Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26993 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26993 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25000-2020 proposto da:
NOME e NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’ avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 781/2019 della CORTE DI APPELLO di BRESCIA, depositata il 17/05/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 18.9.1986 COGNOME evocava in giudizio COGNOME e COGNOME innanzi il Tribunale di Bergamo, invocando la condanna dei convenuti a ripristinare un fosso di scolo delle acque esistente a confine tra i fondi delle parti e l’originaria quota del terreno, da loro alterata in prossimità del confine, il ripristino della recinzione metallica da essi danneggiata e l’eliminazione dei rottami relitti in prossimità del muro di confine tra i fondi.
Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda e chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’attrice a rimuovere i manufatti con i quali aveva occupato il fosse posto a confine tra le proprietà, arretrandoli sino al rispetto delle norme in tema di distanze, a cessare l’attività insalubre di allevamento e macellazione di suini dalla stessa esercitata in detti manufatti e a chiudere le vedute aperte sul fondo vicino.
Con sentenza n. 201/2005 il Tribunale rigettava tutte le domande, ritenendo, quanto a quella principale, che il riempimento del fosso e l’innalzamento del terreno in prossimità del confine, pur accertati, non fossero addebitabili con certezza al fatto dei convenuti; che il danneggiamento della recinzione metallica non fosse stato rilevato dal C.T.U.; che l’appoggio di materiali lungo il muro di confine fosse solo temporaneo. Quanto invece alla domanda riconvenzionale, il Tribunale osservava che le aperture esistenti sul capannone dell’attrice adibito ad allevamento di suini non fossero irregolari, che i manufatti contestati
dai convenuti erano stati ristrutturati in coerenza con concessione edilizia n. 3547 del 30.1.1982 e che non fosse stata conseguita la prova di immissioni intollerabili, a carico del fondo dei convenuti, imputabili all’attività di allevamento di suini esercitata dalla COGNOME.
Con sentenza n. 1140/2009 la Corte di Appello di Brescia accoglieva in parte il gravame principale interposto dagli originari convenuti avverso la decisione di prime cure, condannando COGNOME NOME e NOME, eredi di COGNOME NOME, ad arretrare il loro manufatto sino al rispetto della distanza di 10 metri dal confine. Accoglieva anche l’appello incidentale spiegato da questi ultimi, condannando il COGNOME e la Belli ad eseguire la manutenzione del fosso di scolo esistente a confine tra le due proprietà. Rigettava invece tutte le rimanenti censure proposte dalle parti avverso la decisione di prima istanza.
Con sentenza n. 20353/2017, la Corte di Cassazione cassava la decisione di seconde cure, poiché la Corte distrettuale aveva applicato la distanza di 10 metri dal confine, in luogo di quella, inferiore, di 5 metri prevista dalle norme regolamentari locali.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 781/2019, la Corte di Appello di Brescia, in sede di rinvio, ordinava a NOME e NOME di arretrare il loro manufatto sino al rispetto della minor distanza di 5 metri dal confine.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME e NOMECOGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resistono con controricorso COGNOME e COGNOME NOME.
Il ricorso è stato chiamato una prima volta all’adunanza camerale del 20.3.2025, in prossimità della quale ambo le parti hanno depositato memoria ed il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto, e rinviato a nuovo ruolo per impedimento del relatore.
Il ricorso è stato quindi nuovamente fissato all’odierna adunanza camerale, in prossimità della quale ambo le parti hanno depositato ulteriore memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 113, 115, 191, 194, 213 e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto chiedere di acquisire il testo integrale delle norme del regolamento locale del Comune di Costa Volpino, affidando la propria decisione a meri estratti depositati dalle parti. In tal modo, il giudice di merito avrebbe violato il principio iura novit curia , decidendo non già in base alla normativa effettivamente applicabile, bensì alla rappresentazione che del contenuto della stessa gli avevano offerto le parti.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano invece la violazione dell’art. 12 delle Preleggi e dell’art. 8.7. del piano delle regole del Piano Generale Territoriale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe omesso di considerare che la normativa locale, oltre a consentire l’edificazione a distanza di 5 metri dal confine, prevedeva espressamente anche la possibilità di costruire a distanza inferiore, o in aderenza.
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 324 c.p.c., 2909, 897 c.c. ed 8.7. del piano delle regole del Piano Generale Territoriale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente interpretato la norma del regolamento locale ritenendo che la possibilità di costruire in deroga al distacco minimo di 5 metri dal confine fosse prevista per il solo caso di costruzione in aderenza. Ad avviso dei ricorrenti, la formulazione letterale della norma non lasciava dubbi, invece, sulla
possibilità di costruire a distanza inferiore a 5 metri dal confine, indipendentemente dall’aderenza a precedente fabbricato.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
In relazione al primo motivo, va evidenziato che se da un lato il giudice di merito non può ignorare, nella sua decisione, le disposizioni dei regolamenti locali, aventi valenza integrativa delle norme generali codicistiche in materia di distanze, in applicazione del principio generale iura novit curia , e dunque deve considerare le predette disposizioni locali a prescindere dal fatto che le parti le abbiano materialmente allegate agli atti del giudizio, ciò non implica, tuttavia, l’obbligo di procedere alla loro acquisizione direttamente dall’ente locale, mediante apposito ordine di esibizione o richiesta di informazioni. L’operatività del principio iura novit curia , infatti, è sganciata dal mezzo con il quale il giudice consegue la conoscenza della norma locale applicabile, onde, sul punto, nessun vizio si configura qualora, come nel caso di specie, detta conoscenza sia stata conseguita direttamente dall’ufficio, senza passare mediante un adempimento istruttorio.
Del resto, con il secondo e terzo motivo di ricorso la parte ricorrente invoca la scorretta applicazione della norma di cui al punto 8.7 del regolamento locale, con ciò confermando, in via indiretta, che la Corte distrettuale ha deciso tenendo conto delle disposizioni locali integrative alle norme codicistiche.
La norma suindicata, che i ricorrenti ritengono violata recita, testualmente: ‘E’ ammessa la costruzione a distanza inferiore a 5 metri e in aderenza al confine di proprietà se preesiste parete, senza finestre, già posta a confine’ (cfr. pag. 25 del ricorso). L’utilizzazione, da parte del regolamento locale, della congiunzione ‘e’ e non invece della disgiuntiva ‘o’ implica che le due condizioni previste dalla disposizione,
rappresentate dalla distanza inferiore a 5 metri e dall’aderenza, debbono necessariamente coesistere; è quindi consentita la deroga alla distanza di 5 metri soltanto se si costruisce in aderenza ad una parete cieca posta a confine tra i fondi. Non potrebbe, del resto, ipotizzarsi altro significato della disposizione in esame, poiché l’opzione ermeneutica proposta dagli odierni ricorrenti si risolve nella negazione del principio generale posto dal regolamento stesso, costituito dal rispetto della distanza di 5 metri dal confine. Se infatti detta distanza fosse liberamente derogabile, come sostengono gli odierni ricorrenti, anche in presenza di costruzione non realizzata in aderenza, la prescrizione generale perderebbe ogni significato. Considerando che costituisce principio generale quello per cui, tra diverse opzioni interpretative, occorre dare preferenza a quella che consente di conservare un significato plausibile della disposizione, l’ipotesi proposta dai Dalmi va necessariamente scartata. Ne consegue la corretta dell’interpretazione della norma locale proposta dalla Corte del rinvio e l’infondatezza di tutte e tre le censure in esame.
Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di considerare che il fabbricato degli odierni ricorrenti fronteggia solo in minima parte quello di proprietà COGNOME essendo per il resto rivolto verso un prato non edificato.
La censura è inammissibile, poiché non si confronta con la ratio della decisione.
Il giudice del rinvio non ha ordinato l’arretramento del fabbricato degli odierni ricorrenti per violazione delle distanze tra edifici, bensì perché lo stesso non rispettava la distanza minima dal confine prescritta dalla norma locale, integrativa di quella codicistica. La
circostanza, dunque, che il fondo confinante fosse, o meno, edificato, e che l’edificio dei Dalmi fronteggi, in tutto o in parte, quello di proprietà COGNOME COGNOME non rileva in alcun modo ai fini della decisione.
Con il quinto motivo, infine, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di liquidare, a favore dei COGNOME, le spese del giudizio di legittimità, nel quale gli stessi erano risultati vittoriosi, avendo conseguito la cassazione della sentenza impugnata.
La censura è in parte infondata e in parte inammissibile.
E’ infondata nella parte in cui con essa si ipotizza che le spese possano essere regolate in modo differente in relazione ai vari gradi del giudizio, senza considerare il principio, che merita di essere ribadito, per cui le dette spese vanno invece governate in modo unitario, tenendo conto dell’esito complessivo della lite (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6522 del 20/03/2014, Rv. 630212; cfr. anche, in termini, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9587 del 12/05/2015, Rv. 635269; Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 18125 del 21/07/2017, Rv. 645057; Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 16431 del 19/06/2019, Rv. 654608; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24482 del 09/08/2022, Rv. 665389).
La doglianza è invece inammissibile nella parte in cui attinge la mancata liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, poiché, essendo risultati soccombenti all’esito della lite, gli odierni ricorrenti non hanno alcun interesse a sollevare una censura che, semmai, avrebbe potuto essere proposta dalla parte risultata vittoriosa, la quale invece non ha spiegato impugnazione incidentale sul punto.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 16 settembre 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME