Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6132 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6132 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
NOME , rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO PEC: EMAIL
-ricorrente-
Contro
COGNOME NOME rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo RAGIONE_SOCIALE dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza de lla Corte d’Appello di Torino n. 1302/2021, pubblicata il 29.11.2021, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE professionale Recesso
NOME COGNOME proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 54/2019, r.g. 149/2019, emesso dal Tribunale di Verbania in data 31.01.2019, per il pagamento in favore di NOME COGNOME di complessivi € 68.840, sulla base di “contratto di recesso da RAGIONE_SOCIALE professionale” del 3.2.2011 e di due scritture integrative di pari data, a titolo di corrispettivo pattuito per la liquidazione della propria quota, nonché per la parte di sua spettanza, in qualità di erede, del corrispettivo pattuito per la liquidazione della quota del de cuius, NOME COGNOME.
L’opponente, premessa la ricostruzione dei rapporti tra le parti, deduceva di avere rilevato le quote del 90% dello RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, la quota del 53% del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, la quota del 30% del rag. NOME COGNOME, e la quota del 7% dell’opposto.
Deduceva, poi, come le parti solo formalmente nel contratto di cessione avessero pattuito che il valore delle quote sarebbe stato determinato sulla base del valore patrimoniale dell’RAGIONE_SOCIALE, avendo, invece, pattuito un corrispettivo più elevato, determinato in un primo momento, con una prima scrittura integrativa in € 58.069,00 (ripartita nel seguente modo: all’AVV_NOTAIO, € 4.516,00, al AVV_NOTAIO. COGNOME, € 34.195 e al rag. COGNOME la somma di € 19.356, e, successivamente, a seguito di un approfondimento contabile dell’RAGIONE_SOCIALE, con il raddoppio della cifra.
Deduceva, dunque, che gli importi portati dalle scritture poste a base del ricorso monitorio, dalle quali emergeva la pattuizione del corrispettivo ulteriore, non avrebbero dovuto essere cumulati, atteso, in effetti, che gli importi previsti dalla seconda scrittura (ripartita nel seguente modo: all’AVV_NOTAIO COGNOME, € 9.032, al AVV_NOTAIO. COGNOME, € 68.390 e al rag. COGNOME la somma di € 38.712) andavano a sostituire gli importi previsti dalla prima scrittura e non a cumularsi ad essi.
Ciò, affermava l’opponente, risulterebbe dal fatto che si tratta di scritture aventi la medesima data e divergenti solo per l’indicazione dell’importo (importo di € 58.069 nella prima, raddoppiato nella seconda ad € 116.134), della data di pagamento (la prima prevede il pagamento entro il 31.1.2013; la seconda prevede due rate di uguale entità da versarsi entro il 31.1.2012 ed entro il 31.01.2013) e per l’emissione di pagherò a beneficio dell’AVV_NOTAIO, del AVV_NOTAIO. COGNOME e del rag. COGNOME, prevista solo nella seconda scrittura.
Sul punto evidenziava come la dilazione del pagamento e l’emissione dei pagherò fosse prevista solo nella seconda scrittura, proprio in considerazione del maggiore importo dovuto.
Inoltre, il superamento della prima scrittura con le pattuizioni della seconda scrittura emergerebbe anche dalla circostanza che sulla prima scrittura sarebbe stata apposta la dicitura “superata”.
L’opponente, quindi, disconosceva la conformità agli originali delle scritture proAVV_NOTAIOe in copia e deduceva che l’originale dei contratti fosse stato distrutto a seguito del pagamento.
Esponeva di aver pagato tutto quanto dovuto, sia le somme ufficialmente dovute, sia gli importi previsti nella seconda scrittura per un totale di € 116.134,00, con pagamento in contanti e, quanto alle somme dovute all’AVV_NOTAIO ed al AVV_NOTAIO, direttamente nelle mani di NOME COGNOME (madre dell’opposto), ricevendo volta per volta la restituzione dei pagherò emessi.
Allegava, quindi, la malafede dell’opposto, che, solo in seguito alla rottura dei rapporti professionali tra l’opponente e la madre di questi (relativi alla liquidazione della quota di quest’ultima, al contenzioso successivo relativo all’esecuzione dell’accordo di conciliazione, allo sfratto dallo RAGIONE_SOCIALE e ad ulteriori controversie relative a competenze professionali), avrebbe utilizzato le suddette scritture per ottenere una duplicazione del pagamento già ricevuto.
Chiedeva, pertanto, accogliersi l’opposizione, revocarsi il decreto ingiuntivo opposto e condannarsi l’opposto ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
Il Tribunale di Verbania, ritenuta fondata l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava NOME COGNOME al pagamento delle spese di lite.
Avverso la sentenza quest’ultimo proponeva gravame dinanzi alla Corte di Appello di Torino che con la sentenza qui impugnata, accoglieva parzialmente l’appello e condannava l’appellato al pagamento di € 43.227 oltre la rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio
Per quanto qui di interesse, la Corte statuiva che:
il rilievo per cui la mancata produzione dell’originale sarebbe indizio, normalmente, di avvenuta estinzione del credito, non è applicabile al caso di specie, in quanto non vi è prova della detenzione del documento da parte dell’appellante, che risulta avere ottenuto le copie fotostatiche proAVV_NOTAIOe nel presente giudizio a seguito di estrazione da altre copie, in possesso della madre NOME COGNOME;
b) la natura di pagamenti “in nero” perché eseguiti nell’ambito di una operazione in parte elusiva delle imposte non impediva certo -ed anzi avrebbe consigliato – a COGNOME di munirsi di quietanze da esibire nel caso di contestazione;
il collegamento tra i prelievi bancari e gli asseriti pagamenti appare labile, in quanto, al fine di pervenire ad un importo comparabile, l’appellante ha imputato a tali pagamenti anche prelievi in contanti precedenti alla stipulazione della cessione di quote in oggetto e successivi alla scadenza prevista per il saldo del corrispettivo; affermare poi il NOME si sarebbe procurato gradualmente la provvista per il pagamento al fine di non violare la vigente disciplina valutaria, è argomentazione che stride sia con il dato normativo (i limiti al contante operano nei confronti dei pagamenti, non dei prelievi bancari), sia con la palese indifferenza manifestata dai protagonisti della vicenda nei confronti degli obblighi imposto dalla disciplina legislativa del settore economico-tributario;
la prova del pagamento non emerge – comunque – neppure dalle risultanze della -ammessa e assunta – prova testimoniale, carenti e contraddittorie;
le modalità di pagamento riferite dalla teste risultanoto parte incompatibili con quanto allegato dallo stesso appellato, che, nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, ha deAVV_NOTAIOo di avere provveduto alla consegna dei denari alle scadenze (e dunque entro il 31.1.2012 e -la seconda tranche -entro il 31.1.2013), ricevendo i relativi “pagherò”, che peraltro avrebbe provveduto -incautamente -a distruggere;
le prove testimoniali smentiscono in ogni caso le allegazioni.
La sentenza d’Appello così si limitava a riformare la sentenza di I grado nella parte in cui, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti aveva ritenuto provato il pagamento di quanto dovuto sulla base degli accordi intercorsi tra le parti, per le motivazioni sopraesposte.
NOME ha presentato ricorso per cassazione con un motivo. COGNOME COGNOME NOME ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
Con il primo motivo si denuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. in relazione all’utilizzo di fotocopie formalmente e specificamente disconosciute a fondamento della pretesa creditoria avversaria. Il ricorrente evidenzia che per realizzare il negozio complessivo, le parti hanno stipulato il contratto “integrativo” unitamente al contratto “ufficiale”. Il contratto “ufficiale”, in più copie originali, è stato pacificamente detenuto da tutte le parti.
Per quanto, invece, riguarda il contatto “integrativo in nero ‘ , l’unico originale sottoscritto è stato conservato dalle parti creditrici, ed in particolare dal AVV_NOTAIO COGNOME (che era il dominus dell’intera operazione di cessione della partecipazione, detenendone la maggioranza assoluta).
D’altronde, il AVV_NOTAIOCOGNOME COGNOME, obbligato al pagamento, non aveva particolare interesse ad avere l’originale con contratto integrativo per la parte in nero, avendo già a sue mani il contratto “ufficiale”. Detto ancora diversamente, poiché il contratto integrativo non conteneva alcuna obbligazione ulteriore in capo alle parti cedenti, ma solamente in capo alla parte acquirente/subentrante, è comprensibile che detto contratto -nella sua sola copia originale -fosse detenuto da chi doveva, in qualche modo, poter rivendicare la prestazione da parte del AVV_NOTAIO. COGNOME. I contratti integrativi erano stati disconosciuti perché non conformi all’originale , in quanto privi di una serie di annotazioni ed integrazioni aggiunte successivamente. La Corte ha ritenuto che la verosimile alterazione operata valga soltanto come elemento indiziario insieme ad altri per sostenere, l’impossibilità di considerare i contratti integrativi come coesistenti ma piuttosto sostitutivi. La decisione è in contrasto con la normativa che consente che la fotocopia disconosciuta non ha portata vincolante e la non conformità della fotocopia all’originale non consente di individuare esattamente gli elementi contrattuali a causa dell’assenza delle annotazioni poste sull’originale.
La Corte ha ammesso la visibilità dell’alterazione, secondo le specifiche indicazioni dell’attuale ricorrente, ma ha considerato egualmente vincolante il contenuto del documento fotocopiato. In particolare nella fotocopia sarebbero state eliminate le diciture ‘scrittura superata’ o ‘scrittura decaduta’ o ‘pagato’ o ‘adempiuto’ rimanendo visibili soltanto le controfirme delle parti, peraltro già apposte a piè di pagina su ogni foglio. In ogni caso era onere del ricorrente contestare esclusivamente la non corrispondenza a ll’originale delle copie proAVV_NOTAIOe, visibilmente alterate, con contestazioni non generiche. Ricordava, infine, che la richiesta di pagamento degli ulteriori importi era avvenuta anni dopo, e a seguito del contenzioso sorto tra la madre del controricorrente AVV_NOTAIO. COGNOME.
1.1 La censura è inammissibile per difetto di interesse. Il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre
una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone, e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione aAVV_NOTAIOata e che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte. Ne consegue, per un verso, che deve ritenersi normalmente escluso l’interesse della parte integralmente vittoriosa ad impugnare una sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, ove non sussista la possibilità, per la parte stessa, di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile; per altro verso, che l’interesse all’impugnazione va ritenuto sussistente qualora la pronuncia contenga una statuizione contraria all’interesse della parte medesima suscettibile di formare il giudicato (Cass., n. 28307/2020).
1.2 Nel caso di specie è del tutto evidente la mancanza di interesse del COGNOME ad impugnare un capo della sentenza che lo vede vittorioso, avendo la Corte d’appello affermato – rigettando il primo motivo di appello del preteso creditore COGNOME – che il disconoscimento delle fotocopie dei contratti integrativi di quello ufficiale (cessione di quote di uno RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) era stato correttamente effettuat o, ai sensi dell’art. 2719 c.c. dal COGNOME. La Corte ha, tuttavia, accertato che l’originale di tali scritture non era in possesso del COGNOME, odierno resistente, e che il pagamento, che il COGNOME (appellato) affermava di avere effettuato al COGNOME (appellante), non risultava comprovato. Tali rationes decidendi, negative per il ricorrente, non risultano, per contro, impugnate.
Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introAVV_NOTAIOo dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione