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Disparità di trattamento: scatti di anzianità dovuti

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’ASL, confermando il diritto di una lavoratrice agli scatti di anzianità. La decisione si fonda sul principio di non disparità di trattamento, poiché l’ente non ha giustificato la differenza retributiva rispetto ad altri dipendenti.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Disparità di trattamento nel pubblico impiego: la Cassazione fa chiarezza sugli scatti di anzianità

Con l’ordinanza n. 24156 del 2024, la Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il riconoscimento degli scatti di anzianità a seguito di un lungo periodo di precariato. La decisione evidenzia come il principio di non disparità di trattamento tra dipendenti sia un baluardo fondamentale che il datore di lavoro pubblico non può ignorare, pena la condanna al riconoscimento delle differenze retributive.

Il caso: dalla precarietà alla stabilizzazione

Una lavoratrice, dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale (ASL), aveva prestato servizio per anni in una posizione inizialmente precaria, stabilizzata solo dopo molto tempo. Nonostante la continuità del rapporto, l’ASL le negava la progressione economica legata all’anzianità di servizio (i cosiddetti ‘scatti di anzianità’), creando una differenza di trattamento rispetto ai colleghi assunti direttamente a tempo indeterminato.

La lavoratrice si è quindi rivolta al Tribunale per ottenere il riconoscimento del proprio diritto al corretto inquadramento e al pagamento delle differenze retributive, inclusi gli scatti di anzianità maturati nel tempo.

La decisione dei Giudici di merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione alla dipendente, seppur parzialmente. In particolare, la Corte territoriale ha confermato il suo diritto a ricevere gli scatti di anzianità. La motivazione dei giudici si è concentrata su un punto essenziale: l’ASL non era riuscita a fornire alcuna giustificazione oggettiva e trasparente per la disparità di trattamento applicata alla lavoratrice rispetto ad altri dipendenti del servizio sanitario nazionale, che svolgevano mansioni simili con le medesime modalità di lavoro e sotto lo stesso potere disciplinare.

L’inammissibilità del ricorso in Cassazione per disparità di trattamento

L’Azienda Sanitaria ha impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Corte di Cassazione. I motivi del ricorso si basavano principalmente su presunte violazioni di norme procedurali (art. 112 c.p.c.) e su una specifica normativa che, a suo dire, avrebbe soppresso determinati aumenti retributivi legati all’anzianità (R.I.A.).

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per una pluralità di ragioni. In primo luogo, le censure di natura procedurale non erano state sollevate correttamente nel giudizio di appello. In secondo luogo, e questo è il punto più rilevante, i motivi di ricorso erano del tutto inconferenti rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata. In altre parole, l’ASL ha costruito la sua difesa su argomenti che non toccavano il vero cuore della motivazione della Corte d’Appello.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato che la decisione dei giudici di merito non si basava sull’interpretazione delle norme indicate dall’ASL, ma esclusivamente sulla violazione del principio di parità di trattamento. La Corte d’Appello aveva riconosciuto il diritto della lavoratrice perché l’ente pubblico non aveva adempiuto al proprio onere di provare l’esistenza di ragioni oggettive che giustificassero la differenza retributiva.

Il ricorso dell’ASL è stato definito un ‘non motivo’, poiché non criticava la vera ragione della decisione, ma si limitava a riproporre argomenti irrilevanti per il caso specifico. Di fronte al ‘difetto di deduzioni e prove adeguate’ da parte del datore di lavoro circa le giustificazioni del trattamento diversificato, la condanna era inevitabile.

Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni. La prima, di carattere processuale, ribadisce la necessità di formulare i motivi di impugnazione in modo specifico e pertinente alla ratio decidendi della sentenza che si intende criticare. La seconda, di carattere sostanziale, rafforza il principio di non disparità di trattamento nel pubblico impiego. Un datore di lavoro pubblico non può negare una progressione economica basata sull’anzianità a un lavoratore stabilizzato solo in virtù della pregressa natura precaria del rapporto, a meno che non sia in grado di dimostrare, con criteri oggettivi e trasparenti, una valida ragione per tale differenziazione. L’onere della prova, in questi casi, ricade interamente sull’amministrazione.

È possibile negare la progressione economica a un dipendente pubblico sulla base della pregressa precarietà del suo rapporto di lavoro?
No, secondo l’ordinanza, non è possibile se ciò crea una disparità di trattamento ingiustificata rispetto ad altri dipendenti in situazioni analoghe. Il datore di lavoro pubblico ha l’onere di dimostrare l’esistenza di ragioni oggettive e trasparenti che giustifichino tale differenza.

Perché il ricorso dell’Azienda Sanitaria è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché i motivi addotti non erano pertinenti alla ratio decidendi (la ragione fondamentale) della sentenza d’appello. L’ASL ha basato la sua difesa su norme non rilevanti per il caso, ignorando che la condanna si fondava sulla violazione del principio di parità di trattamento e sulla mancata prova di una sua giustificazione.

Qual è il principio fondamentale su cui si basa la decisione della Corte?
Il principio cardine è quello di non discriminazione e parità di trattamento. La Corte ha stabilito che, a fronte di dipendenti che si trovano nella stessa situazione lavorativa (orario, modalità di verifica, potere disciplinare), qualsiasi trattamento economico differenziato deve essere supportato da una valida e provata giustificazione oggettiva, il cui onere probatorio spetta al datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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