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Distanza canna fumaria: quando si applica l’art. 890

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso riguardante la corretta distanza di una canna fumaria dal confine. La sentenza chiarisce che, in assenza di regolamenti locali e al di fuori dei casi previsti da norme speciali anti-inquinamento, la disciplina di riferimento è l’art. 890 c.c., che richiede di osservare le distanze necessarie a preservare i fondi vicini da danni a solidità, salubrità e sicurezza. La Corte ha rigettato il ricorso dei proprietari che lamentavano l’illegittimità della canna fumaria del vicino, confermando la decisione d’appello che aveva escluso la presunzione di pericolosità.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Distanza Canna Fumaria: Prevale l’Art. 890 c.c. o la Normativa Speciale?

La questione della corretta distanza di una canna fumaria dal confine è una fonte comune di controversie tra vicini. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su quale normativa applicare, distinguendo tra il codice civile e le leggi speciali anti-inquinamento. La decisione sottolinea come, in assenza di regolamenti locali specifici, sia l’articolo 890 del codice civile a dettare le regole, basate su un criterio di effettiva pericolosità e non su presunzioni assolute.

I fatti del caso: Una disputa sulla canna fumaria di una pizzeria

Due proprietari di un immobile citavano in giudizio il proprietario dell’edificio confinante e il gestore di un’attività di pizzeria-rosticceria. L’oggetto del contendere era l’installazione di una canna fumaria ritenuta troppo vicina al loro confine e, quindi, illegittima. Chiedevano al Tribunale di ordinarne la rimozione o l’arretramento, oltre al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, applicando una normativa speciale (il d.P.R. n. 1391/1970) e ordinando la sopraelevazione della canna fumaria. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava completamente la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, la norma applicabile non era quella speciale, bensì l’art. 890 del codice civile. Poiché la canna fumaria era posta a una distanza superiore a un metro dal confine e una consulenza tecnica aveva escluso una reale pericolosità (suggerendo solo una modifica in altezza), la domanda veniva rigettata, con condanna degli attori al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

L’analisi della Corte di Cassazione sulla distanza della canna fumaria

I proprietari soccombenti ricorrevano per Cassazione, basando la loro impugnazione su tre motivi principali. La Suprema Corte ha esaminato ciascun motivo, giungendo a rigettare integralmente il ricorso.

Il punto centrale della controversia riguardava l’erronea applicazione, a dire dei ricorrenti, dell’art. 890 c.c. in luogo della normativa speciale. Essi sostenevano che il d.P.R. n. 1391/1970 disciplinasse specificamente le caratteristiche costruttive e le distanze dei camini, e che le regole del codice civile fossero solo suppletive.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato, confermando la corretta interpretazione della Corte d’Appello. Citando un proprio precedente consolidato, ha chiarito che la normativa speciale anti-inquinamento (Legge n. 615/1966 e relativo regolamento d.P.R. n. 1391/1970) si applica solo agli impianti termici situati in comuni con più di 70.000 abitanti o in zone con particolari caratteristiche geografiche e meteorologiche sfavorevoli. Poiché il comune in questione non rientrava in queste categorie, la normativa speciale non era applicabile.

Di conseguenza, la disciplina da seguire era quella dettata dall’art. 890 c.c. Questa norma stabilisce che chi vuole costruire forni o camini presso il confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza. La Corte d’Appello aveva correttamente verificato l’assenza di regolamenti comunali e, sulla base della consulenza tecnica, aveva escluso la presunzione di pericolosità, superandola con una valutazione concreta dei fatti.

La Cassazione ha inoltre dichiarato inammissibile il secondo motivo, relativo alla mancata motivazione sul risarcimento dei danni. Ha specificato che, una volta rigettata la domanda principale sull’illegittimità dell’opera, anche la domanda accessoria di risarcimento non poteva che essere respinta. Infine, ha giudicato infondato il terzo motivo, relativo alla condanna al pagamento delle spese della consulenza tecnica, ritenendola una logica conseguenza del principio di soccombenza, secondo cui chi perde paga le spese.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di distanze legali per opere come le canne fumarie. La normativa speciale, più restrittiva, ha un campo di applicazione ben definito e non può essere estesa analogicamente. Al di fuori di tali casi, si ritorna alla regola generale dell’art. 890 c.c., che non fissa distanze minime rigide ma si affida a un criterio più flessibile, basato sulla necessità di evitare danni concreti al vicino. La presunzione di pericolosità può essere superata da una prova contraria, come una perizia tecnica che attesti l’assenza di rischi per la salubrità e la sicurezza del fondo confinante.

Quando si applica la normativa speciale anti-inquinamento (come il d.P.R. 1391/1970) per la distanza di una canna fumaria?
Si applica solo agli impianti termici situati in comuni con una popolazione superiore a settantamila abitanti o in comuni che presentano caratteristiche industriali, urbanistiche, geografiche e meteorologiche particolarmente sfavorevoli all’inquinamento atmosferico.

In assenza di regolamenti locali, quale norma regola la distanza minima di una canna fumaria dal confine?
Si applica l’articolo 890 del codice civile, il quale non stabilisce una distanza fissa, ma richiede di osservare le distanze necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza. La pericolosità è presunta ma può essere superata da prove concrete, come una consulenza tecnica.

Se la richiesta principale di accertamento dell’illegittimità di un’opera viene respinta, quale è la sorte della connessa richiesta di risarcimento danni?
Anche la richiesta di risarcimento danni, essendo accessoria e dipendente dalla prima, deve essere rigettata. Se non viene accertato l’illecito (l’illegittimità dell’installazione), non può esservi un danno risarcibile derivante da esso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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