Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5595 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5595 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15508 – 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio degli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME dai quali è rappresentata e difesa, giusta procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
Contro
U.N.M.I.L. –RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore
– intimata – avverso la sentenza n. 421/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, pubblicata il 10/2/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 11/2/2013, l’Unione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Treviso, RAGIONE_SOCIALE proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1379/2012, ottenuto dalla società nei suoi confronti per l’importo di E uro 28.335,52, oltre interessi e spese, a titolo di rimborso parziale dei prestiti personali concessi ai terzi NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME suoi asseriti dipendenti, verso cessione del quinto del loro stipendio.
L’associazione, in particolare, eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva e l’estraneità dei tre soggetti, contestando che avessero mai lavorato alle sue dipendenze e disconoscendo le firme apposte in calce all’atto di benestare.
Con sentenza n. 742/2015, il Tribunale di Treviso respinse l’opposizione , perché ritenne che l’efficacia probatoria dei documenti prodotti da RAGIONE_SOCIALE a sostegno della propria pretesa potesse essere vinta soltanto a mezzo di querela di falso e non soltanto di disconoscimento, trattandosi di scritture provenienti non da una parte processuale ma da un terzo, una persona fisica diversa dal legale rappresentante dell’associazione costituito.
Con sentenza n.421/2020, la Corte d’appello di Venezia , in accoglimento del l’appello proposto da U.N.M.I.L., revocò il decreto ingiuntivo opposto, condannando RAGIONE_SOCIALE alla restituzione della somma di Euro 7.726,89 ricevuta in esecuzione della sentenza di primo grado.
In particolare, la Corte ritenne che la U.N.M.I.L. avesse utilmente disconosciuto le sottoscrizioni delle scritture prodotte in giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE, perché la sottoscrizione era stata comunque attribuita a
una persona fisica munita del potere di rappresentanza dell’ente e, perciò, ad una parte processuale, sicché non era necessaria la proposizione della querela di falso; rilevò, quindi, che, in mancanza di verificazione, non chiesta dalla società, le scritture poste a fondamento della domanda non avevano alcuna rilevanza probatoria del credito preteso; escluse, infine, la novità della domanda di restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza, come proposta da U.N.M.I.L. con l’impugnazione e rigettò altresì la domanda di risarcimento del danno per affidamento incolpevole proposta da RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza n.421/2020 della Corte d’appello di Venezia, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a sei motivi. L’ U.N.M.I.L., ritualmente intimato, non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, RAGIONE_SOCIALE ha prospettato, in riferimento al n.4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ.: la Corte d’appello sarebbe incorsa in vizio di ultrapetizione, perché la U.N.M.I.L. in appello aveva chiesto solamente che fosse valutata la sospensione del giudizio civile ex art. 295 cod. proc. civ., senza sollevare alcuna questione rispetto alla falsità della documentazione.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha denunciato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 329 cod. proc civ. e dell’art. 2909 cod. civ. per non avere la Corte d’appello riscontrato che RAGIONE_SOCIALE non aveva impugnato la statuizione del Tribunale che aveva ritenuto necessaria la proposizione della querela di falso e che in conseguenza, sul punto, si era formato il giudicato.
Con il terzo motivo, la società ha sostenuto, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la violazione e falsa
applicazione degli artt. 112 e 342 cod. proc civ. per non avere la Corte d’appello spiegato quando e come la U.N.M.I.L. in sede di primo grado avesse ritualmente e tempestivamente disconosciuto la sottoscrizione dei documenti; la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe formulato chiari e specifici motivi di appello e, perciò, la sua impugnazione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile.
Con il quarto motivo, RAGIONE_SOCIALE ha censurato la sentenza, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , per violazione e falsa applicazione degli artt. 214, 215 e 221 cod. proc. civ.: U.N.RAGIONE_SOCIALE. non avrebbe formulato un chiaro e specifico disconoscimento delle sottoscrizioni dei documenti rispetto a ciascuno dei suoi organi rappresentativi, come avrebbe dovuto fare in quanto ente collettivo; in conseguenza, i documenti prodotti con il ricorso per decreto ingiuntivo avrebbero dovuto essere ritenuti come implicitamente riconosciuti, ex art. 215 cod. proc. civ., anche perché, con la costituzione nel giudizio di opposizione, sarebbero stati nuovamente allegati senza alcun ulteriore disconoscimento, né in prima udienza, né nelle memorie ex art. 183 cod. proc. civ..
4.1. Questi primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione e sono infondati.
Innanzitutto, per principio consolidato, nel giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum , non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi , confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice
di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti, ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Cass. Sez. 3, n. 6533 del 12/03/2024; Sez. 3, n. 20652 del 25/09/2009; Sez. 6 – L, n. 513 del 11/01/2019).
A ciò si aggiunga che la nozione di «parte della sentenza», alla quale fa riferimento l’art. 329, comma secondo, cod. proc. civ., dettato in tema di acquiescenza implicita a cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le «statuizioni minime», costituite dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia; in conseguenza l’appello, motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato, apre il riesame sull’intera questione che essa identifica ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. Sez. 2, n. 16583 del 28/09/2012; Sez. L, n. 2217 del 04/02/2016).
Nel caso in esame, invero, al Giudice di secondo grado era proprio stata devoluta la questione della efficacia probatoria dei documenti offerti a sostegno del ricorso per decreto.
Come riportato nella sentenza impugnata e come risulta dalla lettura dell’atto di appello, direttamente esaminabile da questa Corte per essere stato denunciato un error in procedendo , con la sua impugnazione, fondata su un unico, ma articolato motivo, U.N.M.I.L. ha censurato la sentenza di primo grado per aver ritenuto necessaria la querela di falso per contrastare l’efficacia probatoria dei documenti a sostegno del ricorso per decret o ingiuntivo, (pag. 10 dell’atto di impugnazione, con indicazioni delle parti della sentenza impugnata)
invece di valutare la dettagliata contestazione dell’autenticità delle prove documentali come sostenuta dalla denuncia penale presentata nei confronti dei sedicenti dipendenti.
La Corte d’appello ha dapprima riportato il contenuto del motivo, con cui è stata anche censurata l’omessa sospensione del giudizio fino alla definizione del procedimento penale avente ad oggetto gli stessi fatti per cui è giudizio; ha, quindi, esplicitamente chiarito di doverne «circoscrivere» (pag. 8 della sentenza) l’esame alla contestata efficacia probatoria della documentazione posta dall’appellata RAGIONE_SOCIALE a sostegno della domanda proposta in INDIRIZZO.
Ancor prima, nell’atto di opposizione e, poi, nel verbale di prima udienza -pure direttamente esaminabili da questa Corte -l’ U.N.M.IRAGIONE_SOCIALE. aveva chiaramente formulato la sua contestazione dell’autenticità dei documenti, anche per come nuovamente allegati alla comparsa di costituzione e risposta.
In particolare, nel verbale di prima udienza del 16/4/2013, dinnanzi al Giudice della sez. di Conegliano del Tribunale di Treviso, il legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE , personalmente presente, ha esplicitamente dichiarato di disconoscere i documenti prodotti, le buste paga e i documenti allegati, in quanto «artatamente costruiti e perciò falsi». Ancor prima, in atto di opposizione, U.RAGIONE_SOCIALE aveva contestato la stessa documentazione, illustrando in dettaglio come i benestare prodotti a sostegno probatorio dell’avvenuta cessione del quinto risultassero invece addirittura sottoscritti con sigle illeggibili riconducibili reciprocamente a ciascuno dei mutuatari.
Deve, perciò, escludersi che la Corte d’appello, negando la valenza probatoria dei documenti posti a fondamento del decreto ingiuntivo opposto, abbia violato il principio dispositivo.
Ugualmente, quindi, deve escludersi l’inammissibilità dell’appello per difetto dei requisiti ex art. 342 cod. proc. civ., il riconoscimento
tacito della documentazione e l’intervenuta formazione di giudicato per parziale acquiescenza alla sentenza di primo grado.
5. Con il quinto motivo, RAGIONE_SOCIALE ha lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 221 cod. proc civ. e dell’art. 2697 cod. civ.: con l’atto di citazione notificato in opposizione, la Unione non avrebbe, infatti, ritualmente contestato la documentazione prodotta a sostegno del decreto, ma si sarebbe limitata a mere presunzioni sul loro contenuto falso; in particolare, la ricorrente ha invocato il principio sancito da questa Corte (Sez. 1, n. 3620 del 16/02/2010) secondo cui «il disconoscimento della scrittura privata da parte di una persona giuridica, perché sia validamente effettuato e sia idoneo ad onerare l’avversario (che insista ad avvalersi dello scritto) di richiederne la verificazione, necessita di un’articolata dichiarazione di diversità della firma risultante sul documento rispetto alle sottoscrizioni di tutti gli organi rappresentativi, specificamente identificati od identificabili, atteso che, nel caso della persona giuridica, assistita da una pluralità di organi con il potere di firmare un determinato atto, sussistono più sottoscrizioni qualificabili come proprie dell’ente».
Secondo Sigla, pertanto, avrebbe dovuto l’U.N.RAGIONE_SOCIALE. essere onerata della prova della eccepita falsità, mentre alcun onere di proporre la verificazione avrebbe dovuto essere ravvisato a suo carico; in tal senso la Corte d’appello avrebbe mal applicato le norme in tema di disconoscimento, di querela di falso e di principio di riparto dell’onere della prova.
5.1. Il motivo è infondato. Con la sua difesa l’ U.N.M.I.L. ha negato l’autenticità dei benestare prodotti da RAGIONE_SOCIALE a titolo del credito alla corresponsione del quinto ceduto dai sedicenti lavoratori per ottenere i mutui, negando che si trattasse di documenti riconducibili a un suo rappresentante e che vi fosse un rapporto di
subordinazione o comunque di lavoro con chi aveva apposto le sigle e ottenuto i mutui; ha evidenziato la palese contraffazione di quei documenti tanto da aver dovuto chiedere tutela in sede penale; lo stesso Presidente nazionale dell’ente ha personalmente dichiarato, a verbale di udienza, che le sigle apposte sui documenti prodotti dalla società non erano riconducibili ad alcun soggetto avente una relazione giuridica con l’ente sicché nella fattispecie, a monte, i firmatari dei benestare e dei documenti rilevanti non risultavano neppure identificati come rappresentanti dell’ente; in tal senso l’Unione ha negato in radice, per difetto di un rapporto di immedesimazione organica di chi ha apposto le sigle, l’imputabilità a sé del contenuto negoziale delle scritture azionate da RAGIONE_SOCIALE
Queste contestazioni costituiscono certamente, come ha già ritenuto la Corte di merito, un puntuale disconoscimento e in tal senso il principio invocato in ricorso non è pertinente perché ricorre, per quanto detto, non un’ipotesi di « diversità della firma risultante sul documento rispetto alle sottoscrizioni di tutti gli organi rappresentativi, specificamente identificati od identificabili», ma il caso di una firma riconducibile a soggetti non legati da un rapporto di rappresentanza con l’ente e, come tale, non idonea a vincolarlo quale «apparente debitore ceduto».
Ciò precisato, questa Corte ha già chiarito che il legale rappresentante di una società, contro la quale sia prodotta in giudizio una scrittura privata (rilevante per il suo valore negoziale), per contestarne l’autenticità della sottoscrizione non è tenuto a proporre querela di falso ai sensi dell’art. 221 cod. proc. civ. ma può disconoscerne la sottoscrizione, a norma del primo comma dell’art. 214 cod. proc. civ., anche nel caso in cui la sottoscrizione sia attribuita ad altra persona fisica, già investita della rappresentanza legale della società; tale principio è applicabile non soltanto alle società aventi
personalità giuridica ma anche a quelle che ne sono prive (Cass. Sez. 2, n. 2095 del 30/01/2014; Sez. 2, n. 1025 del 10/02/1984).
L a ripartizione dell’onere probatorio, pertanto, è avvenuta in stretta conseguenza della operatività del principio suindicato.
6. Con il sesto motivo, infine, RAGIONE_SOCIALE ha denunciato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 1228, 2043 e 2049 cod. civ.: la Corte d’appello avrebbe reso una motivazione di rigetto della richiesta di condanna risarcitoria proposta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non pertinente rispetto al titolo della domanda: sarebbe stata lamentata, infatti, l’omessa vigilanza dell’Ente sul comportamento di NOME COGNOME che, «approfittando e abusando del suo ruolo di collaboratrice volontaria/responsabile di fatto della sede provinciale», quale «figlia del fondatore e segretario generale», avrebbe concorso nella realizzazione dell’illecito per il tramite dell’utilizzo dei documenti, sistemi informatici, timbri e posta elettronica certificata.
6.1. Il motivo è inammissibile.
Come riportato in ricorso, costituendosi in primo grado, RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto in via subordinata, in ipotesi di revoca del decreto opposto, di condannare la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma complessivamente erogata ai tre asseriti dipendenti che avevano ceduto il loro quinto dello stipendio a titolo di risarcimento del danno causato in conseguenza dell’affidamento incolpevole generato «in relazione ai fatti di causa»; la domanda è stata riproposta in appello ex art. 346 cod. proc. civ..
La Corte d’appello, riesaminandola, l’ha rigettata ritenendo che non fosse invocabile, nella specie, la tutela dell’affidamento incolpevole perché operante soltanto nei rapporti tra contraenti, laddove nella specie la U.N.M.I.L. era stata rappresentata come debitore ceduto; ha poi rilevato che gli «asseriti comportamenti omissivi , di
carattere non doloso, non sarebbero idonei a interrompere il nesso di causalità tra le condotte illecite, delle quali si sarebbero resi responsabili i beneficiari dei mutui, e il danno lamentato».
Questa motivazione è conseguenziale e congruente con la qualificazione della domanda risarcitoria come operata in sentenza e corrisponde al principio, sancito da questa Corte, secondo cui il nesso di occasionalità necessaria, proprio della responsabilità del preponente ex art. 2049 cod. civ., non può sussistere se la condotta del preposto costituisca il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni e non corrisponda, neppure quale degenerazione o eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all’espletamento delle sue incombenze (cfr. Cass. Sez. 3, n. 31675 del 14/11/2023).
In tal senso, la censura formulata dalla ricorrente Sigma non è conferente rispetto alla ratio decidendi ed è, inoltre, espressa in riferimento ad una pretesa violazione sia dell’art. 1228 che dell’art. 2049 cod. civ., del tutto trascurando che i presupposti in fatto delle due responsabilità invocate -tra loro differenti – non risultano essere stati mai oggetto di accertamento, né, prima ancora, di istruttoria.
Il ricorso è perciò respinto.
Non vi è luogo a statuizione sulle spese perché RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda