Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19229 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19229 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4036-2018 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1035/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 05/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; Lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
COGNOME NOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce l’ex coniuge COGNOME NOME, evidenziando che nel 1999 era stato introdotto un giudizio di separazione giudiziale, nel corso del quale, in data 22 giugno 1999, avevano concluso una transazione per effetto della quale, per quanto ancora rileva in questa sede, si dava atto della proprietà esclusiva di determinati beni, e si ricordava che era formalmente intestata al COGNOME un’abitazione in Roma al INDIRIZZO.
Tuttavia, tale immobile era stato acquistato in realtà da entrambi, come da dichiarazione resa in data 3 maggio 1990; in relazione a tale immobile la COGNOME aveva dichiarato di rinunciare alla sua quota, subordinandone però gli effetti al fatto che il marito le consegnasse tre quadri di rilevante valore, ancora in suo possesso, entro e non oltre dieci giorni dalla conclusione della stessa transazione.
Poiché però erano stati consegnati solo due quadri, e poiché il convenuto aveva nelle more alienato l’intera proprietà del bene in Roma, l’attrice chiedeva accertare il mancato avveramento della condizione sospensiva, o in subordine la risoluzione di diritto della transazione, onde procedere alla divisione dei beni comuni, ed in particolare dell’appartamento.
Il Tribunale adito, con la sentenza n. 4336 del 9 dicembre 2013, dichiarava inefficace la transazione per il mancato avveramento
della condizione cui la stessa era stata sottoposta, e nella parte concernente la rinuncia dell’attrice alla sua quota di comproprietà, e condannava il COGNOME alla restituzione in favore della ex moglie della somma di € 432.870,00, pari al valore della metà dell’appartamento nelle more veduto.
La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 1035 del 5 ottobre 2017, ha rigettato l’appello del COGNOME, con la condanna anche al rimborso delle spese del grado.
Quanto al primo motivo con il quale si contestava la natura comune dei beni di cui al punto 4 dell’atto di citazione, la sentenza osservava che non vi era stata alcuna pronuncia sugli stessi, ma che il Tribunale si era limitato a dare atto dell’inefficacia della transazione quanto alla previsione con la quale la COGNOME dichiarava di rinunciare alla sua quota di comproprietà sul bene in Roma, avendo però confermato la validità ed efficacia delle ulteriori previsioni di cui alla transazione. Inoltre, il convenuto, nel costituirsi in giudizio in primo grado, non aveva mai contestato la comproprietà dei beni elencati nel punto 4 della citazione, né aveva chiesto in via riconvenzionale di annullare la transazione.
In merito alla deduzione circa la carenza di interesse dell’attrice a chiedere la divisione dei beni di cui al citato punto 4, la Corte d’Appello evidenziava che il Tribunale non aveva disposto la loro divisione, così che unica legittimata a dolersi dell’omessa divisione poteva essere la stessa attrice, che però aveva concentrato le sue difese sulla sola inefficacia della rinuncia al diritto di comproprietà per il mancato avveramento della condizione, rappresentata dalla consegna di tutti i quadri previsti.
Disatteso anche il motivo di appello con il quale si deduceva che fosse stata pronunciata l’inefficacia parziale in contrasto con la domanda effettiva dell’attrice (e ciò in ragione della reciproca autonomia delle varie prescrizioni contenute nell’atto transattivo), la sentenza dopo aver ribadito il regime delle eccezioni in senso stretto, applicabile al processo ratione temporis , sottolineava che l’eccezione di inadempimento sollevata dal convenuto era sì tempestiva, ma del tutto generica nel suo contenuto, essendo mancata la puntuale allegazione ed individuazione dei beni che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe omesso di restituire.
Aveva, invece, portata decisiva il fatto che la consegna dei quadri da parte dell’appellante alla moglie nel termine fissato era da qualificare come evento condizionale, così che una volta non avveratasi nel termine concordato, la transazione perdeva la sua efficacia quanto alla rinuncia della COGNOME alla sua quota di proprietà sull’immobile in Roma, e senza che potesse assumere rilievo accertare la natura essenziale o meno del termine stesso.
Non poteva però omettersi di rilevare che la mancata consegna del quadro, ove anche riguardata sul piano dell’esistenza di un’obbligazione inadempiuta, rappresentava un grave inadempimento, costituendo l’adeguata contropartita della rinuncia alla quota, ed essendo decorso un notevole tempo tra l’impegno preso e la dichiarazione di disponibilità alla consegna dell’ultimo quadro, intervenuta solo in prossimità dell’introduzione del giudizio.
Ancora, era disattesa l’eccezione di disconoscimento della scrittura ricognitiva del reale regime proprietario, essendo respinto anche il motivo di appello con il quale si contestava la stima dell’immobile a Roma sulla scorta del quale era stata
individuata la somma che il convenuto aveva dovuto versare all’attrice.
NOME NOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Lecce sulla base di quattro motivi.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Con ordinanza interlocutoria del 25 settembre 2023, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione rimessale dalla I sezione civile con ordinanza n. 18262/2023.
Quindi intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite n. 3453 del 7 febbraio 2924, la causa è stata fissata per l’adunanza del 2 luglio 2024, in vista della quale le parti hanno depositato memorie.
L’ordine logico delle questioni impone la preventiva disamina del quarto motivo di ricorso, che espone un vizio di carattere processuale che ha natura prioritaria rispetto alle censure di cui ai primi tre motivi, che invece investono anche direttamente il merito della decisione di appello.
Il quarto motivo lamenta in particolare la nullità della sentenza ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., conseguente alla violazione dell’art. 352, co. 2 c.p.c.
Deduce il ricorrente che in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi alla Corte d’Appello, prevista per l’udienza del 10 maggio 2017 i propri difensori avevano esplicitamente chiesto la discussione orale della causa.
La richiesta era stata poi reiterata nelle memorie di replica del 31 luglio 2017, con la specifica richiesta di fissazione dell’udienza di discussione orale della causa.
Nonostante tali richieste, tuttavia il Collegio ha deciso la causa alla scadenza dei termini per le memorie di replica senza dare seguito alla richiesta di fissazione dell’udienza di discussione, come invece prescritto dall’art. 352 co. 2 c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis .
Nel motivo si evidenzia che tale omissione ha poi apportato un grave pregiudizio al diritto di difesa del ricorrente, che in sede di discussione avrebbe potuto meglio illustrare la contestazione della comproprietà dell’attrice, essendo un tema del quale si era fatto cenno nella memoria di replica e che meritava un’ulteriore illustrazione, proprio avvalendosi della udienza di discussione orale.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ritiene di dover dare continuità a quanto di recente affermato da Cass. n. 2067/2023, secondo cui nel giudizio di appello, la mancata fissazione dell’udienza di discussione orale della causa nonostante la rituale richiesta di una delle parti, formulata in sede di precisazione delle conclusioni e ribadita nel termine per il deposito delle memorie di replica ai sensi dell’art. 352, comma 2, c.p.c., comporta, di per sé, la nullità della sentenza, senza che sia necessario indicare gli argomenti che avrebbero potuto essere illustrati durante la discussione, poiché l’impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con pienezza le loro difese finali, anche nelle forme orali, all’esito dell’esame delle memorie di replica, costituisce di
per sé un “vulnus” al principio del contraddittorio e una violazione del diritto di difesa (conf. Cass. n. 23353/2023).
Non ignora il Collegio, come peraltro evidenziato anche dallo stesso ricorrente, che il tema avesse in passato ricevuto delle soluzioni contrastanti, essendosi in alcuni precedenti (Cass. n. 18618/2003; Cass. n. 28229/2017), invece, sostenuto che l’omessa fissazione, nel giudizio d’appello, dell’udienza di discussione orale, pur ritualmente richiesta dalla parte ex art. 352 c.p.c., non comporta necessariamente la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, giacché l’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato ” error in procedendo “; sicché, avendo la discussione della causa nel giudizio d’appello una funzione meramente illustrativa delle posizioni già assunte e delle tesi già svolte nei precedenti atti difensivi e non sostitutiva delle difese scritte ex art. 190 c.p.c., per configurare una lesione del diritto di difesa non basta affermare, genericamente, che la mancata discussione ha impedito al ricorrente di esporre meglio la propria linea difensiva, essendo al contrario necessario indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi.
Trattasi, però, di soluzione che deve reputarsi recessiva a fronte delle affermazioni di principio contenute nella più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n.
36596/2021), e di cui prende puntualmente atto, traendone le dovute conseguenze, il citato precedente del 2023.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno espressamente affermato che “La parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; invero, la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo”.
L’inosservanza della norma in esame, come anche di quella dettata per la fruizione dei termini per gli scritti conclusionali, determina una nullità in quanto la stessa è una garanzia per la tutela di norme che costituiscono espressione di un principio costituzionale: segnatamente del presidio accordato dagli artt. 24 e 111, secondo comma, cost., e ciò in quanto il diritto al contraddittorio va preservato per tutto l’arco del processo, salve eventuali eccezioni dettate dalla garanzia associata al diritto di azione, come accade per esempio nel rito cautelare ante causam –
anche in questo caso da contemperare, peraltro, in vista del recupero dei contraddittorio nelle fasi immediatamente successive.
Né è dato invocare per addivenire ad una diversa soluzione l’art. 111, secondo comma, cost., che ha recepito anche il principio di ragionevole durata, e tramite questo il principio di economia processuale, avendo le Sezioni Unite già messo in luce che il principio del giusto processo, anche in base all’art. 6 della Cedu, non si esplicita nella sola sua durata ragionevole, non potendosi in nome del medesimo eludere distinte norme processuali improntate alla realizzazione degli altri valori in cui pure si sostanzia il processo equo, quali appunto il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto a un giudizio nel quale le parti siano poste in condizioni di interloquire con compiutezza nelle varie fasi in cui esso si articola.
Così come la concessione dei termini per gli scritti conclusionali, deve ritenersi che anche l’appendice della discussione orale, se richiesta da una parte del processo, costituisce espressione evidente dell’esercizio diritto di difesa connaturato al contraddittorio processuale, non richiedendosi, dunque, in tal caso, come affermato espressamente dalle Sez. Un. cit. (in relazione specifica alla prospettazione del vizio di violazione dell’art. 190 cod. proc. civ.), l’allegazione di un concreto pregiudizio alle prerogative difensive per far ritenere rilevante il conseguente vizio processuale.
Va condiviso il rilievo per cui, sebbene la mancata fissazione dell’udienza di discussione orale, richiesta ex art. 352 c.p.c., non sia ricompresa espressamente nel dictum delle S.U. sopra ricordate, tuttavia deve ritenersi che rientri nell’impossibilità «di
esporre le proprie difese conclusive» anche la mancata possibilità di replicare alla memoria di replica avversaria -fatto di cui si duole nella fattispecie il ricorrente.
In tal senso si veda da ultimo anche Cass. n. 7845/2024, che ha affermato che nel giudizio di appello, la mancata comunicazione del provvedimento di anticipazione della udienza di precisazione delle conclusioni, con il conseguente impedimento all’esercizio della facoltà di chiedere la discussione orale della causa, comporta la nullità della sentenza, senza che sia necessario indicare gli argomenti che la parte avrebbe potuto illustrare durante la discussione, risultando precluso alle parti il pieno svolgimento dei diritti di difesa e del contraddittorio, a conferma quindi del fatto che la sola privazione del diritto alla celebrazione dell’udienza di discussione comporta la nullità della sentenza.
Non ignora altresì il Collegio l’ ordinanza n. 18202/2023 che aveva così rimesso alle Sezioni Unite la decisione della questione, che però è stata reputata assorbita da Cass. SSUU n. 3453/2024, che si è arrestata alla decisione della questione relativa all’ammissibilità della rinuncia alla domanda in sede di conclusioni, ritenendo assorbita quindi la diversa questione oggetto anche del presente procedimento.
Tuttavia, la nettezza dei principi affermati da Cass. S.U. n. 36596/2021 e la evidente estensibilità degli stessi anche alla vicenda in esame, suggeriscono al Collegio di decidere la controversia nel senso dell’accoglimento del ricorso, senza necessità di dover nuovamente sollecitare l’intervento delle Sezioni Unite.
In accoglimento del motivo in esame, la sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Lecce.
L’accoglimento del quarto motivo implica poi evidentemente l’assorbimento del primo motivo – che denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme in tema di simulazione del contratto, per non essersi avveduti i giudici di merito circa il fatto che la scrittura del 3 maggio 1990 aveva dato vita ad un’interposizione reale di persona, che presupponeva, in assenza di trasferimento della quota, la piena proprietà del bene in capo al ricorrente, essendo quindi esclusa la possibilità di richiedere la divisione -del secondo motivo – che lamenta la violazione delle norme in tema di onere della prova, per avere attribuito il diritto di comproprietà sulla quota alla RAGIONE_SOCIALE, senza che la stessa ne abbia offerto la prova -e del terzo motivo – che lamenta la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 345 co. 2 c.p.c. per avere la sentenza impugnata reputato che fosse tardiva ed inammissibile la contestazione della contitolarità del bene in Roma con la controparte, avendo invece il ricorrente sollevato una mera difesa, volta contestare la titolarità del diritto fatto valere.
Il giudice di rinvio come sopra designato provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie nei limiti di cui in motivazione il quarto motivo di ricorso e, assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Lecce.
Così deciso nella camera di consiglio del 2 luglio 2024.