato all’odierna adunanza camerale, in prossimità della quale la sola parte controricorrente ha depositato ulteriore memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare che le domande di accertamento della natura illegittima della tettoia e di condanna alla sua demolizione sarebbero state introdotte soltanto in secondo grado, e costituirebbero dunque domande nuove.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per mancato rilievo, da parte del giudice di appello, della proposizione di domande nuove.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
Sin dal primo scritto difensivo, il COGNOME aveva invocato l’accertamento della natura illegittima della tettoia oggetto di causa perché lesiva del suo diritto di veduta. Non sussiste quindi alcun profilo di novità della domanda, che lo stesso aveva coltivato in seconde cure, avendo il primo giudice, sulla scorta dell’erronea applicazione alla fattispecie della norma di cui all’art. 112 del regolamento edilizio comunale, in luogo di quella di cui all’art. 907 c.c., solo parzialmente accolto la pretesa dell’originario attore, il quale per tale motivo aveva interposto appello avverso la decisione del Tribunale.
Lo stesso raffronto tra il contenuto dell’atto di citazione in prime cure e dell’atto di appello, operato dai ricorrenti a pag. 5 del ricorso, evidenzia che, al di là dell’utilizzazione di espressioni parzialmente diverse, il petitum era il medesimo, come pure il medesimo era il bene della vita del quale il Florio aveva invocato protezione.
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono dell’omessa e insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per mancata o erronea valutazione di un fatto decisivo, rappresentato dalla circostanza che, mentre in prime cure il COGNOME aveva proposto una domanda di lesione della servitù di veduta, in relazione alla tettoia realizzata dagli odierni ricorrenti, lo stesso aveva invece, in secondo grado, invocato la medesima lesione con riferimento alla pensilina che era risultata dalla riduzione dell’originario manufatto.
La doglianza è inammissibile nella parte in cui lamenta l’insufficienza della motivazione, vizio che è stato espunto dal novero di quelli denunziabili in sede di legittimità per effetto della novella del 2012.
Nel resto, anche questa doglianza, come le prime due, è infondata.
La domanda, infatti, non è stata modificata in secondo grado, avendo il Florio sostenuto, con i motivi di appello, che la riduzione del manufatto ordinata dal Tribunale non fosse sufficiente per assicurare il rispetto della distanza di cui all’art. 907 c.c. Peraltro, va ribadito che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto’ non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che l’utilizzazione da loro fatta della facciata condominiale, sulla quale era infisso il manufatto da loro realizzato, rientrerebbe nell’ambito delle facoltà di utilizzazione del bene comune consentite dalla legge.
Con il quinto motivo, infine, viene contestata l’omessa e insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per mancata ed erronea considerazione del fatto che l’appoggio
del manufatto sulla facciata condominiale non aveva pregiudicato in alcun modo la stessa.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili, in quanto non si confrontano con la ratio della decisione, rappresentata non già dall’utilizzazione del bene condominiale, ma dalla riscontrata lesione del diritto di veduta del Florio. Il profilo della liceità, o meno, dell’uso della cosa comune, dunque, non costituisce il fondamento della decisione impugnata e non viene esaminato dalla Corte distrettuale, se non per affermare, incidenter tantum , che la realizzazione, mediante la tettoia / pensilina di cui è causa, di un piano di calpestio posto a 25 cm. dalla finestra del bagno del Florio aveva agevolato un tentativo di intrusione nella proprietà di quest’ultimo e dunque non poteva ritenersi conforme al disposto dell’art. 1102 c.c., essendo stata evidentemente alterata la conformazione del bene comune.
Il quinto motivo è inoltre inammissibile nella parte in cui con esso si denunzia il vizio di insufficienza della motivazione, estraneo, sin dal 2012, al novero di quelli indicati dall’art. 360 c.p.c.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.600, di cui € 200 per
esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 16 settembre 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME