Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1262 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1262 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19229/2020 R.G. proposto da : NOME COGNOME elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 593/2020 depositata il 06/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.nel novembre 2001, NOME COGNOME e il fratello NOME COGNOME COGNOME stipularono un preliminare di divisione del patrimonio ereditario del padre NOME COGNOME nel quale fu inserita una clausola, facente riferimento all’allegato D) dello stesso preliminare, con cui, in sede di definitivo, NOME COGNOME COGNOME si sarebbe impegnato a manlevare NOME COGNOME dalle pretese che la moglie del de cuius avrebbe potuto avanzare in ragione dell’eventuale accoglimento di domande sul patrimonio relitto proposte davanti al Tribunale di Milano contro le stesse parti del preliminare e contro altri loro fratelli in una causa successoria. Il definitivo veniva stipulato l’11 giugno 2002. NOME COGNOME chiese successivamente a NOME COGNOME COGNOME di tenerlo indenne dalla pretesa della moglie del de cuius di ottenere la somma di 326.931,61 euro riconosciutale dal Tribunale di Milano. NOME COGNOME COGNOME rifiutò, adducendo che il definitivo non conteneva alcuna clausola di manleva in coerenza con il fatto che le parti si erano date reciprocamente atto di non avere alcunché da pretendere l’una d’altra. NOME COGNOME ottenne dal Tribunale di Firenze un decreto ingiuntivo che fu opposto da NOME COGNOME COGNOME e che fu revocato in accoglimento delle eccezioni dell’opponente per cui nel definitivo non vi era alcuna clausola di manleva, nessun rilievo poteva essere annesso all’atto di manleva prodotto da NOME COGNOME come atto che sarebbe stato stipulato contestualmente al definitivo e sarebbe stato allegato al definitivo, in quanto NOME NOME COGNOME aveva disconosciuto la sottoscrizione apposta a quell’atto e NOME COGNOME non aveva chiesto la verificazione di tale sottoscrizione, nè la moglie del
de cuius aveva escusso il debitore NOME COGNOME cosicché l’ipotetica garanzia non sarebbe stata comunque ancora operativa. La Corte di Appello di Firenze con la sentenza 593 del 2019 ha confermato la sentenza del Tribunale. In particolare, la Corte di Appello ha dato conto del motivo di impugnazione con cui NOME COGNOME aveva lamentato la ‘errata valutazione del documento 3 allegato al rogito di divisione e l’errata ricostruzione dei fatti in merito all’obbligo di manleva’, asserendo che ‘la dichiarazione di manleva di cui al documento 3 è datata e sottoscritta da NOME COGNOME COGNOME differentemente da come pronunciato dal Giudice di prime cure e la dichiarazione allegato D) del preliminare era effettivamente non sottoscritta ma tuttavia siglata a margine dalle parti come ogni altro allegato al preliminare e riprodotta datata e sottoscritta in sede di rogito notarile’. La Corte di Appello ha ribadito le affermazioni del Tribunale osservando che nel definitivo non era stata riprodotta la dichiarazione di manleva allegata al preliminare e che la sottoscrizione della dichiarazione che l’appellante aveva prodotto come ‘scrittura contestuale al rogito’ era stata disconosciuta senza che al disconoscimento avesse fatto seguito l’istanza di verificazione. La Corte di Appello ha ribadito anche l’ulteriore affermazione del Tribunale per cui la clausola di manleva, anche ove fosse stata effettivamente pattuita, non sarebbe stata operativa posto che la moglie del de cuius non aveva un titolo esecutivo con cui poter agire contro NOME avendo la stessa ottenuto dal Tribunale di Milano solo una sentenza dichiarativa dell’esistenza del credito verso NOME;
2.NOME COGNOME ricorre con due motivi, avversati da NOME COGNOME COGNOME con controricorso, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello;
le parti hanno depositato memoria; considerato che:
1.il primo motivo è rubricato ‘omesso esame circa un fat to decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ossia sulla riferibilità del documento 3 al signor NOME COGNOME Violazione o falsa applicazione degli artt. 214-215-216 c.p.c. al doc.3, riferibile rispettivamente ex art.360,n.5 c.p.c. ed ex art. 360, n.3 c.p.c.’.
Sotto questa rubrica si deduce che i giudici di merito avrebbero per errore ritenuto che NOME COGNOME COGNOME avesse disconosciuto la firma apposta per esteso al documento n.3 -documento recante il patto di manleva, posto a base del ricorso per decreto ingiuntivomentre NOME COGNOME COGNOME per un verso, non aveva negato di aver sottoscritto quel documento ma aveva solo messo in discussione di averlo sottoscritto l’11 giugno 2002, contestualmente al definitivo, per altro verso, aveva invece disconosciuto la firma di un altro documento che aveva contenuto identico al documento 3 e che era stato prodotto da esso ricorrente come allegato 9 della comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo. Il vizio di omesso esame di un fatto decisivo e il vizio di violazione degli artt. 214, 215 e 216 c.p.c. deriverebbero, secondo l’impostazione del ricorrente, dal fatto che, per effetto di tale errore, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del documento n. 3;
il motivo è inammissibile.
In sostanza il ricorrente sostiene che vi sia stato, da parte dei giudici di appello, un travisamento dell’oggetto del disconoscimento effettuato da NOME COGNOME: i giudici di appello avrebbero per errore riferito il disconoscimento al documento n. 3 mentre NOME COGNOME avrebbe disconosciuto il documento n.9.
Il motivo, al di là della relativa rubrica, veicola non una doglianza di violazione di legge ma la prospettazione di una svista concernente il contenuto di un atto del processo, segnatamente l’atto recante il disconoscimento, la quale trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c.;
il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1322-1299-1273 c.c. in merito di obbligo di manleva, rilevabile ex art. 360 n.3, c.p.c.’ per avere la Corte di Appello ritenuto che l’ipotetica garanzia non sarebbe stata comunque operativa, è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) per conseguenza dell’inammissibilità del primo motivo: deve ritenersi ormai definitivamente accertato che la garanzia non era stata prestata; non vi è interesse a stabilire se sia corretta o meno l’affermazione della Corte di Appello per cui la garanzia, ove effettivamente prestata, non sarebbe stata operativa;
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in €9000,00 per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2025.