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Dismissione immobili pubblici: offerta e opzione

In un caso di dismissione immobili pubblici, la Cassazione ha stabilito che una lettera inviata da un ente previdenziale ai suoi inquilini per sondare l’interesse all’acquisto non costituisce un’offerta di vendita vincolante. Di conseguenza, la successiva manifestazione di volontà degli inquilini non perfeziona un contratto preliminare. La Corte ha annullato la decisione d’appello che ordinava il trasferimento forzato degli immobili, rinviando il caso per un nuovo esame basato sul principio che serve una proposta contrattuale completa e specifica da parte dell’ente.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Dismissione Immobili Pubblici: la Cassazione chiarisce quando sorge il diritto dell’inquilino

Nel complesso ambito della dismissione immobili pubblici, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8851/2024, ha fornito un’importante precisazione sui presupposti necessari affinché la manifestazione di interesse dell’inquilino all’acquisto si trasformi in un vincolo contrattuale. La sentenza stabilisce che una semplice comunicazione esplorativa da parte dell’ente proprietario, priva degli elementi essenziali del contratto come il prezzo, non può essere considerata un’offerta di vendita vincolante.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta di due conduttrici di immobili di proprietà di un noto ente previdenziale pubblico. Le inquiline sostenevano di aver perfezionato l’acquisto dei rispettivi appartamenti nel 2001, avendo risposto positivamente a una comunicazione inviata dall’ente nel 1999. In tale lettera, l’ente avviava un’indagine conoscitiva per sondare la propensione all’acquisto da parte dei suoi locatari.

Le conduttrici, ritenendo che la loro accettazione avesse dato vita a un contratto preliminare, avevano citato in giudizio l’ente chiedendo una sentenza che trasferisse loro la proprietà degli immobili ai sensi dell’art. 2932 c.c.

Il Tribunale di primo grado aveva declinato la propria giurisdizione a favore del giudice amministrativo. La Corte d’Appello, invece, aveva ribaltato la decisione, accogliendo la domanda delle inquiline e ordinando il trasferimento degli immobili, ritenendo che la lettera del 1999 costituisse una vera e propria proposta contrattuale.

La Questione della Dismissione Immobili Pubblici davanti alla Cassazione

L’ente previdenziale ha proposto ricorso per cassazione, contestando la decisione della Corte d’Appello su più fronti. Il nodo centrale della controversia era stabilire la natura giuridica della comunicazione del 1999: si trattava di una mera indagine di mercato o di una proposta di vendita idonea a far sorgere, in seguito all’accettazione, un contratto preliminare?

L’ente sosteneva che nessuna volontà di vendere fosse stata manifestata prima del 2007, quando aveva inviato delle offerte formali che tenevano conto della successiva classificazione degli immobili come “di pregio”.

L’errore della Corte d’Appello secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso dell’ente, individuando un duplice errore nella sentenza impugnata. In primo luogo, un error in procedendo, poiché la Corte d’Appello aveva erroneamente affermato che l’ente non avesse contestato nel merito le pretese delle inquiline, mentre in realtà l’ente si era sempre difeso sostenendo che la missiva del 1999 fosse un semplice questionario informativo.

In secondo luogo, e più importante, un error in iudicando sull’interpretazione della normativa relativa alla dismissione immobili pubblici.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: il diritto di prelazione o di opzione degli inquilini sorge solo quando l’ente proprietario manifesta validamente e adeguatamente la volontà di vendere attraverso una specifica proposta di alienazione. Tale proposta deve contenere gli elementi essenziali del contratto, in primis la determinazione del prezzo.

Citando un proprio precedente (Ord. n. 24894/2023), la Corte ha affermato che la disciplina sulla dismissione non crea un obbligo di vendita derivante direttamente dalla legge. Trasformare una semplice manifestazione di interesse in un vincolo contrattuale stravolgerebbe la natura degli atti di dismissione, trasformandoli in anomale procedure ablative.

La comunicazione del 1999, essendo priva di un prezzo e presentata come una mera indagine, non poteva essere qualificata come una proposta contrattuale. Di conseguenza, la risposta delle conduttrici non era sufficiente a perfezionare un contratto preliminare di vendita.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La decisione della Cassazione cassa la sentenza d’appello e rinvia la causa a un’altra sezione della stessa Corte per un nuovo esame. Il giudice del rinvio dovrà attenersi al principio di diritto secondo cui, nel contesto della dismissione immobili pubblici, è necessaria una proposta di vendita formale e completa da parte dell’ente perché possa sorgere un diritto soggettivo dell’inquilino all’acquisto coattivo dell’immobile.

Questa ordinanza rafforza la tutela degli enti pubblici, evitando che vengano vincolati contrattualmente sulla base di comunicazioni interlocutorie o esplorative. Per gli inquilini, invece, emerge la chiara indicazione che il diritto all’acquisto si concretizza solo di fronte a un’offerta formale, chiara e completa in tutti i suoi elementi essenziali.

Una lettera di un ente pubblico che chiede agli inquilini se sono interessati ad acquistare costituisce un’offerta di vendita vincolante?
No, la Cassazione ha chiarito che una mera comunicazione esplorativa, senza indicazione del prezzo e delle condizioni di vendita, non è una proposta contrattuale idonea a far sorgere un diritto di opzione in capo all’inquilino.

A quale giudice spetta decidere una causa in cui un inquilino chiede il trasferimento di un immobile pubblico sulla base di un presunto contratto preliminare?
La giurisdizione spetta al Giudice Ordinario (G.O.), poiché la domanda mira a far valere un diritto soggettivo alla stipula di un contratto e non a contestare un atto amministrativo.

Cosa succede se un giudice d’appello accoglie una domanda affermando erroneamente che la controparte non l’aveva contestata nel merito?
La Corte di Cassazione può annullare la sentenza per “error in procedendo”, in quanto il giudice ha violato il principio di non contestazione, ignorando le difese che la parte aveva effettivamente svolto nel corso del giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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