Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21806 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21806 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30356-2021 proposto da:
COGNOME NOME , domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 484/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 23/09/2021 R.G.N. 270/2021;
Oggetto
Distacco del lavoratore
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/06/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la decisione di primo grado con cui era stata ritenuta la legittimità del licenziamento disciplinare intimato a NOME COGNOME da RAGIONE_SOCIALE per assenza ingiustificata che aveva fatto seguito ad un provvedimento di distacco presso altra azienda;
la Corte territoriale, in sintesi, ha innanzitutto ritenuto la sussistenza dell’interesse al distacco in capo alla datrice di lavoro in quanto sia l’impresa distaccante che l’impresa distaccataria facevano parte del medesimo gruppo societario; ha escluso, poi, che vi fosse la necessità del consenso al distacco del lavoratore, condividendo col primo giudice come non fosse ravvisabile un mutamento di mansioni e, in ogni caso, statuendo che ‘il COGNOME non ha fornito alcuna prova che il distacco comportasse un mutamento di mansioni effettivamente idoneo a ledere il patrimonio di professionalità acquisito’;
la Corte ha, quindi, condiviso l’assunto del primo giudice ‘in ordine all’avvenuto raggiungimento della prova, incombente sulla datrice di lavoro, della sussistenza delle effettive ragioni che hanno determinato il distacco’;
infine, quanto alla asserita illegittimità del distacco per violazione dell’art. 22 l. n. 300 del 1970 in mancanza del nulla osta sindacale, la Corte ha ritenuto che la disposizione, per espresso tenore testuale, si applichi al trasferimento e non a
spostamenti di durata temporanea; in ogni caso ha condiviso col primo giudice che non vi fosse prova ‘in ordine all’esistenza di una rappresentanza sindacale aziendale validamente costituita ai sensi del citato articolo 19 S.d.L.’, ‘anche per la rinuncia d a parte di RAGIONE_SOCIALE a tale costituzione’;
avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il soccombente con tre motivi, cui ha resistito l’intimata società con controricorso, illustrato anche da memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi del ricorso possono essere sintetizzati come di seguito;
1.1. col primo si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 30, commi 1 e 4-ter del D. Lgs. n. 276 del 10 Settembre 2003 (art. 360 c.p.c., punto 3)’; si deduce che la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato la sussisten za dell’interesse al distacco in capo alla RAGIONE_SOCIALE;
1.2. il secondo motivo deduce: ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 30, comma 3 del D. Lgs. n. 276 del 10 Settembre 2003; art. 2103 c.c.; artt. 1175 e 1375 c.c. (art. 360 c.p.c., punto 3)’; si sostiene che la Corte non avrebbe ‘correttame nte valutato i requisiti di liceità del distacco e cioè la necessità del consenso del Sig. COGNOME a motivo del mutamento delle mansioni conseguente al distacco stesso, nonché la sussistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttiv e o sostitutive’;
1.3. col terzo mezzo si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 22, Legge n. 300/1970 (art. 360 c.p.c., punto 3).’; si eccepisce che non sarebbe stata ‘correttamente valutata la necessità del nulla osta dell’Organizzazione Sindacal e di riferimento nel distacco del dirigente sindacale.’;
2. il primo motivo è infondato;
con l’art. 30, comma 1, d. lgs. n. 276 del 2003, il legislatore ha posto tra i requisiti di legittimità del distacco, configurabile ‘quando un datore di lavoro, , pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzion e di una determinata attività lavorativa’, l’esigenza datoriale di ‘soddisfare un proprio interesse’; ciò in continuità con una risalente impostazione secondo cui il distacco deve realizzare uno specifico interesse datoriale che consenta di qualificarlo co me atto organizzativo dell’imprenditore che lo dispone nel proprio interesse e che, così facendo, determina non una novazione soggettiva ma una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del lavoratore distaccato (cfr. Cass. n. 5907 del 1993);
nel vigore della richiamata disciplina del 2003, questa Corte ha affermato che ‘l’interesse al distacco può essere anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto, ma di tipo solidaristico: l’importante è che non si risolva in una mera sommin istrazione di lavoro altrui’ (Cass. n. 18959 del 2020);
inoltre, la prova dell’interesse del distaccante, costituendo requisito qualificante della fattispecie, è a carico del datore di lavoro (Cass. n. 7517 del 2016) e l’accertamento sulla presenza dell’interesse al “distacco” costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 17748 del 2004; Cass. n. 9694 del 2009; Cass. n. 26138 del 2013);
per quanto qui rileva, la sentenza impugnata sul punto è conforme all’orientamento di legittimità (v. Cass. n. 8068 del 2016) che si è formato proprio nell’ipotesi di gruppo di imprese; si è ritenuto che, pur nel contesto di una distinta soggettività giuridica, ciascuna componente del gruppo di imprese sia titolare dell’interesse a concorrere, anche mediante il distacco di propri dipendenti, alla realizzazione di comuni strutture produttive e organizzative, che si pongano in un rapporto di coerenza con gli obiettivi di efficienza e di funzionalità del gruppo stesso e con il dato unificante di una convergenza di interessi economici, anche intesa come progetto di riduzione attuale o potenziale dei costi di gestione; infatti, l’interesse del soggetto distaccante non può essere separato da quello del raggruppamento di cui il soggetto stesso è parte economicamente integrata e risulta anzi direttamente connesso e funzionale all’attuazione di quest’ultimo;
secondo il precedente richiamato, ciò trova oggettiva conferma nell’evoluzione normativa dell’istituto del distacco e, in particolare, nell’introduzione – ad opera del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 99 – del comma 4 ter dell’art. 30 cit., il quale dispone nella sua prima parte che “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 del codice civile”; posto che solo nel caso del contratto di rete l’interesse del soggetto distaccante può essere ricondotto entro lo schema della presunzione assoluta, è tuttavia ‘significativo che la
disposizione in esame connetta il venire ad esistenza dell’interesse al fatto di base dell’operare della rete e cioè ad un fatto, che è ad un tempo giuridico ed economico, della funzionalità del contratto di rete di impresa, con il quale più imprenditori, perseguendo scopi comuni in termini di innovazione e di competitività, stabiliscono rapporti di collaborazione nell’esercizio delle loro imprese’; con la conseguenza che ‘tale contratto presenta, per un verso, scopi economici unificanti che risultano certamente avvicinabili a quelli che muovono la logica imprenditoriale di un gruppo di imprese e, per altro verso, non istituisce legami più condizionanti di quelli che definiscono, ai sensi dell’ad. 2359 c.c., il controllo o il collegamento di società’;
a tale indirizzo si è conformata la sentenza impugnata che, pertanto, si sottrae alle censure di parte ricorrente sul punto;
anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento;
con esso si contesta la ricorrenza degli ulteriori due requisiti stabiliti dal comma 3 dell’art. 30 d. lgs. n. 276 del 2003, ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1, nel caso di distacco che comporti un mutamento delle mansioni, il quale richiede il consenso dei lavoratori, e di distacco con trasferimento ad una unità produttiva sita a più di 50 Km da quella cui il lavoratore sia adibito, che richiede la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive;
opportuno premettere che – secondo questa Corte che ha provveduto a ricostruire l’apparato sanzionatorio derivante dal distacco in difetto dei requisiti di cui all’art. 30 cit. -l’intenzione del legislatore è stata quella di prevedere che, alla ipotesi ritenuta più grave del distacco senza i requisiti dell’interesse e della temporaneità, fosse attribuita la tutela civilistica di tipo
“costitutiva” e sanzionatoria di tipo “amministrativo” (prima di tipo penale), mentre per le ipotesi disciplinate dal comma 3 fosse accordata solo la tutela civilistica di tipo “risarcitoria” (Cass. n. 18959 del 2020);
per quanto riguarda il primo aspetto, la Corte territoriale premesso che il ‘mutamento di mansioni’ che postula il consenso del lavoratore deve essere tale da ledere il patrimonio di professionalità acquisito dal lavoratore (in coerenza con Cass. n. 32330 del 2018) -ha escluso che fosse emersa la prova che il distacco in controversia comportasse un mutamento di mansioni idoneo a cagionare detto effetto pregiudizievole, con un accertamento di merito non sindacabile innanzi a questa Corte;
parimenti, i giudici di entrambi i gradi del merito hanno concordato sull’avvenuto raggiungimento della prova, incombente sul datore di lavoro, circa la ‘sussistenza delle effettive ragioni che hanno determinato il distacco’ del COGNOME, sicché anche l’a ltra doglianza espressa nel motivo in esame si traduce, nella sostanza, in un riesame di apprezzamenti del materiale probatorio, come è conclamato anche dalla impropria denuncia di violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c.;
come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di
prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
la violazione dell’art. 2697 c.c. è, poi, censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa la esistenza dell’interesse al distacco, opponendo una diversa valutazione;
il terzo motivo di ricorso, che lamenta l’illegittimità del distacco per mancanza del nulla osta sindacale previsto dall’art. 22 S.d.L. in caso di trasferimento del dirigente sindacale, non merita di essere condiviso;
la Corte territoriale, come ricordato nello storico della lite, ha recisamente escluso che fosse stata provata l’esistenza di una rappresentanza sindacale aziendale validamente costituita ai sensi dell’art. 19 S.d.L., al quale rimanda l’art. 22 citato, anc he per la rinuncia dell’RAGIONE_SOCIALE a costituire RSA ai sensi dell’art. 8 del testo unico sulla rappresentanza sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE in data 10 gennaio 2014;
la censura in esame contesta inammissibilmente tale accertamento di fatto, anche introducendo temi di indagine,
quali la ‘esistenza, all’epoca dei fatti, di una RSU RAGIONE_SOCIALE validamente costituita presso la RAGIONE_SOCIALE, sicuramente preclusi in questa sede di legittimità;
conclusivamente, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ult eriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 4 giugno 2024.