Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22149 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22149 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20752/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona dei legali rappresentanti p.t. AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, da sé medesimi rappresentati e difesi, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrenti –
contro
PARROTTA AVV_NOTAIO. NOME, rappresentato e difeso da sé medesimo e dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il proprio studio in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 604/22, depositata il 28 gennaio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
AVV_NOTAIO, già socio dell’RAGIONE_SOCIALE, la convenne in giudizio, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 1836/16, emesso il 26 gennaio 2016, con cui il Tribunale di Roma gli aveva intimato il pagamento della somma di Euro 11.000,00, oltre interessi, a titolo di restituzione di compensi professionali dovuti da NOME COGNOME, cliente dell’RAGIONE_SOCIALE, ed indebitamente riscossi dall’opponente all’insaputa degli altri soci.
A sostegno dell’opposizione, l’attore contestò la spettanza all’RAGIONE_SOCIALE delle somme incassate, negando l’efficacia probatoria della documentazione prodotta nel procedimento monitorio, consistente in due quietanze da lui sottoscritte, da due preavvisi di parcella e da una lettera sottoscritta dal COGNOME, e sostenendo comunque che gli altri soci avrebbero avuto al più diritto alle proprie quote.
Si costituì l’RAGIONE_SOCIALE, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.
1.1. Con sentenza del 2017, il Tribunale di Roma rigettò l’opposizione.
L’impugnazione proposta dall’AVV_NOTAIO è stata accolta dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 28 gennaio 2022 ha revocato il decreto ingiuntivo.
Premesso che l’opponente aveva contestato di aver incassato le somme versate dal COGNOME, avendo negato in particolare l’efficacia probatoria delle quietanze, delle quali aveva chiesto l’esibizione in originale, riservandosene il disconoscimento, e del secondo preavviso di parcella, del quale aveva eccepito la mancanza di sottoscrizione, la Corte ha rilevato che l’RAGIONE_SOCIALE aveva omesso di produrre l’originale della quietanza, della quale ha quindi escluso l’utilizzabilità, riconoscendo invece valore indiziario alle scritture provenienti dal COGNOME, delle quali ha però escluso l’idoneità a costituire la prova del credito, in difetto di prova testimoniale e di qualsiasi altro riscontro probatorio.
Avverso la predetta sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. L’AVV_NOTAIO–
rotta ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver accolto l’appello, senza considerare che l’appellante aveva omesso di censurare l’unica ratio decidendi della sentenza di primo grado, costituita dalla mancata contestazione dell’avvenuta riscossione della somma indicata nel decreto ingiuntivo. Sostiene infatti che con l’atto di appello l’AVV_NOTAIO si era limitato a far valere il difetto di legittimazione di essa ricorrente, l’insufficienza della documentazione prodotta ed il difetto di liquidità ed esigibilità del credito, nonché ad eccepire la compensazione.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 cod. civ., osservando che, nel porre a suo carico l’onere di provare l’avvenuta riscossione del compenso professionale, la sentenza impugnata non ha considerato che la domanda proposta nel procedimento monitorio aveva ad oggetto l’adempimento del contratto di associazione professionale, ai fini del quale essa ricorrente era tenuta a provare soltanto l’esistenza e l’efficacia del contratto, spettando al convenuto l’onere di provare di non aver riscosso alcun compenso, o di averlo conferito in comune, oppure di non averlo potuto conferire per causa a lui non imputabile.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., censurando la sentenza per aver ritenuto che l’opponente avesse specificamente contestato l’avvenuta riscossione dei compensi destinati all’RAGIONE_SOCIALE, senza tenere conto della genericità delle contestazioni sollevate dall’AVV_NOTAIO, il quale non aveva mai espressamente negato di aver incassato le predette somme, ma si era limitato a negare l’efficacia probatoria della documentazione prodotta.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2719 cod. civ., osservando che, nel ritenere efficacemente contestata la documentazione prodotta, la Corte territoriale non ha considerato che l’opponente non aveva sollevato alcuna eccezione in ordine alla fotocopia della quietanza da lui rilasciata, e ne ha negato l’utilizzabilità, nonostante l’ambiguità e la gene-
ricità delle formule adottate ai fini del disconoscimento della conformità all’originale e della sottoscrizione ivi apposta.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 2702, 2719 e 2729 cod. civ. e dell’art. 214 cod. proc. civ., sostenendo che, nell’escludere l’efficacia probatoria della quietanza di pagamento e della dichiarazione rilasciata dal COGNOME, la sentenza impugnata non ha considerato che le fotocopie, anche se validamente contestate, e le scritture provenienti da terzi sono utilizzabili come indizi, liberamente apprezzabili unitamente ad altri elementi di prova.
Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., rilevando che, nell’escludere l’utilizzabilità della dichiarazione rilasciata dal COGNOME, la Corte territoriale è incorsa in contraddizione, avendola per un verso qualificata come prova atipica, ed avendone per altro verso negato l’efficacia probatoria.
Il primo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono infondati.
Come si evince dalla lettura dei passi salienti dell’atto di appello, riportati testualmente nella narrativa del ricorso, l’AVV_NOTAIO aveva specificamente censurato la sentenza di primo grado per aver ritenuto provati i fatti costitutivi della pretesa azionata nel procedimento monitorio, richiamando le eccezioni sollevate in ordine alla conformità all’originale della copia della quietanza attestante il pagamento del compenso da parte del COGNOME ed all’autenticità della sottoscrizione della stessa, nonché alla rilevanza probatoria della missiva del cliente recante la comunicazione all’RAGIONE_SOCIALE dell’avvenuto pagamento del compenso in favore di esso opponente. In quanto volte a ribadire la mancata riscossione della somma richiesta in restituzione dai convenuti, attraverso la riproposizione delle eccezioni sollevate in primo grado, tali censure risultavano pienamente pertinenti alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che proprio a causa dell’omesso esame di tali eccezioni aveva ritenuto non contestato il fatto costitutivo della domanda.
E’ noto d’altronde che, ai fini della specificità dell’appello, è sufficiente che il relativo atto contenga una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e delle relative doglianze, affian-
cando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della perdurante natura di revisio prioris instatiae del giudizio di appello, il quale, anche a seguito delle modificazioni introdotte dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (cfr. Cass., Sez. Un. 13/12/2022, n. 36481; 16/11/2017, n. 27199; Cass., Sez. VI, 30/05/2018, n. 13535). In quest’ottica, il requisito di cui all’art. 342 cod. proc. civ. deve ritenersi osservato anche nel caso di mera riproposizione delle argomentazioni difensive svolte in primo grado, accompagnata dalla richiesta di rivalutazione delle prove già raccolte, purché le stesse di traducano in una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consentano al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr. Cass., Sez. VI, 8/02/2018, n. 311; Cass., Sez. I, 12/02/2016, n. 2814; Cass., Sez. III, 29/11/2011, n. 25218).
Ne consegue che non sussiste né il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., né la violazione del giudicato interno, ex art. 2909 c.c., dedotti dai ricorrenti, essendosi la Corte correttamente pronunciata sul gravame del COGNOME, avente ad oggetto la contestazione della pretesa ingiunta, e segnatamente la contestazione della circostanza dell’avere il medesimo indebitamente incassato la somma di euro 11.000,00, oggetto del decreto monitorio intimatogli.
Quanto poi alla specificità delle contestazioni sollevate con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, è appena il caso di richiamare il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento all’art. 115 cod. proc. civ., secondo cui i fatti allegati da una parte possono considerarsi pacifici, con il conseguente esonero dalla necessità di fornirne la prova, soltanto quando la controparte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, manifestando in tal modo il proprio disinteresse ad un accertamento degli altri (cfr. Cass., Sez. V, 29/10/2020, n. 23862; Cass., Sez. I, 11/04/2014, n. 8591;
Cass., Sez. II, 16/11/2012, n. 20211). L’apprezzamento in ordine alla sussistenza ed alla specificità della contestazione, implicando l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, costituisce, peraltro, un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione (cfr. Cass., Sez. II, 28/10/2019, n. 27490; Cass., Sez. VI, 7/02/2019, n. 3680), nella specie neppure dedotto, per cui, sotto tale profilo, la censura è inammissibile.
Peraltro, la doglianza è anche infondata, non essendo esatto quanto assumono i ricorrenti, secondo i quali la Corte territoriale avrebbe considerato come fatto impeditivo della pretesa azionata dai creditori con il decreto ingiuntivo, solo la contestazione dei documenti prodotti dai ricorrenti, avendo, per contro, la Corte rilevato che l’AVV_NOTAIO aveva contestato proprio la ‘circostanza’ dell’incasso della somma di euro 11.000,00.
E’ parimenti infondato il secondo motivo, avente ad oggetto la violazione relativi alla ripartizione dell’onere della prova.
L’imposizione a carico dell’RAGIONE_SOCIALE dell’onere di fornire la prova dell’avvenuta riscossione del compenso professionale da parte del socio trova infatti conforto nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di prova dell’inadempimento delle obbligazioni, secondo cui il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (cfr. Cass., Sez. VI, 12/ 10/2018, n. 25584; Cass., Sez. III, 20/01/2015, n. 826; Cass., Sez. I, 15/ 07/2011, n. 15659).
La domanda, avendo ad oggetto la restituzione di una somma di pertinenza dell’RAGIONE_SOCIALE, asseritamente trattenuta dal socio in violazione degli obblighi previsti dall’atto costitutivo, presupponeva l’allegazione e la prova, da parte della ricorrente, non solo della fonte dell’obbligo fatto valere nei confronti dell’opponente, rappresentata dall’atto costitutivo dell’RAGIONE_SOCIALE, ma anche del fatto da cui scaturiva l’obbligazione, rappre-
sentato dall’avvenuta percezione di una somma corrisposta dal terzo per una causale che comportava a carico del socio l’obbligo di riversarla in favore della RAGIONE_SOCIALE: soltanto all’esito di tale prova l’opponente sarebbe stato tenuto a fornire la prova di aver riscosso la somma in questione per una causale diversa da quella indicata, oppure di aver puntualmente adempiuto la propria obbligazione, mediante il riversamento dell’importo percepito, o ancora di non avervi potuto provvedere per causa a lui non imputabile, non incombendo a suo carico l’onere di fornire la prova negativa di non aver riscosso alcuna somma.
Va soggiunto che, trattandosi di somma oggetto di decreto ingiuntivo, l’onere di provare la sussistenza del credito per la restituzione della stessa era a carico dei creditori opposti (per tutte, Cass. 19944/2023).
E’ invece fondato il quarto motivo, riguardante il disconoscimento della conformità all’originale della fotocopia della quietanza prodotta in giudizio.
Non può infatti condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso l’idoneità delle quietanze prodotte in copia dall’RAGIONE_SOCIALE professionale a fornire la prova dell’avvenuta riscossione da parte dell’opponente della somma di sua pertinenza, per effetto dell’avvenuto disconoscimento della conformità delle copie agli originali e della mancata produzione di questi ultimi da parte della ricorrente.
Benvero, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l’art. 2719 cod. civ., che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche, è applicabile tanto all’ipotesi di disconoscimento della conformità della copia all’originale, quanto a quella di disconoscimento dell’autenticità della scrittura o della sottoscrizione, e, nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi devono ritenersi disciplinate dagli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione (cfr. Cass., Sez. III, 5/07/2019, n. 18074; Cass., Sez. VI, 6/02/2019, n. 3540; Cass., Sez. II, 16/01/2018, n. 882). A seguito del disconoscimento della fo-
tocopia della scrittura privata, la parte che intende avvalersene è poi tenuta a produrre l’originale (e, in caso di ulteriore disconoscimento, a chiederne la verificazione), atteso che solo con l’originale si realizzano la diretta correlazione e l’immanenza della personalità dell’autore della sottoscrizione, che giustificano la fede privilegiata che la legge assegna al documento medesimo, così da fondare una presunzione legale superabile dall’apparente sottoscrittore solo con l’esito favorevole della querela di falso (cfr. Cass., Sez. I, 6/08/2015, n. 16551; Cass., Sez. II, 27/07/2000, n. 9869; 19/10/1999, n. 11739). E’ stato tuttavia precisato che il disconoscimento di una scrittura privata (e quindi anche della conformità della copia all’originale), pur non richiedendo, ai sensi dell’art. 214 cod. proc. civ., una forma vincolata, deve avvenire in modo formale e specifico, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, risultando invece insufficiente una contestazione generica, in quanto consistente in una mera clausola di stile, oppure implicita, perché frammista ad altre difese o meramente sottintesa in una diversa versione dei fatti (cfr. Cass., Sez. V, 17/06/ 2021, n. 17313; 20/06/2019, n. 16557; Cass., Sez. III, 19/07/2012, n. 12448).
Tale onere di specificità ed univocità non può ritenersi nella specie correttamente adempiuto, avuto riguardo alle espressioni utilizzate dall’opponente e testualmente riportate nella sentenza impugnata, le quali individuavano alcuni dei documenti contestati in modo piuttosto confuso, facendo riferimento alle quietanze prodotte, ma riportando un numero diverso da quello con cui erano indicate nell’elenco allegato al ricorso per decreto ingiuntivo, e non recavano comunque una chiara contestazione della conformità delle copie agli originali e dell’autenticità delle relative sottoscrizioni, risolvendosi nella mera sollecitazione alla produzione degli originali, non accompagnata dall’indicazione degli elementi differenziali, ma solo dalla riserva di disconoscere le sottoscrizioni. In assenza di un chiaro disconoscimento, avrebbe dovuto escludersi anche la spettanza alla ricorrente dell’onere di produrre gli originali dei documenti contestati, dal cui inadempimento la sentenza impugnata non avrebbe dunque potuto far discendere la mancata dimostrazione dei fatti co-
stitutivi della pretesa azionata.
10. Il motivo va pertanto accolto, restando assorbiti il quinto ed il sesto motivo d’impugnazione, aventi ad oggetto il valore probatorio della comunicazione inviata dal RAGIONE_SOCIALE all’RAGIONE_SOCIALE e l’utilizzabilità della stessa come prova atipica.
La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, nei limiti segnati dall’accoglimento del quarto motivo, con il rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regola-