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Distanza dal confine: l’errore sulla zona urbanistica

Una disputa sulla corretta distanza dal confine tra due proprietà viene risolta dalla Corte di Cassazione. La Corte ha annullato la decisione di merito che, basandosi su una perizia tecnica errata, aveva applicato le norme per le zone rurali a un immobile sito in zona urbana. La sentenza sottolinea la prevalenza dei documenti urbanistici ufficiali (concessioni edilizie, certificati) sulla consulenza tecnica per stabilire la normativa applicabile in materia di distanze.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Distanza dal confine: decisiva la zona urbanistica, non la CTU errata

Determinare la corretta distanza dal confine è uno dei temi più ricorrenti e spinosi nel diritto immobiliare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per stabilire quale normativa applicare, è essenziale la corretta classificazione urbanistica dell’immobile, basata su documenti ufficiali, che prevale anche su eventuali errori contenuti in una consulenza tecnica d’ufficio (CTU).

I Fatti di Causa

La vicenda legale ha origine nel 2004 da una controversia tra due proprietari confinanti. La prima proprietaria citava in giudizio la vicina, lamentando la costruzione di manufatti a una distanza non regolamentare dai confini e dai propri fabbricati. Chiedeva quindi la demolizione o l’arretramento di tali opere, oltre al risarcimento dei danni.

La vicina, a sua volta, si difendeva sostenendo di aver acquisito per usucapione il diritto a mantenere le costruzioni a distanza illegale, avendole realizzate da oltre vent’anni. Inoltre, presentava una domanda riconvenzionale, chiedendo la demolizione di due manufatti della prima proprietaria, anch’essi a suo dire non conformi.

Il Tribunale di primo grado rigettava le domande della prima proprietaria ma accoglieva parzialmente quelle della seconda, ordinando la demolizione di un manufatto in lamiera fino al ripristino della distanza legale di tre metri dal confine, come previsto dal regolamento comunale del 1965 per la ‘zona rurale’.

La Decisione della Corte d’Appello

La prima proprietaria impugnava la sentenza. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione, riteneva che il manufatto della vicina (un garage) ricadesse anch’esso in zona rurale e che quindi dovesse rispettare la distanza minima di tre metri dal confine, condannandola alla demolizione o all’arretramento. La Corte basava la sua decisione sulle risultanze della CTU, che aveva classificato l’area come rurale.

Contro questa sentenza, la seconda proprietaria proponeva ricorso in Cassazione, lamentando un errore fondamentale: la Corte d’Appello non aveva considerato i documenti ufficiali che provavano come il suo garage fosse in realtà situato in ‘zona urbana’ e non rurale. In tale zona, il regolamento edilizio comunale non imponeva una distanza minima dal confine, ma solo un intervallo di sei metri tra fabbricati, condizione che era già stata accertata come rispettata in primo grado.

Le Motivazioni della Cassazione sulla distanza dal confine

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse commesso un errore nel sussumere la fattispecie nella normativa applicabile. Si era infatti ‘accodata alla svista del CTU’, senza esaminare i documenti decisivi prodotti dalla ricorrente: la concessione edilizia, la concessione in sanatoria e il certificato di destinazione urbanistica.

Questi atti ufficiali dimostravano in modo inequivocabile che il garage in questione ricadeva in ‘zona urbana, sottozona B2’. Di conseguenza, la norma da applicare non era quella dell’art. 23 del regolamento edilizio (che prescrive tre metri dal confine per le zone rurali), ma quella dell’art. 10 dello stesso regolamento. Quest’ultimo, per la zona urbana, si limitava a rinviare alla legge nazionale che prevedeva un intervallo di sei metri tra fabbricati, senza alcuna prescrizione sulla distanza dal confine.

L’omesso esame di questi fatti documentali, che erano decisivi per la risoluzione della controversia, ha viziato la sentenza d’appello. La Cassazione ha quindi stabilito che il giudice di merito avrebbe dovuto verificare la normativa applicabile sulla base della corretta classificazione urbanistica e non sulla base di una errata valutazione del consulente tecnico.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame. Questa decisione riafferma un principio cruciale: i documenti che certificano la natura urbanistica di un’area hanno un’efficacia probatoria superiore rispetto a una consulenza tecnica. Per chi affronta una causa sulle distanze, ciò significa che la strategia difensiva deve basarsi primariamente sulla produzione di atti amministrativi ufficiali (concessioni, certificati urbanistici) in grado di attestare la corretta classificazione del proprio immobile, elemento dirimente per individuare la normativa applicabile e, in definitiva, per vincere la causa.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza perché la Corte d’Appello ha erroneamente applicato le norme sulla distanza dal confine previste per le zone rurali a un immobile che, secondo i documenti ufficiali, si trovava in zona urbana, dove vigevano regole diverse.

Un giudice può ignorare le conclusioni di una perizia tecnica (CTU)?
Sì, un giudice non è vincolato alle conclusioni del consulente tecnico. In questo caso, la Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello avrebbe dovuto basare la sua decisione sui documenti probanti (concessioni edilizie, certificato di destinazione urbanistica) che contraddicevano la CTU, anziché seguirne l’errore.

Qual è la differenza pratica tra la normativa per la zona rurale e quella per la zona urbana nel caso esaminato?
Nel caso specifico, per la zona rurale il regolamento comunale imponeva una distanza minima di tre metri dal confine. Per la zona urbana, invece, lo stesso regolamento non prevedeva una distanza minima dal confine, ma solo un intervallo di sei metri tra i fabbricati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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