Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20182 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20182 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10624/2023 R.G. proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, già rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e, quindi, a seguito di costituzione di nuovo difensore, dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di GENOVA n. 409/2023 depositata il 12/04/2023.
LOCAZIONE ABITATIVA. SOTTOSCRIZIONE.
R.G. 10624/2023
COGNOME.
Rep.
C.C. 18/4/2024
C.C. 14/4/2022
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Imperia la società RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio NOME COGNOME, chiedendo che fosse condannato al rilascio dell’immobile occupato in base ad un contratto di locazione stipulato dal dante causa della ricorrente.
Espose, a sostegno della domanda, di aver acquistato la nuda proprietà di un immobile sito a Sanremo e di esserne diventata piena proprietaria a seguito della morte dei due usufruttuari. Aggiunse che uno di questi ultimi, NOME COGNOME, aveva locato l’immobile a NOME COGNOME in data 20 giugno 2018, dopo la morte dell’altra usufruttuaria avvenuta il 24 marzo 2016, con un contratto del quale la società ricorrente chiese la declaratoria di nullità o l’annullamento, con contestuale ordine di rilascio.
Si costituì in giudizio il resistente, chiedendo il rigetto della domanda, sul rilievo che la locazione era da considerare valida e che la stessa non costituisce una prerogativa esclusiva del proprietario. Concluse nel senso che la locazione era destinata a scadere, in base all’art. 999 cod. civ., solo dopo un quinquennio dalla data di cessazione dell’usufrutto.
Il Tribunale rigettò la domanda e condannò la società ricorrente al pagamento delle spese di lite.
La pronuncia è stata impugnata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 12 aprile 2023, ha accolto il gravame e, in riforma della decisione del Tribunale, ha dichiarato la nullità del contratto di locazione, con ordine al conduttore di rilasciare l’immobile entro 90 giorni dalla data di notifica della sentenza.
La Corte di merito ha osservato che era fondato il primo motivo di appello, in base al quale la società RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato
che il Tribunale non si fosse occupato dell’avvenuto disconoscimento, da parte della ricorrente, della firma apposta dal COGNOME, suo dante causa, sul contratto in questione. Già con il ricorso introduttivo, infatti, la società aveva operato il disconoscimento, ribadito con la successiva memoria del 15 febbraio 2022. Ne conseguiva che la controparte, ove si fosse voluta avvalere di tale scrittura, avrebbe dovuto chiederne la verificazione; non essendo stata avanzata tale richiesta, la parte appellata non era in possesso di alcun valido titolo per la detenzione del bene, il che comportava che il contratto in questione doveva essere ritenuto nullo, con conseguente accoglimento della domanda di rilascio.
La Corte d’appello ha invece rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata dalla società appellante ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., non avendone la parte provato in alcun modo il fondamento.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Genova propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato a tre motivi.
Resiste la società RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 214, 215 e 216 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2702 cod. civ., avendo la stessa parte ricorrente prodotto il contratto di locazione di cui si discute.
Osserva il ricorrente che, in base all’art. 214 cit., è tenuto al disconoscimento colui contro il quale è prodotta la scrittura privata, mentre, se questa è prodotta dalla stessa parte che ne deduce la mancanza di autenticità, non trovano applicazione gli artt. 214 e 215 del codice di rito. Nel caso in esame, quindi, poiché il documento contenente la firma era stato prodotto dalla stessa
parte che ne ha sostenuto la non autenticità, la normativa richiamata dalla Corte d’appello non dovrebbe applicarsi. La sentenza impugnata, inoltre, non avrebbe tenuto conto della presenza di «elementi ulteriori e diversi rispetto al documento disconosciuto» che avvaloravano l’esistenza e la validità della scrittura.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 214 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2702 cod. civ., a proposito dell’applicazione della normativa sul disconoscimento.
Il ricorrente ricorda che la società RAGIONE_SOCIALE, che ha disconosciuto l’autenticità della sottoscrizione, non è il soggetto che ha apposto la firma, bensì un suo avente causa. Per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il nudo proprietario è in posizione di terzietà rispetto all’usufruttuario per quanto riguarda i contratti da quest’ultimo conclusi sul bene oggetto di usufrutto. Proprio in considerazione di tale terzietà, l’art. 999 cod. civ. contempera le opposte esigenze del nudo proprietario divenuto pieno proprietario con quelle del conduttore, stabilendo che la locazione possa protrarsi per cinque anni. Il nudo proprietario, quindi, non sarebbe un avente causa dall’usufruttuario, per cui la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 214 cit., accogliendo il disconoscimento che proveniva «da un soggetto che si pone in posizione di terzietà e di conseguente estraneità rispetto al sottoscrittore».
I motivi primo e secondo del ricorso devono essere trattati congiuntamente, attesa l’evidente connessione che li unisce.
La prima osservazione da compiere è che, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta. Quindi è nel giusto la Corte d’appello quando afferma che, una volta venuto meno il titolo rappresentato dal contratto scritto la cui firma era
stata disconosciuta, il conduttore non aveva più alcun titolo per rimanere nella detenzione dell’immobile.
Ciò premesso, si deve aggiungere che dalla motivazione della sentenza impugnata e dagli atti di parte emerge che la società RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato la nuda proprietà dell’immobile in oggetto nel corso della procedura esecutiva a carico di una diversa società la quale, a sua volta, l’aveva acquistata dai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME. Venuta a mancare la COGNOME, il COGNOME aveva stipulato il contratto di locazione, in qualità di usufruttuario (rimasto in vita), a favore di NOME RAGIONE_SOCIALE. Consegue da questa serie di passaggi che la società RAGIONE_SOCIALE, divenuta piena proprietaria dell’immobile dopo la morte del COGNOME, è da ritenere avente causa di quest’ultimo e della coniuge premorta; il che assume rilievo ai fini del problema del disconoscimento della sottoscrizione.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato, in relazione al problema qui in esame, che:
la mancata proposizione dell’istanza di verificazione, al pari della successiva rinuncia alla stessa, privando il documento disconosciuto di ogni inferenza probatoria, ne preclude al giudice la valutazione ai fini della formazione del proprio convincimento, senza che gli sia consentito maturare altrimenti il giudizio sulla sua autenticità in base ad elementi estrinseci alla scrittura o ad argomenti logici, divenendo perciò il documento irrilevante, e non utilizzabile, nei riguardi non solo della parte che lo disconosce, ma anche, e segnatamente, della parte che lo ha prodotto (Sezioni Unite, sentenza 1° febbraio 2022, n. 3086, richiamata anche dalla Corte d’appello);
ai sensi dell’art. 214 cod. proc. civ., il disconoscimento di scrittura privata, pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali, postula che la parte contro la quale la scrittura è prodotta in giudizio impugni chiaramente l’autenticità della stessa, nella sua
interezza o limitatamente alla sottoscrizione, contestando formalmente tale autenticità, ove egli sia l’autore apparente del documento prodotto, ovvero, nel caso di erede o avente causa dall’apparente sottoscrittore, dichiarando di non riconoscere la scrittura o la sottoscrizione di quest’ultimo (sentenze 1° luglio 2002, n. 9543, e 19 luglio 2012, n. 12448);
la facoltà prevista dal secondo comma dell’art. 214 cod. proc. civ., in tema di disconoscimento della scrittura privata, secondo cui gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore, postula un significato dell’espressione ‘avente causa’ contrapposta a quella di ‘erede’ e designa colui che succede in forza di un atto a titolo particolare, ad esempio contratto o legato (sentenza 18 luglio 2008, n. 19925).
Dalla citata giurisprudenza e dal testo dell’art. 214, secondo comma, cit., emerge, dunque, che la società RAGIONE_SOCIALE, trovandosi nella posizione di avente causa rispetto al sottoscrittore COGNOME, non sarebbe stata neppure obbligata al formale disconoscimento della scrittura -disconoscimento avvenuto, invece, già nel giudizio di primo grado -ma avrebbe avuto anche la possibilità di «limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione» del proprio dante causa.
Intervenuto il disconoscimento ed essendo mancata la richiesta di verificazione, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto inutilizzabile il documento e, a fronte di tale decisione, si infrangono le considerazioni contenute nei primi due motivi di ricorso; i quali devono, pertanto, essere rigettati.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., nullità della sentenza per difetto di motivazione o motivazione inesistente rispetto all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
L’RAGIONE_SOCIALE osserva di aver invocato nell’atto di appello l’acquiescenza, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, in ordine alle statuizioni con le quali il Tribunale aveva disatteso l’eccezione di simulazione del contratto. In base a tale elemento egli aveva eccepito l’inammissibilità dell’appello, punto sul quale la Corte d’appello non avrebbe assunto alcuna posizione, limitandosi ad esaminare l’eccezione di mancata proposizione dell’istanza di verificazione.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Anche volendo ammettere che il Tribunale abbia disatteso l’eccezione di simulazione, non è chiaro quale decisivo rilievo potrebbe assumere simile decisione ai fini che qui interessano; tanto premesso, la Corte osserva che di tale omissione non vi è traccia né nell’epigrafe della sentenza, che riporta le conclusioni delle parti, né nel contenuto del ricorso, il quale si limita a lamentare l’omissione senza indicare in modo preciso quale fosse il punto sul quale il Tribunale si era pronunciato e quali conseguenze tale pronuncia potesse avere ai fini del giudizio odierno.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 3.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza