Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24183 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 24183 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3174/2020 R.G. proposto da : TIRRICIELLO DONATO, TIRRICIELLO COGNOME, TIRRICIELLO NOME, TIRRICIELLO INCORONATA, COGNOME e COGNOME COGNOME, domiciliati digitalmente ex lege ; rappresentati e difesi dagli Avv. NOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale a margine del ricorso;
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME domiciliata digitalmente ex lege ; rappresentata e difesa da ll’A vv. COGNOME (CODICE_FISCALE;
nonché contro
NOME (CODICE_FISCALE
-intimata- avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza n. 386/2019, depositata il 7/11/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25/6/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato il 21/5/2013 presso il Tribunale di Melfi, NOME COGNOME dè Reguardati chiese accertarsi l’intervenuta scadenza alla data del 10/11/2012 (e, in subordine, la risoluzione) del contratto di affitto agrario relativo ad alcuni terreni di sua proprietà in Ripacandida (PZ), concluso nel 1975 con NOME COGNOME e proseguito, alla morte di quest’ultimo, con i suoi eredi NOME COGNOME (moglie) e NOME, NOME, NOME, COGNOME, NOME e NOME (figli).
Il Tribunale di Potenza (al quale, nel frattempo, quello di Melfi era stato accorpato) accolse la domanda e, accertato che, dopo la morte di NOME COGNOME, il rapporto era continuato con i soli figli NOME NOME condannò questi ultimi al rilascio del fondo, sul presupposto che l’efficacia del contratto agrario fosse venuta a cessare a partire dall’annata agraria 2011/2012, in virtù di tempestiva disdetta intimata dalla proprietaria in data 3/10/2011, rigettando, per converso, la domanda riconvenzionale volta ad ottenere l’indennità per i miglioramenti apportati al fondo.
La sentenza di primo grado fu impugnata da tutti i germani COGNOME. In particolare, NOME, NOME, NOME e NOME lamentarono
l’avvenuta compensazione delle spese del primo grado di giudizio, nonostante la loro accertata estraneità al rapporto contrattuale, mentre NOME e NOME censurarono la statuizione con cui era stata ritenuta valida la disdetta intimata dalla proprietaria, siccome indirizzata impersonalmente e collettivamente agli eredi di NOME COGNOME presso l’ultimo domicilio di quest’ultimo.
In ordine al primo motivo di impugnazione, l a Corte d’appello di Potenza osservò come la sentenza di prime cure avesse adeguatamente dato conto delle ragioni poste a fondamento della compensazione delle spese, in relazione – segnatamente – alla qualità di eredi dell’originario affittuario delle sorelle COGNOME , nonché alla ‘ circostanza, dalle stesse ammessa nella memoria di costituzione in primo grado, d’aver saltuariamente aiutato i fratelli maschi nella condzione dei terreni ricevuti dal padre ‘ (pa g. 7 della sentenza impugnata), e infine per avere una di esse (NOME) ricevuto la disdetta, ‘provvedendo ad avvisare gli altri germani solo del tempo dopo’ ( ibidem ) : elementi, questi, che avevano ‘avuto l’effetto di far sorgere nella proprietaria dei fondi il convincimento della necessità di doverle citare in giudizio per ottenere una pronuncia che facesse stato anche nei loro confronti’ ( ibidem ). La sentenza del Tribunale di Potenza venne confermata anche in ordine all’efficacia della disdetta inviata dalla COGNOME dè COGNOME (giunta a destinazione il 3/10/2011 e ritirata da NOME COGNOME), dovendo ritenersi integrati i presupposti dell’art. 1335 c.c. nei confronti dei conduttori NOME e NOME COGNOME, tenuto conto che essi avevano successivamente indirizzato (in data 24/9/2012) una missiva alla proprietaria e al suo difensore, nella quale facevano espresso riferimento alla suddetta disdetta. Fu rigettato, inoltre, il motivo di impugnazione afferente alla riconvenzionale – già respinta in primo grado preordinata al riconoscimento dell’indennità per i miglioramenti, nonché quello relativo al carico delle spese della consulenza grafologica esperita in primo grado, che la Corte
d’appello ritenne legittimamente addossato agli appellanti nonostante l’esito sfavorevole d ella stessa per la COGNOME, posto che il disconoscimento della sottoscrizione ‘può derivare anche semplicemente da un deficit di memoria del presunto sottoscrittore o dal lungo lasso di tempo trascorso dal fatto’ (pag. 9 della sentenza impugnata).
I fratelli COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME dè COGNOME ha resistito con controricorso.
Inizialmente destinato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380bis .1 c.p.c., con ordinanza interlocutoria 22089/2024 il ricorso è stato rinviato alla pubblica udienza, in considerazione del rilievo nomofilattico involto dalla questione sottesa al secondo motivo.
In vista della pubblica udienza del 25 giugno 2025, il Procuratore generale ha depositato le proprie conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME deducono la ‘nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per vizio di motivazione, mancanza e/o difetto di motivazione in relazione alla sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni legittimanti la compensazione delle spese e compensi legali’.
Viene censurata la statuizione con cui il giudice d’appello confermò la compensazione delle spese del giudizio di primo grado da parte del Tribunale di Potenza, senza tener conto che l’originaria attrice aveva convenuto in giudizio (anche) le sorelle COGNOME pur nella piena consapevolezza della loro estraneità alla controversia, posto che, con lettera del 27/3/2008, la prima aveva ‘ acconsentito che il nuovo conduttore dei terreni fosse il figlio COGNOME
COGNOME, fissando come data di scadenza del contratto quella del 14/3/2009′ (pag. 14 del ricorso per cassazione) . Non sussistevano, dunque, secondo le ricorrenti, quelle ‘gravi ed eccezionali ragioni’ alla cui ricorrenza l’art. 92 c.p.c. subordina la possibilità della compensazione, neppure sotto forma di ‘obiettiva incertezza sul diritto controverso’ (cui fa riferimento la sentenza impugnata) , anche tenuto conto del comportamento processuale della COGNOME, la quale aveva strumentalmente disconosciuto la propria sottoscrizione sulla lettera del 27/3/2008, proprio perché sapeva che dalla stessa si sarebbero potute evincere circostanze a sé sfavorevoli, sotto il profilo che si sta considerando.
Il motivo è inammissibile, in primo luogo per violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c.
La relativa illustrazione si articola con l’evocazione di una serie di elementi fattuali e di documenti, nonché con riferimento alla c.t.u. svolta in primo grado. Senonché, rispetto ai primi, si omette di individuare le sedi del processo di merito (di primo, come di secondo grado) nelle quali sarebbero stati introdotti, con la conseguenza che ne è impossibile la ‘ localizzazione ‘ nel presente giudizio di legittimità. Rispetto ai documenti – tra cui i vaglia con cui erano stati pagati i canoni di affitto e la lettera del 27/3/2008 a firma di NOME COGNOME COGNOME -, parimenti si omette l’indicazione del se e dove era avvenuta la loro produzione in giudizio, venendo gli stessi solo ‘ localizzati ‘ questo giudizio di legittimità mediante l’indicazione della relativa allegazione al ricorso. La ‘ localizzazione ‘ in questa sede difetta anche relativamente ai riferimenti alla c.t.u.. In tale situazione, l’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 n.6 c.p.c. è violato, tenuto conto che ‘ il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale
fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile ‘ (Cass., n. 19048/2016; si vedano anche Cass., Sez. un., n. 34469/2019 e la successiva conforme Cass., n. 18695/2021, alla cui stregua ‘ sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità ‘ ). Insufficiente deve ritenersi, pertanto – ferme le residue carenze, per il resto, anche sotto tale profilo -, la mera ‘ localizzazione ‘ dei vaglia e della dichiarazione sopra menzionati nel fascicolo del presente giudizio di legittimità, di cui a pag. 35 del ricorso.
In secondo luogo, si rileva che, con articolata motivazione, la Corte d’appello ha affermato quanto segue: ‘ a parere della Corte, tuttavia, tali circostanze specifiche sono state evidenziate nella sentenza impugnata e risultano idonee a condurre alla compensazione delle spese nonostante la soccombenza. In particolare, il primo giudice ha ritenuto ‘ giustificata ‘ la vocatio in ius delle figlie femmine di NOME per esser queste ultime ‘ risultate effettivamente eredi dell’originario affittuario seppur non subentrate nella concreta conduzione dei terreni ‘. In tal modo il giudicante ha voluto sottolineare che la indubbia qualità di eredi delle predette convenute, unitamente alla circostanza, dalle stesse ammessa nella memoria di costituzione di primo grado, d’aver saltuariamente aiutato i fratelli maschi nella condzione dei terreni ricevuti dal padre; e, ancora,
quella dell’esser stata proprio una di esse (NOME) a ricevere la disdetta dal contratto, provvedendo ad avvisare gli altri germani solo del tempo dopo, hanno avuto l’effetto di far sorgere ne lla proprietaria dei fondi il convincimento della necessità di doverle citare in giudizio per ottenere una pronuncia che facesse stato anche nei loro confronti’ (paragrafi 1.2 e 1.3) .
Orbene, a tale motivazione il ricorso fa un fugace riferimento a pag. 12, senza però che le argomentazioni spese dai ricorrenti si confrontino con le circostanze poste dalla stessa a giustificazione della statuita compensazione delle spese. Viene, pertanto, in rilievo il consolidato principio secondo cui ‘ il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo’. Ne deriva pertanto, in riferimento al ricorso per Cassazione, che ‘tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c.’ (v. Cass., n. 1341/2024, che richiama Cass., n. 359/2005; Cass., Sez. Un., n. 7074/2017, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., n. 16598/2016; Cass., n. 22226/2016; Cass., n.
9951/2021; Cass., n. 18066/2019; Cass., n. 6184/2009; Cass., n. 5244/2006; Cass., n. 4741/2005).
In ogni caso, le argomentazioni spese dalla corte territoriale integrano una motivazione (evidentemente esistente nonché, quanto meno astrattamente) logica, alla stregua della nozione normativa delle ‘gravi ed eccezionali ragioni’ di cui all’art. 92 c.p.c. (nella formulazione ratione temporis vigente, come risultante dalla sentenza della Corte cost., n. 77/2018, che viene in rilievo).
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 303 c.p.c.; 1334 e 1335 c.c.; 4, 48 e 49 della l. n. 203 del 1982, nonché la ‘insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione alla irritualità della disdetta’ , dal momento che quest’ultima era stata spedita all’ultimo domicilio del defunto ben quattro anni dopo la sua morte, invece che presso la residenza del figlio NOME, del cui subentro nella conduzione del fondo la proprietaria concedente era pienamente a conoscenza. Non poteva dirsi operante, quindi, la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., dal momento che l’atto non era giunto all’indirizzo del destinatario (da individuarsi correttamente in NOME COGNOME); né indicazioni in senso contrario potevano trarsi dalla lettera del 24/9/2012 la quale, a tutto concedere, non dimostra che NOME e NOME COGNOME avessero avuto notizia dell ‘ avvenuta disdetta, da parte della sorella NOME ( che l’aveva materialmente ricevuta ), in tempo utile ai fini del rispetto del termine ex art. 4 della l. n. 203/1982. Con la conseguenza che il contratto agrario si sarebbe dovuto ritenere prorogato fino all’11/11/2017.
Anche questo motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata richiama Cass., n. 17868/2007, e ritiene integrata la fattispecie di cui all’art. 1335 c.c. perché ‘la disdetta giunse a destinazione il 3/10/2011 e venne ritirata dall’erede COGNOME NOMECOGNOME (pag. 8). Richiama, poi, la missiva indirizzata alla proprietaria, in data 24/9/2012, da NOME e NOME COGNOME
nella quale questi ultimi manifestavano di essere a conoscenza della suddetta disdetta. Ebbene, la critica a tale ultima parte della motivazione (condotta a pag. 27 del ricorso) è prospettata senza fornire l’indicazione specifica -ai sensi dell’art. 366, n. 6, c.p.c. – del relativo documento (per l’appunto, la missiva del 24/9/2012), neppure localizzato nell’ambito del giudizio di legittimità . D’altra parte, proprio tale punto della motivazione (nel quale la Corte di merito dà conto delle circostanze concrete rivelatesi decisive a fondare, nel caso di specie, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c.) appare disvelare l’effettiva ratio decidendi della pronuncia impugnata (osserva il P.G., sul punto, che ‘ciò che in ogni caso viene in rilievo ai fini della ritualità della disdetta contrattuale è la presunzione di conoscenza, ai sensi dell’art. 1335 c.c., per cui, legittimamente, la Corte territoriale ha ritenuto che la manifestazione di volontà di parte concedente di non proseguire il rapporto alla sua scadenza (a norma dell’art. 4 legge n. 20371982) sia giunta a conoscenza dei destinatati, conduttori al momento del fondo’), con ciò ‘marginalizzando’ , da tale angolo visuale, il richiamo al principio di diritto di cui a Cass., n. 17868/2007, sul quale i ricorrenti lungamente si soffermano.
3. Il terzo motivo di ricorso censura la ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 88 c.p.c. per vizio di motivazione, mancanza e/o difetto di motivazione in relazione alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di c.t.u. grafologica, che dovevano essere poste a carico di NOME COGNOME dè COGNOME, stante l’accertamento dell’autenticità della firma apposta sulla scrittura privata del 27/03/2008, che era stata disconosciuta’ . Secondo i ricorrenti, la c.t.u. si era resa necessaria, infatti, a causa del disconoscimento della propria sottoscrizione effettuato in mala fede dalla COGNOME.
Il motivo è palesemente infondato, dal momento che – in disparte il principio per cui, ‘ in tema di liquidazione delle spese processuali, tra
le quali rientrano anche quelle relative alla consulenza tecnica d’ufficio, stante la natura discrezionale dei criteri di ripartizione delle stesse, il ricorso per cassazione con il quale venga dedotta la violazione del principio generale di soccombenza, in virtù del principio di autosufficienza ed a pena di inammissibilità, deve essere accompagnato dalla produzione o dalla trascrizione del decreto di liquidazione censurato (Cass., n. 20763/2018) -, ai fini dell’individuazione del soggetto tenuto al pagamen to delle spese di c.t.u. (come esattamente rilevato dal P.G.) rileva la soccombenza, concetto da riferirsi all’esito complessivo della lite (si veda Cass., n. 13356/2021, alla cui stregua ‘il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole’, nonché Cass., n. 6369/2013).
4 . In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità (liquidate in dispositivo).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in € 8.0 00,00 per compensi professionali ed € 200 ,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione