Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7954 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7954 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20671/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CFFLSN66E27D643HCODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 428/2020 depositata il 17/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.la sas RAGIONE_SOCIALE NOME Pasqualino RAGIONE_SOCIALE. otteneva dal Tribunale di Pescara i decreti n. 1513 e 1514 del 2013 con cui veniva ingiunto alla srl Del Giudice il pagamento degli importi di cui ad alcune fatture emesse per compensi ‘per l’espletamento di attività di promozione aziendale’ presso vari ‘punti vendita’. I decreti venivano opposti. Il Tribunale rigettava le opposizioni. La Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza 428 del 2020, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le iniziali domande della RAGIONE_SOCIALE affermando che non vi era prova della conclusione dei contratti in relazione alla cui esecuzione la Panea avrebbe potuto vantare i crediti azionati. In particolare la Corte di Appello evidenziava che la RAGIONE_SOCIALE aveva ottenuto i decreti in forza di fatture e di estratto autentico delle scritture contabili, che tali documenti erano sufficienti ai fini del monitorio ma non lo erano nel giudizio di merito avendo l’opponente contestato l’esistenza dei crediti, che in primo grado la COGNOME aveva prodotto copie di alcuni ‘rapportini giornalieri di gradimento’ relativi alle prestazioni di cui alle ridette fatture, che immeditatamente dopo la produzione la COGNOME aveva ribadito la contestazione circa il conferimento degli incarichi ed aveva privato le fotocopie di qualsiasi utilità a fini probatori eccependo che si trattava di fotocopie e non di originali, che si trattava di fotocopie che non permettevano di accertare la consequenzialità delle pagine, la non alterazione della data, l’originalità delle firme -peraltro presenti solo in alcune e non in
tutte le copie-, sotto la dizione ‘firma del responsabile commerciale’, che in ogni caso la srl COGNOME aveva immediatamente anche disconosciuto le sottoscrizioni, che i testi assunti in primo grado non avevano riferito alcunché di significativo, che, in particolare, il teste NOME COGNOME aveva riferito di alcuni incarichi dati dalla COGNOME alla COGNOME Promozioni in periodi diversi rispetto a quelli delle prestazioni oggetto delle fatture indicate dalla appellata nel capitolo di prova a sostegno sia delle pretese di cui al decreto ingiuntivo n.1513 sia delle pretese di cui al decreto n.1514, aveva poi riferito genericamente della procedura seguita ‘quando la Del Giudice conferiva gli incarichi per lo svolgimento delle attività promozionali’ -essendo pacifico che tra le società erano intercorsi ed erano stati adempiuti altri rapporti-, aveva affermato che le fatture venivano sempre trasmesse alla Del Giudice unitamente ai rapportini giornalieri mentre nel caso specifico altri testi –COGNOME NOME e NOME NOMECOGNOME e lo stesso legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE Promozioni in sede di interrogatorio libero avevano riferito che le fatture non erano state inviate alla Del Giudice;
la RAGIONE_SOCIALE ricorre con cinque motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe;
la Del Giudice resiste con controricorso;
la ricorrente ha depositato memoria; considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 132, 214, 215, c.p.c., 2712, 2719, 2727 e 2729 c.c. per avere la Corte di Appello ritenuto ‘validamente operato il disconoscimento’ delle copie dei rapportini malgrado che la Del Giudice non avesse contestato in modo specifico che la ricorrente avesse svolto attività di promozione nei giorni e presso i punti vendita indicati nelle copie dei rapportini e
per avere quindi ritenuto la ricorrente onerata di un onere probatorio in realtà superato dal mancato disconoscimento.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha espressamente affermato che la Del Giudice aveva già prima e anche dopo la produzione delle copie dei rapportini negato di avere dato alla Panea Promozioni gli incarichi relativamente ai quali la Panea Promozioni pretendeva derivarle i crediti azionati ed ha altresì affermato che le copie dei rapportini erano state disconosciute sia quanto alla conformità agli originali sia quanto alla sottoscrizione -che la stessa Corte ha precisato essere peraltro presente solo nelle copie di alcuni rapportini e non nelle copie di altri- del responsabile commerciale della COGNOME. La Corte di Appello ha anche riportato il tenore letterale del disconoscimento: ‘si disconoscono formalmente i documenti ex adverso prodotto in copie fotostatiche sub 4 …. Detti documenti che controparte ha l’onere di produrre in originale, vengono disconosciuti poiché le fotocopie non permettono di accertare la consequenzialità delle pagine, la non alterazione della data, l’originalità di firma e timbri. Si disconoscono formalmente le sottoscrizioni apposte sotto la dizione ‘firma del responsabile commerciale’ dei rapportini numero … rilevando che i rapportini numero … non recano alcuna sottoscrizione della RAGIONE_SOCIALE‘. Emerge dalla sentenza impugnata che gli originali dei rapportini non sono mai stati prodotti. Come questa Corte ha precisato ( Sez. 2, sentenza n.19850 del 18/07/2024), ‘l’art. 2719 c.c. – che esige un espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche – è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, ed entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella
sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione del loro autore, se la parte comparsa non la disconosce in modo specifico ed inequivoco alla prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione’. In tema di disconoscimento di una scrittura privata, è stato altresì precisato che il disconoscimento non richiede, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., una forma vincolata dovendo comunque avere i caratteri della specificità e della determinatezza e che la valutazione sulla idoneità della forma utilizzata, risolvendosi in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (Cass. Sez. 1, ordinanza n.18491 del 08/07/2024).
A fronte delle affermazioni della Corte di Appello sopra riportate, che danno conto della contestazione della esistenza dei rapporti contrattuali e del disconoscimento radicale sia della conformità delle copie dei rapportini agli originali sia della riferibilità delle copie alla Del Giudice e che, per quanto relative alla ritenuta idoneità della formula del disconoscimento, si sottraggono al sindacato di questa Corte, la ricorrente centra la censura su un dato irrilevante, ossia sul dato per cui la Del Giudice non avrebbe specificamente contestato i giorni e i luoghi indicati nelle copie dei rapportini;
2.con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 132, 183, 210, 244, 346, 356 c.p.c. e 2729 c.c. per avere la Corte di Appello trascurato le richieste istruttorie formulate dalla COGNOME Promozioni in primo grado a verbale della prima udienza di comparizione per superare l’avverso disconoscimento. Ricorda la ricorrente di avere in quella sede chiesto ordinarsi alla Del Giudice di esibire gli originali dei rapportini e di avere fatto ‘istanza di verificazione’. La ricorrente, precisato che le richieste erano rimaste assorbite nella decisione del Tribunale, riguardo alla riproposizione di tali richieste istruttorie in appello, riporta, nelle pagine da 22 a 27 del ricorso, pagine della
propria comparsa di costituzione davanti ai giudici di L’Aquila e sostiene che in esse vi siano argomentazioni ‘che presuppongono l’espletamento delle prove richieste e sono del tutto incompatibili con una presunzione di rinuncia’.
Il motivo è inammissibile per più motivi.
La ricorrente, in primo luogo, neppure deduce di aver riproposto in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado le proprie istanze istruttorie, il che basta a giustificare la mancata pronuncia della Corte di Appello alla luce del principio per cui le istanze istruttorie, ove non siano state riproposte in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, devono reputarsi rinunciate (Sez. 3 – , ordinanza n.16420 del 09/06/2023).
Per di più la ricorrente non individua istanze formulate alla Corte di Appello e che sarebbero state da questa trascurate ma rimette a questa Corte di legittimità di esaminare pagine intere dell’atto di costituzione della ricorrente in appello per individuare espressioni da cui -a detta della stessa ricorrente- la Corte di Appello avrebbe dovuto ricavare che le istanze istruttorie avanzate in primo grado erano state riproposte. La ricorrente non tiene a mente che ‘nel giudizio di appello, la parte appellata vittoriosa in primo grado, non riproponendo ovviamente alcuna richiesta di riesame della sentenza, ad essa favorevole, deve manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l’istanza di ammissione della prova’ (Cass.
Sez. 2, Sentenza n.5812 del 23/03/2016);
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma n.5, che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare le richieste -già menzionate nel secondo motivo di ricorso- di ordine alla Del Giudice di esibizione degli originali dei
rapportini e di verificazione delle relative sottoscrizioni. Si lamenta altresì che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere indimostrati i fatti costitutivi dei crediti posto che la prova sarebbe emersa ove la Corte di Appello avesse correttamente apprezzato i rapportini unitamente alla dichiarazione del teste COGNOME Giuseppe ed avesse confrontato la firma apposta da quest’ultimo al verbale dell’udienza in cui era stato sentito con le firme in calce ai rapportini.
Il motivo è inammissibile.
L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (v. Sez. U, Sentenza n.8053 del 07/04/2014).
Per un verso, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, per altro verso, sono inammissibili censure formulate in riferimento al n.5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. in cui si facciano valere argomentazioni e si sostenga che il giudice del merito avrebbe omesso di argomentare in conformità (v. Cass. n.2268 del 26/01/2022).
Nel caso di specie la ricorrente non lamenta l’omesso esame di fatti: ripresenta la doglianza di mancata ammissione di istanze istruttorie già proposta con il secondo motivo e già dichiarata inammissibile (v. sopra punto 2) e prospetta argomentazioni su ciò
che la Corte di Appello avrebbe dovuto concludere in adesione alla lettura che secondo la ricorrente avrebbe dovuto essere data dei rapportini, del contenuto delle dichiarazioni del teste COGNOME e dal confronto tra sottoscrizioni presenti su alcuni rapportini e sottoscrizione in calce ad un verbale di udienza;
4. con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 132, 244 c.p.c., 2697, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, nn.3 e 4, c.p.c.
Il motivo è inammissibile: vi si parla in modo confuso di errori materiali nei capitoli di prova a cui il teste COGNOME ha risposto e che la Corte di Appello non avrebbe percepito, di riferibilità delle risposte ai dati temporali relativi alle fatture poste a base del decreto ingiuntivo n.1513 ed un altro capitolo di prova, ‘alternativo a quello omesso’, relativo al decreto ingiuntivo n. 1514, di difetti di metodo da parte della Corte di Appello che avrebbero portato ad una valutazione delle dichiarazioni dei testi in modo contraddittorio, in modo irragionevole, in modo ‘atomistico’ e a non distinguere quanto nelle testimonianze atteneva ai fatti e quanto atteneva a manifestazioni di giudizio, di sovrapposizione tra i dati che la Corte di Appello avrebbe dovuto ricavare dalla corretta lettura dei documenti e delle testimonianze e la scienza ‘propria personale’ dei giudici di appello; vi è un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, interpretazioni soggettive della ricorrente sulle dichiarazioni dei testi, riproduzione di atti e documenti, argomentazioni della ricorrente e frammenti di motivazione della sentenza impugnata. Il motivo così formulato contrasta con ‘lo scopo del processo, volto, da un lato, ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost., nell’ambito dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, comma 2, Cost. e in coerenza con l’art. 6 CEDU e, dall’altro, ad evitare di gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui’ (Cass. 26161/2021) ed è inammissibile perché non rispetta i
requisiti di chiarezza imposti dell’art. 366 c.p.c. (v. Cass. n. 13312 del 28/05/2018);
5. con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma n.5, che la Corte di Appello avrebbe ‘omesso dii considerare che il teste COGNOME abbia confermato il conferimento degli incarichi per le prestazioni promozionali nelle date indicate nelle fatture poste a base dei decreti ingiuntivi’.
Il motivo è inammissibile risolvendosi nel tentativo di mettere in discussione, semplicemente contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto del giudice del merito delle dichiarazioni del teste, senza considerare che spetta a quest ‘ ultimo soltanto ‘individuare le fonti del proprio convincimento e di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’ (Cass, Sez. 5, ordinanza n.32505 del 22/11/2023) e che tali attività si sottraggono al sindacato di legittimità salvo che sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica;
6. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la sas RAGIONE_SOCIALE NOME Pasqualino RAGIONE_SOCIALE. a rifondere alla srl De Giudice le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €2200,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma 14 marzo 2025
Il Presidente NOME COGNOME