Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31501 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31501 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
23114/2020 r.g., proposto da
COGNOME NOME , elett. dom.ta in INDIRIZZO Roma, presso studio legale COGNOME c/o RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto n. 593/2019 pubblicata in data 13/01/2020, n.r.g. 193/2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/10/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stata dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino al 27/06/2012, quando era stata licenziata.
OGGETTO:
rito del lavoro – dispositivo – motivazione – relazione fra i due atti
In precedenza, in data 05/05/2012 aveva rassegnato le proprie dimissioni immediatamente impugnate perché nulle.
Adìva il Tribunale di Taranto per ottenere sia la declaratoria di nullità delle dimissioni, sia l’annullamento del licenziamento con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie di cui all’art. 18 L. n. 300/1970.
2.- Costituitosi il contraddittorio, separate le due cause -una da trattare secondo il rito c.d. Fornero di cui alla legge n. 92/2012, l’altra secondo il rito ordinario del lavoro -il Tribunale accoglieva la domanda di accertamento della nullità delle dimissioni.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE ma ciononostante confermava la sentenza impugnata e compensava le spese dei due gradi di giudizio.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
va premesso che il Tribunale ha interpretato la domanda come articolata in una principale di nullità delle dimissioni per difetto di forma ed in una subordinata di annullamento per incapacità naturale e violenza morale;
il Tribunale ha ritenuto null o l’atto ex artt. 1325, n. 4, e 1418, co. 2, c.c. per difetto di forma, avendo la lavoratrice rassegnato le dimissioni mediante dichiarazione sottoscritta e consegnata immediatamente al capo area e quindi senza la raccomandata necessaria per certificare la data di ricevimento, come previsto ad substantiam dall’art. 241 ccnl del terziario applicabile;
il Tribunale ha pertanto commisurato il risarcimento del danno alle retribuzioni maturate fra la data delle dimissioni e quelle del successivo licenziamento (27/06/2012) oggetto di altra controversia;
ha errato il Tribunale nel ritenere necessaria la raccomandata, sia perché l’art. 241 CCNL prevede anche “altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento”, sia perché è pacifico fra le parti che quella dichiarazione venne consegnata dalla lavoratrice al capo area in data 05/05/2012;
va pertanto esaminata la domanda subordinata avanzata dalla lavoratrice e da lei riproposta in appello in termini di annullamento per vizio della volontà rappresentato da incapacità naturale;
la domanda subordinata è fondata, considerato che lo stato di alterazione e di incapacità naturale della lavoratrice è stato provato dalle dichiarazioni testimoniali, che hanno fatto riferimento ad un evidente stato di alterazione psichica della COGNOME;
secondo la Suprema Corte di Cassazione, a tal fine è sufficiente un turbamento psichico tale da impedire la formazione di una volontà cosciente, così da far venire meno la capacità di autodeterminazione e la consapevolezza dell’importanza dell’atto che si sta per compiere, ossia la rinunzia al posto di lavoro (Cass. n. 30126/2018);
ne consegue che va dichiarata ‘ la nullità ‘ delle dimissioni con conseguente conferma del risarcimento del danno come disposto dal Tribunale.
4.- Avverso tale sentenza NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso ed a sua volta ha proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.
6.- RAGIONE_SOCIALE ha poi depositato memoria, nella quale ha sollevato eccezione di improcedibilità dei motivi secondo e terzo del ricorso principale a causa della mancata produzione integrale del CCNL invocato.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
RICORSO PRINCIPALE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 156, co. 2, c.p.c. per essere il dispositivo affetto da contraddittorietà insanabile, laddove da un lato accoglie l’appello della società, dall’altro conferma la sentenza impugnata.
Il motivo è fondato.
Nel rito del lavoro il dispositivo della sentenza non è – come nel rito ordinario – un atto puramente interno, modificabile dallo stesso giudice fino a quando la sentenza non venga pubblicata, ma è atto di rilevanza esterna, che
racchiude gli elementi del comando giudiziale, i quali non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione, atteso che la sua lettura in udienza fissa in maniera immodificabile tale comando portandolo ad immediata conoscenza delle parti (Cass. n. 7698/2008). Dunque nel rito del lavoro sussiste il principio della prevalenza del dispositivo sulla motivazione (Cass. ord. n. 21885/2010), tanto che le proposizioni contenute nella seconda e contrastanti con il primo devono considerarsi non apposte e non idonee a passare in giudicato o ad arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile (Cass. ord. n. 21885 cit.; Cass. n. 23463/2015).
Coerentemente il legislatore riconosce al dispositivo la natura di atto dotato di una sua autonomia rispetto alla sentenza, tanto da costituire di per sé titolo esecutivo (art. 431, co. 2, c.p.c.) e da legittimare l’impugnazione con riserva dei motivi (art. 433, co. 2, c.p.c.). Pertanto e a maggior ragione il contrasto insanabile fra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante l’impugnazione, in difetto della quale preva rrà il dispositivo (Cass. ord. n. 23157/2024; Cass. ord. n. 37079/2022; Cass. n. 18202/2008).
Ne consegue che il dispositivo, come atto decisorio prevalente sulla motivazione, deve essere necessariamente ed intrinsecamente coerente, ciò che nella specie non è.
Infatti, nel dispositivo la Corte territoriale da un lato ‘accoglie l’appello’ , dall’altro, e subito dopo, ‘conferma l’impugnata sentenza’, utilizzando quindi due proposizioni assolutamente inconciliabili e rendendo, di conseguenza, assolutamente non intellegibili il significato e la portata dell’atto decisorio e del decisum o del comando giudiziale ivi contenuto.
A tal fine la motivazione non è d’ausilio, poiché anch’essa si rivela insanabilmente incoerente e, quindi, non intellegibile: da un lato, respinta la domanda di nullità delle dimissioni per difetto di forma ad substantiam , i giudici d’appello dànno atto che in appello era stata riproposta la domanda subordinata di annullamento delle dimissioni per incapacità naturale della lavoratrice quale vizio della volontà ; dall’altro, esaminando e decidendo tale domanda, inspiegabilmente affermano che le dimissioni sono nulle piuttosto che -come sarebbe dovuto essere -annullabili e da annullare.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio, anche per la
regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1324, 1325, 1352, 1362, 1418 c.c. e 241 CCNL per i dipendenti da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi per avere la Corte territoriale ritenuto equiparabile la consegna a mani con la raccomandata con avviso di ricevimento o con altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento.
Il motivo è assorbito.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1324, 1352, 1362, 2704 c.c., 115 c.p.c. e 241 CCNL di settore per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato la clausola del contratto collettivo sulla forma necessaria per le dimissioni.
Il motivo è parimenti assorbito.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 91, 92, 112 e 324 c.p.c. per avere la Corte territoriale regolato nuovamente le spese processuali del primo grado, nonostante la conferma della relativa decisione e pur in mancanza di un motivo di impugnazione da parte della società, nonché per avere illegittimamente compensato le spese di appello.
Il motivo è ugualmente assorbito, dal momento che la Corte territoriale dovrà compiere un nuovo accertamento che potrà sfociare in una riforma oppure in una conferma della sentenza di primo grado, con le conseguenze in tema di regolamentazione delle spese processuali.
RICORSO INCIDENTALE
1.- Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3), 4) e 5), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1324 e 1438 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente uno stato di incapacità naturale della lavoratrice invece inesistente al momento delle dimissioni.
Il motivo è ugualmente assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione in relazione al motivo accolto e per la regolazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data