Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6969 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6969 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8633/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
nonché contro
NOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 800/2018, depositata il 9/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME e NOME COGNOME proprietari di un immobile contiguo all’immobile di proprietà di NOME COGNOME e condotto in locazione da NOME COGNOME, esercente un’attività di pizzeria-rosticceria, hanno chiesto al Tribunale di Latina di dichiarare l’illegittimità dell’installazione di una canna fumaria perché posta a distanza inferiore a quella prevista dalla vigente normativa, disponendone la rimozione o il distanziamento, e di condannare i convenuti COGNOME e COGNOME al risarcimento dei danni.
Si sono costituiti NOME COGNOME e NOME COGNOME insistendo per il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Latina, con la sentenza n. 394/2008, ha accolto la domanda dei due attori, ritenendo applicabili le disposizioni di cui al d.P.R. n. 1391/1970; il Tribunale ha così dichiarato l’illegittimità dell’installazione della canna fumaria e ha ordinato la sopraelevazione della medesima di mt. 1,239.
La sentenza è stata impugnata in via principale dagli attori NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché, in via incidentale, da NOME COGNOME.
Con la sentenza n. 800/2018, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame principale; in accoglimento del gravame incidentale, ha respinto la domanda proposta dagli attori. Secondo la Corte territoriale, doveva trovare applicazione l’articolo 890 cc, in assenza di norme regolamentari locali e, risultando osservata una distanza superiore ad un metro dal muro di confine degli attori, doveva escludersi la presunzione di pericolosità, peraltro non avallata neppure dalla consulenza tecnica che aveva consigliato solo una modifica dell’altezza.
La Corte ha quindi condannato gli attori in solido al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME con tre motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME erede di NOME COGNOME. L’intimato NOME COGNOME non ha proposto difese.
Sono pervenute memorie.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione al caso in esame dell’art. 890 c.c., in luogo della normativa speciale di cui al d.lgs. n. 1391/1970, confermata dal successivo d.lgs. n. 152/2006: ad avviso della Corte d’appello, la normativa speciale richiamata dalla ricorrente non troverebbe applicazione in quanto la stessa attuerebbe un mero riferimento alle modalità costruttive dei camini in relazione alla loro collocazione dal confine dei fabbricati limitrofi; in realtà -si osserva in ricorso – il d.P.R. n. 1391/1970 disciplina puntualmente le caratteristiche costruttive dei camini e le distanze alle quali possono essere realizzati; lo stesso art. 890 c.c. dispone l’osservanza delle distanze stabilite dai regolamenti e, solo in mancanza di essi, l’esigenza di osservare le distanze necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza, così che le regole di tale articolo sono suppletive rispetto alle discipline di settore.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha correttamente escluso l’applicazione del d.P.R. n. 1391/1970. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘il d.P.R. 22 dicembre 1970, n. 1391, costituisce regolamento per l’esecuzione della legge 13 luglio 1966 n. 615, recante provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico, e le sue disposizioni si applicano, come espressamente previsto dall’art. 1 della legge citata, agli impianti termici situati nei comuni con popolazione superiori a settantamila abitanti e nei comuni che presentino caratteristiche industriali, urbanistiche, geografiche e meteorologiche particolarmente sfavorevoli nei riguardi
dell’inquinamento atmosferico’ (così Cass. n. 832/1980). Nel caso in esame, l’impianto termico è situato in Fondi, comune con popolazione inferiore a settantamila abitanti e non risulta che siano state dedotte dagli attori caratteristiche particolarmente sfavorevoli nei riguardi dell’inquinamento atmosferico. Trova, pertanto, applicazione il dettato di cui all’art. 890 c.c., a norma del quale chi vuole fabbricare forni e camini deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza (circa la soggezione delle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie alla regolamentazione di cui all’art. 890 c.c. cfr. tra le varie, Cass. n. 23973/2017, Cass. n. 26690/2020 e Cass. 18128/2020). La Corte d’appello ha precisato , come già esposto in narrativa, che manca un regolamento comunale al riguardo e che, per quanto concerne la salvaguardia dei fondi vicini da ogni pregiudizio derivante da una situazione di insalubrità, la presunzione di pericolosità presente nella norma è superata alla luce dei risultati della consulenza tecnica d’ufficio, che ha unicamente consigliato una modifica in ordine all’altezza della canna.
Il secondo motivo allega omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ossia la mancanza di motivazione in merito alla richiesta risarcitoria avanzata dai ricorrenti.
Il motivo è inammissibile.
Anzitutto, viene denunciato quale omesso esame ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. un difetto di motivazione, quando l’omesso esame di cui al n. 5 concerne il mancato esame di un fatto storico (cfr. Cass., sez. un., n. 8053/2014), e la semplice insufficienza della motivazione non è più denunciabile di fronte a questa Corte per espressa previsione normativa (cfr. art. 360 comma 1 n. 5 cpc; v. Cass., sez. un., n. 8038/2018).
Inoltre, il motivo non si confronta neppure con la ratio decidendi della decisione (sulla sorte del motivo che non coglie la ratio, cfr. tra le varie, Cass. n. 19989/2017).
La Corte d’appello ha, infatti, ritenuto inammissibile la censura fatta valere dagli appellanti con riferimento alla respinta domanda risarcitoria ‘atteso che, a parte un generico riferimento al capo della sentenza, non è stata evidenziata alcuna ragione in punto di fatto e di diritto a sostegno del gravame’. In ogni caso, la domanda risarcitoria dei ricorrenti non poteva che essere rigettata a fronte del rigetto della domanda da essi proposta di accertamento dell’illegittimità dell’installazione della canna fumaria.
3. Il terzo motivo denuncia, infine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ossia l’erronea condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese della consulenza tecnica d’ufficio.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha, nel dispositivo della sentenza, posto ‘ definitivamente a carico degli appellanti le spese della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado ‘. Tale statuizione non è inspiegabile, come sostengono i ricorrenti, avendo la Corte d’appello posto tali spese a carico dei ricorrenti sulla base dell’esito della lite, né al riguardo è ravvisabile un contrasto tra la motivazione e il dispositivo, in quanto in motivazione la Corte ha ugualmente affermato che le spese del doppio grado vanno poste a carico degli attori e si liquidano come da dispositivo. Ed allora l’inciso contenuto nella parte finale della parte motiva ‘ Le spese della CTU del primo grado in via solidale tra le part i’ si risolve in un mero refuso essendo omesso, per mero errore materiale, il riferimento alle parti quali parti appellanti.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo con distrazione, avendo il difensore fatto richiesta.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 3.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avvocato NOME COGNOME che si è dichiarato antistatario. Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione