Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12808 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12808 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15738/2020 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CAMPOBASSO n. 151/2020 depositata il 12/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. in causa proposta da NOME COGNOME contro il confinante Condominio Silp INDIRIZZO di INDIRIZZO Isernia, per mancato rispetto di distanze di alberi e piante del convenuto rispetto al confine, l’adito Tribunale di Isernia, accertato che il Condominio aveva usucapito il diritto di servitù di tenere gli alberi a distanza inferiore a quella di cui all’art. 892 c.c., condannava il condominio a tagliare i rami degli alberi che si protendevano sulla proprietà dell’attore, ‘a potare i quattro alberi a confine in modo tale che non superino la recinzione che delimita le due proprietà’, a ‘mantenere le piante a confine con la proprietà dell’attore ad altezza non eccedente la recinzione’ e a pagare all’attore 1 .000 euro a titolo di risarcimento dei danni per ‘illegittima turbativa della proprietà e per le spese e l’attività di ripulitura delle canaline’ di scolo di una tettoia.
La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza n.151 del 2020, decidendo dell’appello proposto dal Condominio, ha riformato la sentenza del Tribunale revocando tutte le condanne ad eccezione di quella a recidere i rami che si protendevano sul terreno dell’attore.
La condanna a ridurre e mantenere l’altezza delle piante sino alla altezza della recinzione è stata revocata sulla base di queste motivazioni: l’art. 892 ,ultimo comma, cod. civ. dispone che le distanze a cui, secondo lo stesso articolo, devono di regola essere mantenuti gli alberi dal confine ‘non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro’; nel caso di specie, tra le due proprietà vi era non ‘un vero e proprio muro’ ma una recinzione costituita da una base in muratura sovrastata da una rete metallica; la norma pertanto non
era applicabile; tuttavia, il diritto usucapito dal Condominio di tenere gli alberi a distanza inferiore a quella di legge dal confine escludeva l’applicabilità dell’ultimo comma dell’art. 892 c.c.
La condanna a risarcire il danno da ‘illegittima turbativa della proprietà e per le spese e l’attività di ripulitura della canaline’ è stata revocata sulla base di queste motivazioni:’ il presunto danno da illegittima turbativa della proprietà’ era ‘smentito dalla stessa sentenza appellata la quale ha dichiarato il diritto del Condominio di tenere gli alberi a distanza inferiore a quella stabilita dall’art 892 c.c.’; il risarcimento del danno ‘per le spese e l’attività di ripulitura della canaline’ non poteva essere riconosciuto essendo l’attore tenuto a tollerare che sul proprio fondo cadessero foglie, bacche e rametti dagli alberi che il Condominio, per un verso, aveva diritto di tenere in prossimità della recinzione e ad altezza anche superiore a quella della recinzione, e per altro verso, aveva annualmente provveduto a potare; il risarcimento del danno ‘per le spese e l’attività di ripulitura della canaline’ non poteva essere riconosciuto anche perché l’attore non aveva fornito elementi per stabilire la frequenza con cui aveva provveduto alle pulizie e non vi era alcun riscontro sui costi sopportati, cosicché anche il ricorso alla valutazione equitativa era precluso. La Corte di Appello ha infine liquidato le spese dei due gradi di giudizio ponendone l’onere per ¾ a carico dell’attore tenuto conto del ‘pressoché integrale rigetto’ delle sue domande e dell’accoglimento della domanda riconvenzionale;
contro
la sentenza della Corte di Appello ricorre NOME COGNOME con quattro motivi avversati dal Condomino con controricorso;
3.il ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 892 e 881 cod. civ. e nullità della sentenza, per avere la Corte di Appello ‘annullato’ quella di primo grado
‘nella parte in cui aveva condannato il Condominio a tagliare i quattro alberi a confine con la proprietà dell’COGNOME in modo tale che non supera le recinzione che divide le proprietà affermando che tale limitazione era consentita solo nel caso di esistenza di muro divisorio’. Il ricorrente attacca l’affermazione della Corte di Appello sotto un profilo fattuale sostenendo che la Corte di Appello avrebbe errato nel negare che la recinzione costituita da una base in muratura sovrastata da una rete metallica fosse un ‘vero e proprio muro’ dato che la rete metallica era composta di maglie talmente strette che il manufatto doveva essere considerato un vero muro divisorio.
Il motivo è inammissibile per due concorrenti ragioni.
Per un verso, perché è centrato esclusivamente su allegazioni in fatto riguardanti le caratteristiche della rete metallica.
Il motivo, al di là della rubrica, non veicola alcuna censura di violazione o falsa applicazione di legge. Va ricordato che ‘In tema di ricorso per cassazione, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ricomprende tanto quello di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione’. (Cass. n. 23851 del 25/09/2019 (Rv. 655150 – 02)
Per altro verso il motivo è inammissibile perché attacca una sola delle due affermazioni autonome sulla base delle quali la Corte di Appello ha dichiarato non applicabile l’ultimo comma dell’art. 892 c.c. e non l’altra. In particolare , il motivo non attacca
l’affermazione secondo la quale la norma era inapplicabile avendo il Condominio usucapito il diritto di tenere gli alberi a distanza inferiore a quella di legge dal confine. Vale dunque il principio per cui ‘Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa’ (Cass. Sez. 3, sentenza n.2108 del 14/02/2012). Per completezza deve in parte rettificarsi la motivazione della sentenza impugnata.
La prima delle affermazioni fatte dalla Corte di Appello è errata. Le prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, stabilite nei primi tre commi dell’art. 892 c.c., non devono essere osservate quando sul confine esista un muro divisorio e le dette piante non lo superino in altezza poiché, in questo caso, il vicino non subisce diminuzione di aria, luce e veduta (v. Cass. n.18439 del 12/07/2018). Il vicino non può impedire che si tengano piante a distanza inferiore a quella di legge dal confine se tra i due fondi esiste un muro divisorio e le piante non superano l’altezza del muro perché l’impedimento non gli darebbe alcun vantaggio. Ne consegue che muro deve intendersi soltanto quel manufatto che impedisce al vicino di ricevere aria, luce e veduta cosicché le piante altrui non possono essergli di pregiudizio. Ove tra i fondi vi sia un manufatto costituito da una base in muratura e, sopra la base, una rete metallica, la quale, a differenza di una struttura in muratura, non impedisce del tutto al vicino di ricevere aria, luce e veduta, al fine di stabilire l’altezza a cui le piante
devono essere mantenute, occorre tenersi conto della base in muratura e non della rete metallica collocatavi sopra.
La correzione di questa parte della motivazione è fatta in base all’ultimo comma dell’art. 384 cod. proc. civ., essendo la sentenza conforme a diritto nel dispositivo, che si regge sull’altra parte della motivazione, autonoma dalla prima e conforme a diritto;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 112, 116 e ss. cod. proc. civ., 892, 896, 1158 e 881 cod. civ., per avere la Corte d’appello ‘annullato’ la sentenza di primo grado ‘nella parte in cui aveva condannato il Condominio a mantenere le piante a confine con la proprietà dell’COGNOME ad altezza non eccedente le recinzione’.
Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello, revocando la condanna del Condominio a tenere le piante ad altezza non superiore al manufatto interposto tra i due fondi, avrebbe consentito ‘che potesse nuovamente ripristinarsi’ il fenomeno dell’ostruzione delle canaline di scolo e, più in generale, un nocumento alla proprietà di esso ricorrente.
Il motivo è inammissibile perché è centrato su asserite conseguenze di fatto del posizionamento degli alberi e del loro possibile superamento dell’altezza del manufatto divisorio e non si confronta con le affermazioni su cui la sentenza è basata (già ricordata riguardo al motivo precedente). Il ricorrente assume falsamente che, siccome la situazione determinatasi per effetto della sentenza della Corte di Appello potrebbe essergli pregiudizievole, la sentenza sarebbe illegittima. La Corte di Appello ha affermato che il diritto di tenere gli alberi a distanza inferiore a quella di legge dal confine implica l’inapplicabilità dell’art.892, ultimo comma, cod. civ. Questa affermazione non è censurata;
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 116 cod. proc. civ., 892, 896, 1158, 2051 e 2697 cod. civ., per avere la Corte d’a ppello revocato la
condanna del Condominio al risarcimento del danno. Il ricorrente sostiene che il Giudice di secondo grado avrebbe errato nel ritenere che, ‘avendo il condominio usucapito il diritto di tenere le piante a distanza non regolamentare dal confine, non vi poteva essere danno e che lo stesso non era neppure provato’. Al contrario, secondo il ricorrente, sarebbe ‘del tutto irrilevante la circostanza che il Condominio avesse usucapito il diritto di mantenere le piante a distanza dal confine se sono state quelle piante che hanno procurato, per cattiva manutenzione, i danni lamentati’. Il ricorrente deduce che alcuni testi avrebbero confermato che bacche, foglie e piccoli rami, cadendo dagli alberi del Condominio, ostruivano le canaline di scolo di una tettoia sul fondo di esso ricorrente.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha distinto il danno da ‘illegittima turbativa della proprietà’ rispetto al danno ‘per le spese e l’attività di ripulitura della canaline’.
Ha escluso la risarcibilità del primo sul rilievo -che non è censuratoper cui mancava, a monte, l’illecito a cui l’ipotetico danno potesse essere ricollegato. Il rilievo è il seguente: ‘il presunto danno da illegittima turbativa della proprietà è smentito dalla stessa sentenza appellata la quale ha dichiarato il diritto del Condominio di tenere gli alberi a distanza inferiore a quella stabilita dall’art 892 c.c.’.
La Corte d’appello ha escluso la risarcibilità del danno ‘per le spese e l’attività di ripulitura della canaline’ sulla scorta di due rilievi: l’appellato era tenuto a tollerare che sul suo fondo cadessero foglie, bacche e rametti, trattandosi di ‘normali immissioni provenienti’ dagli alberi che il Condominio, per un verso, aveva diritto di tenere in prossimità della recinzione e ad altezza anche superiore a quella della recinzione, e per altro verso, aveva annualmente provveduto a potare; l’appellato non aveva fornito elementi per stabilire la
frequenza con cui aveva provveduto alle pulizie e non vi era alcun riscontro sui costi sopportati, cosicché anche il ricorso alla valutazione equitativa era precluso.
Il primo rilievo, sostanzialmente basato sul principio sotteso all’art. 844 cod. civ., evocato dalla sentenza con l’uso dell’espressione ‘normali immissioni’, non è specificamente censurato.
Il secondo rilievo è censurato facendo inammissibilmente leva su una lettura delle testimonianze che non tiene conto della lettura della Corte di Appello: mentre questa ha affermato che dalle testimonianze non poteva ricavarsi alcuna indicazione sulla concreta entità delle opere, di cui i testi avevano pur dato conto, di ‘ripulitura delle canaline’ di scolo di una tettoia, il ricorrente sostiene che i testi avevano fornito piena prova dell’esistenza del fatto che foglie, bacche e rami cadevano dagli alberi del Condominio ostruendo le canaline. La Corte locale fa perno sulla mancanza di elementi per determinare le conseguenze risarcibili di un evento dannoso. Il ricorrente incentra il motivo sulla prova dell’evento.
Il secondo rilievo è per altro verso censurato in modo apodittico: al contrario di quanto affermato dalla Corte d’a ppello, vi erano ‘elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione del danno’. Questi elementi non sono stati neppure genericamente individuati dalla parte ricorrente;
4. con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 91, 112, 116 c.p.c., 892, 896, 1158 cod. civ., per avere la Corte d’a ppello condannato il ricorrente al pagamento di ¾ delle spese dei due gradi di giudizio ‘pur in presenza di soccombenza reciproca’.
Il motivo è inammissibile alla luce del principio per cui ‘La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2,
c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n.30592 del 20/12/2017).
5. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
6. le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 600,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 19 marzo 2025.