SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1227 2025 – N. R.G. 00000173 2023 DEPOSITO MINUTA 27 07 2025 PUBBLICAZIONE 11 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D’APPELLO DI BARI – SECONDA SEZIONE CIVILE –
La Corte d’Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati
NOME COGNOME presidente NOME COGNOME consigliere NOME COGNOME consigliere relatore
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 173 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2023
tra
, elettivamente domiciliato in Gravina, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, giusta procura in atti ————————————————–
————————————————————————– appellante
e
e , elettivamente domiciliati in Bari,
INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende, giusta procura in atti —————–
—————————————————————————– appellati
Conclusioni: all’ udienza del 4 aprile 2025, i difensori delle parti hanno concluso come da rispettive note scritte.
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 4339/22 del 23.11.22, il Tribunale di Bari ha rigettato le domande, proposte da nei confronti di , di risoluzione di due contratti preliminari di vendita immobiliare del 4 e del 6 giugno 2002, di rilascio dei relativi immobili nonché di pagamento della penale e dell’indennità di occupazione, oltre a condannare l’attore alla rifusione delle spese giudiziali nei confronti della convenuta e dell’interventore volontario .
Ha proposto appello avverso la sentenza chiedendo l’accoglimento delle sue domande, con vittoria di spese.
Si sono costituiti e , eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’appello, di cui, nel merito, hanno chiesto il rigetto, con vittoria di spese.
Invitate le parti alla precisazione delle conclusioni, all’udienza del 4 aprile 2025, la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Motivi della decisione
Va, in via pregiudiziale, scrutinata l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità dell’appello, per violazione del canone di specificità ex art. 342 c.p.c.
L’eccezione è infondata e va rigettata.
La modifica dell’art. 342 c.p.c. ad opera del d.l. n. 83 del 2012 (conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012), lungi dallo sconvolgere i tradizionali connotati dell’atto di appello, ha in realtà recepito e tradotto in legge ciò che la giurisprudenza di legittimità aveva già affermato in relazione al testo precedente la riforma del 2012, e cioè che, nell’atto di appello, deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Resta, inoltre, escluso che l’individuazione di un “percorso logico alternativo a quello del primo giudice” debba necessariamente tradursi in un “progetto alternativo di sentenza”, perché il richiamo, contenuto negli artt. 342 e 434 c.p.c., alla motivazione dell’atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio. Quel che, invece, viene richiesto – in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata -è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili.
In questi termini si sono espresse le sezioni unite della Cassazione (nella sentenza n. 27199 del 2017), enunciando il principio di diritto secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo novellato, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
Ciò premesso, l’appello in esame è conforme al requisito di specificità richiesto dall’art. 342 c.p.c., inteso nei termini innanzi predicati, anche nell’attuale formulazione, avendo circoscritto il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono ed avendo formulato le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata.
Passando al merito dell’appello, col primo motivo si censura il vizio di omessa pronuncia in ordine alla carenza di legittimazione attiva dell’interventore volontario .
La censura è infondata.
Il Tribunale ha chiaramente ritenuto il Lorusso legittimato ad intervenire nel processo, ammettendone l’intervento, sicché va escluso il dedotto vizio.
Peraltro, la decisione è corretta, avendo l’interventore rappresentato di essere titolare di un diritto connesso a quello dedotto in giudizio, per aver eseguito alcuni pagamenti in favore del il quale li ha accettati e quietanzati, a titolo di corrispettivo delle promesse di vendita per cui è causa, in virtù di un atto di ‘delega’ della nei confronti del a vendere la villetta n. 4 a suo marito (cfr. dichiarazione del 10.12.07), delega accettata dal promittente
venditore, come ulteriormente confermato dalla diffida ad adempiere del 2.3.12 e dall’atto di quietanza del 30.10.08 a sua firma, rivolti ad entrambi gli appellati.
Col secondo motivo di appello si censurano l’ingiusta ed errata motivazione nonché la violazione degli articoli 214 e 115 c.p.c. in ordine alla valenza probatoria della documentazione depositata dalla e dal a dimostrazione dell’avvenuto pagamento del prezzo dei due preliminari di vendita del 4 e del 6 giugno 2002.
La censura è infondata.
Erra l’appellante nel ritenere di aver correttamente disconosciuto ai sensi dell’articolo 214 cpc, in sede di memoria ex articolo 183, VI comma, n. 3, c.p.c., la paternità delle dichiarazioni apposte in calce alle copie degli assegni depositate dalla ed in particolare della dichiarazione del 30 agosto 2018 di cui all’assegno n. 51-05865626 di €2.300,00.
Con la suddetta memoria, infatti, l’appellante ha contestato soltanto ‘il contenuto’ di quelle dichiarazioni, non anche l’autenticità della scrittura, che costituisce invece l’oggetto del disconoscimento operato ai sensi dell’art. 214 cpc 1 .
Ed invero, per giurisprudenza costante, il disconoscimento di una scrittura privata, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., non deve risolversi in espressioni di stile, ma rivestire i caratteri della specificità e della determinatezza, ed in particolare, postula che colui contro il quale la scrittura è prodotta in giudizio impugni chiaramente l’autenticità della stessa, nella sua interezza o limitatamente alla sottoscrizione, contestando formalmente tale autenticità, ove egli sia l’autore apparente del documento prodotto (tra le tante, Cass. 35290/23; 24456/11; 12448/2012;1537/18; 11048/16).
L’effetto del mancato disconoscimento è che ‘ la scrittura si ha per riconosciuta’ ai sensi dell’art. 215 cpc, dove questo riconoscimento tacito attribuisce ‘ alla scrittura il valore di piena prova fino a querela di falso della sola provenienza della stessa da chi ne appare come sottoscrittore e
1 ‘ Col presente atto questa difesa contesta tutta la documentazione depositata dalla convenuta con la predetta memoria istruttoria n. 2 e in particolare contesta e disconosce il contenuto delle dichiarazioni apposte in calce alle copie degli assegni depositati e in particolare la dichiarazione datata 30/8/2008 di cui all’assegno n. 5105865626 di €2.300,00, tenuto conto che qualora vi fosse prova certa che detti assegni nel tempo siano stati effettivamente versati in favore del signor , di certo non totalizzano affatto il pagamento di ben tre ville’ .
non anche della veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate ‘, di modo che il contenuto di queste ultime può essere contestato dal sottoscrittore con ogni mezzo di prova, entro i limiti di ammissibilità propri di ciascuno di essi (Cass. 13321/15).
Correttamente, quindi, il Tribunale, in assenza di un disconoscimento ai sensi dell’articolo 214 c.p.c., ha ritenuto di poter attribuire le dichiarazioni in parola, compresa quella del 30 agosto 2018, al essendo altro l’oggetto della contestazione da questi operata, relativa non all’autenticità della sottoscrizione, ma a contestarne la valenza probatoria, ed in particolare l’idoneità a provare il pagamento del corrispettivo delle tre ville oggetto dei due preliminari.
Col terzo motivo di appello si censura l’errata valutazione delle risultanze istruttorie, che avrebbe ingiustamente indotto il giudice ad escludere l’inadempimento della .
Anche questa censura è infondata.
Nel ritenere che la non si fosse sottratta all’obbligo di concludere il definitivo, il Tribunale è partito dall’ esatta considerazione che il ricevuto, nel 2008, il saldo del corrispettivo pattuito per i tre immobili, lasciò la promissaria acquirente libera di decidere quando stipulare l’atto definitivo.
Dalla documentazione prodotta emerge, infatti, che l’appellante, all’atto di quietanzare il pagamento a saldo del corrispettivo per entrambe le promesse di vendita, dichiarò che l’atto di compravendita avrebbe potuto essere concluso ‘senza alcun termine di scadenza’ (cfr. atto di quietanza del 30/10/2008: ‘ Io sottoscritto dichiaro di essere stato pagato dell’intera cifra dal signor di due villette come da contratto e di poter effettuare l’atto in qualsiasi momento. Il signor decide di farlo senza alcun termine di scadenza ‘; ‘Io sottoscritto dichiaro di essere stato pagato per la villetta del complesso di tutta la somma pattuita. Perciò la signora può effettuare l’atto notarile senza alcun termine di scadenza ‘ ).
Il significato delle dichiarazioni è talmente chiaro da non poter generare alcun dubbio, sicché, in assenza di disconoscimento della relativa sottoscrizione, deve ritenersi acclarato che, per libera scelta del promittente venditore, l’indicazione della data del rogito notarile fosse rimessa alla promissaria acquirente.
D’altronde, la , avendo corrisposto l’intero prezzo di vendita delle unità immobiliari oggetto di preliminare, non aveva alcun interesse a sottrarsi al trasferimento di proprietà, come conferma la sua lettera del 17.11.14, indirizzata al ed al notaio incaricato del rogito, con cui invitava il promittente venditore ‘ a prendere contatti con lo studio notarile al fine di consegnare tutta la documentazione necessaria per la stipula del rogito delle villette oggetto di compravendita, in virtù dei contratti preliminari del 4/6/2002 e 6/6/ 2002, già in possesso del notaio, con le relative attestazioni e quietanze di pagamento’ , diffidandolo ad adempiervi entro il termine del 30.11.14, in esecuzione dei contratti preliminari ed ‘in ragione delle quietanze liberatorie’ firmate dal ‘ che facultano la signora di richiedere in qualsiasi momento la stipula del rogito notarile ‘.
Né rileva in senso contrario che, con lettera del 2.3.12, l’appellante avesse diffidato i signori e ad integrare entro dieci giorni la documentazione da consegnare al notaio ai fini della vendita, invitandoli a procedere alla stipula dell’atto per il giorno 27.3.12, in mancanza ritenendosi libero da qualsiasi obbligo, comunicazione alla quale seguì la dichiarazione del 4.12.12 di intervenuto recesso dal contratto per altrui grave inadempimento.
Entrambe le comunicazioni si basano, infatti, sull’errato presupposto che gli appellati si fossero sottratti all’obbligo di stipulare il contratto, in quanto – secondo il – l’atto di compravendita avrebbe dovuto concludersi già nel 2005, ovvero a definizione del procedimento penale che aveva interessato gli immobili in questione.
La tesi non merita, però, condivisione, perché – come già detto l’appellante, nel 2008, all’atto di ricevere il saldo del corrispettivo della vendita, rimise alla l’individuazione della data del rogito notarile, facoltà di cui ella si avvalse con la citata lettera del 17.11.14.
Col quarto motivo di appello si criticano l’omesso accertamento del mancato versamento del saldo e la violazione dell’articolo 2041 c.c.
La censura è priva di fondamento, avendo il giudice correttamente accertato l’intervenuto pagamento dell’intero corrispettivo sulla base della richiamata quietanza a saldo.
D’altronde, se, come sostiene l’appellante, la avesse ancora avuto da corrispondergli una differenza di €11.640,00, non si comprende la ragione per cui il non ne avesse fatto menzione nella
lettera del 2.3.12, con la quale invitò gli appellati ad integrare la documentazione da consegnare al notaio, in termini peraltro del tutto generici, e comunque senza il minimo riferimento ad un debito residuo nei suoi confronti.
Neppure nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado il ha allegato di essere debitore nei confronti della promissaria acquirente a titolo di saldo del corrispettivo, ma, solo dopo la produzione, da parte degli appellati, della documentazione comprovante la quietanza di pagamento a saldo, ne ha genericamente contestato il contenuto, senza neanche indicare la somma ancora dovutagli.
L’allegazione relativa all’esistenza di un debito di €11.640,00 ed agli altri presupposti di cui ai sensi dell’art. 2041 c.c. è, perciò, del tutto nuova, in quanto compiuta – per la prima volta – in appello, e, come tale, inammissibile.
La regolamentazione delle spese giudiziali, da liquidarsi in dispositivo in base ai parametri medi fissati dal D.M. 147/22, segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Bari, seconda sezione civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 4339/22 del 23.11.22, così provvede:
rigetta l’appello;
condanna l’appellante a rifondere agli appellati le spese del presente grado di giudizio, liquidate in €9.991,00, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge, da distrarsi in favore del difensore antistatario.
Ai sensi del D.P.R. n. 115/2002, art. 13, co. 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello a norma del comma 1 bis dello stesso articolo. Così deciso, nella camera di consiglio del 16 luglio 2025.
Il consigliere estensore NOME COGNOME
Il presidente NOME COGNOME