Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11196 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11196 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26924/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME
– intimati – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5523/2021 depositata il 26/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di AVV_NOTAIOiglio del 14/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Velletri nel definire il giudizio promosso da NOME COGNOME nei confronti dei NOME e dei rispettivi eredi rigettava la domanda di usucapione del terzo piano del fabbricato edificato sul terreno distinto al catasto di Frascati, foglio 2, particella 62 e contestualmente disponeva lo scioglimento della comunione indivisa del compendio immobiliare, attribuendo in natura i beni indicati nel primo progetto di divisione della AVV_NOTAIOulenza tecnica difficile con condanna dell’attore al pagamento dei conguagli.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Si costituivano gli eredi di NOME COGNOME, gli eredi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello.
La C orte d’ Appello di Roma, per quel che ancora rileva, confermava la sentenza di primo grado e rigettava la domanda di usucapione dell’appellante , accogliendo il gravame solo in punto di liquidazione delle spese.
In particolare, da quanto emergeva dagli atti, l ‘immobile oggetto di causa si componeva in origine di due piani ed era stato
oggetto di donazione unitamente al terreno dal padre, NOME COGNOME, ai figli, NOME, NOME e NOME, con atto del 28 febbraio 1979 con riserva di usufrutto. Alla morte del padre nel 1986 la piena proprietà del bene si era AVV_NOTAIOolidata in capo ai figli. La ristrutturazione del fabbricato con la costruzione del terzo piano non comportava una proprietà esclusiva dello stesso in capo all’appellante , dovendosi ritenere che il bene era caduto in comunione. Al riguardo il Tribunale aveva correttamente richiamato il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di comproprietà il godimento esclusivo da parte di uno dei comunisti non dà luogo ad un possesso utile ad usucapire occorrendo piuttosto l’esercizio di un’attività in aperto contrasto con la titolarità degli altri comproprietari, a maggior ragione in un caso come quello, di persone legate da un rapporto di stretta parentela e abitanti a loro volta nel medesimo stabile. Le deposizioni testimoniali assunte nel corso dell’istruttoria non avevano carattere dirimente.
Neanche il pagamento delle spese relative al bene e il suo utilizzo esclusivo da parte di NOME COGNOME erano elementi sufficienti ai fini del riconoscimento dell’usucapione. D’altra parte , a corroborare il contrario assunto deponevano il verbale di sospensione dei lavori elevato dalla prefettura in data 18 ottobre 1984 nei confronti di NOME e NOME COGNOME, il sequestro delle opere a carico di tutti i tre NOME e il verbale di sequestro notificato il 29 settembre 1986 sempre a tutti i comproprietari. La circostanza che di fatto i tre NOME, con i rispettivi familiari, occupassero uno ciascuno dei tre appartamenti di cui si componeva lo stabile non poteva significare un atteggiamento dismissivo della comproprietà,
tanto che anche le altre porzioni erano state oggetto della domanda di divisione proposta dall’appellante proprio sul presupposto che gli immobili fossero rimasti in comunione. Infine, quanto alla scrittura privata del 13 gennaio 1982 con la quali si deduceva che i NOME NOME e NOME avevano autorizzato NOME ad usufruire del piano, deliberando la proprietà in suo favore, doveva evidenziarsi che i convenuti avevano disconosciuto la loro sottoscrizione e non vi era stata istanza di verificazione, pertanto, non si poteva tener conto della suddetta scrittura.
Il fatto che detta scrittura fosse stata prodotta dagli stessi convenuti al momento della costituzione in giudizio non poteva conferire autenticità alle firme. L’esistenza del documento non era in contestazione e l’avvenuta pr oduzione non spiegava alcun rilievo se non quello sottolineato dalla stessa parte convenuta di fornire la propria interpretazione del contenuto della scrittura ove in giudizio fosse stata riconosciuta l’autenticità delle sottoscrizioni. Non poteva condividersi, pertanto, l’assunto sost enuto dalla parte appellante secondo cui la produzione del documento avrebbe dato luogo ad un’implicita rinuncia al disconoscimento ovvero che quest’ultimo fosse rivolto alla copia prodotta dai convenuti e non anche all’atto depositato dall’attore a sosteg no della sua pretesa. Infondati erano anche tutti gli altri rilievi alla sentenza di primo grado afferenti la natura dell’atto di donazione che riguardava la nuda proprietà del terreno e del fabbricato e non poteva dar luogo ad un accordo tra i NOME ci rca l’uso dei vari piani.
La Corte poi confermava il progetto di divisione in quanto fondato sulla AVV_NOTAIOulenza tecnica d’ufficio espletata nel corso del
giudizio di primo grado con un lavoro puntuale accurato le cui risultanze non potevano essere disattese.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il Consigliere delegato formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di AVV_NOTAIOiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il AVV_NOTAIOigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di AVV_NOTAIOiglio AVV_NOTAIOeguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel
medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale recentissima pronuncia (che ha giustificato la successiva riconvocazione del Collegio in camera di AVV_NOTAIOiglio), il AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis cpc, non versa in situazione di incompatibilità.
Passando ai motivi di ricorso, il primo di essi è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. nonché delle regole processuali in tema di acquisizione delle prove e dei principi che informano il corretto apprezzamento da parte del giudice. Omessa e, comunque, insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia circa l’avvenuta produzione da parte dei convenuti all’atto della loro costituzione in giudizio di una copia della scrittura privata del 13 gennaio 1982 indicata dagli stessi come documento numero 4. Principio di acquisizione delle prove.
La C orte d’ Appello ha ritenuto che la prova documentale fosse a disposizione dei soli convenuti che l’avevano prodott a mentre, invece, avrebbe dovuto valutare che si trattava di una prova documentale disponibile ed utilizzabile anche a favore della parte attrice in virtù del principio di acquisizione delle prove valida anche per le prove documentali.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 214, 215, nonché degli articoli 2712 e 2719 c.c. anche in combinato disposto tra di essi. Omessa e, comunque, insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, circa l’avvenuta produzione da parte dei convenuti
all’atto della loro costituzione in giudizio, di una copia della scrittura privata del 13 gennaio 1982; circa la delimitazione dell’oggetto del disconoscimento circa l’onere dell’istanza di verificazione , nonché circa l’individuazione del soggetto tenuto all’onere della prova in relazione all’apocrif ia della firma disconosciuta. Disconoscimento delle scritture.
La censura in sostanza ha ad oggetto il fatto che il disconoscimento della scrittura era riferito solo alla copia prodotta dalle controparti. Peraltro, il disconoscimento contro una propria produzione documentale non corrisponderebbe alla previsione di cui a ll’articolo 214 c.p.c. che presuppone che il documento contro cui è diretto il disconoscimento sia quello prodotto dall’altra parte. Nel caso di specie trattandosi di disconoscimento dei convenuti contro una propria produzione documentale espressamente a llegata non sussisteva l’onere dell’attore di chiedere la verificazione essendo l’onere della prova sul punto a carico dei convenuti.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 214 e 215 c.p.c. nonché degli articoli 2712 e 2719 c.c. anche in combinato disposto tra di essi. Omessa comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, circa l’avvenuta produzione da parte dei convenuti all’atto della loro costituzione in giudizio, di una copia della scritt ura privata del 13 gennaio 1982 indicata dagli stessi come documento quattro. Valutazione della dichiarazione di disconoscimento.
In subordine rispetto al motivo precedente il ricorrente censura la sentenza sotto l’ulteriore profilo oggetto di discussione ovvero che l’avvenuta produzione da parte dei convenuti all’atto
della loro costituzione in giudizio di una copia identica della scrittura privata del 13 gennaio 1982 indicata dagli stessi come documento NUMERO_DOCUMENTO costituisce un comportamento concludente in contraddizione con la volontà di disconoscimento. Anche sotto tale profilo la motivazione espressa dalla corte territoriale violerebbe le norme denunciate e sarebbe omissiva o, quantomeno, insufficiente su un punto decisivo dibattuto in giudizio.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e degli artt. 714, 1140, 1158 2697 c.c., nonché dell’articolo 2727 e seguenti c.c. in tema di presunzione. Omessa o, comunque, insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia circa la natura giuridica della suddetta scrittura privata del 13 gennaio 1982 prodotta in giudizio da entrambe le parti processuali circa le risultanze del quadro probatorio incompatibili con una situazione di tolleranza. L’acquisto della proprietà immobiliare per intervenuta usucapione.
La censura riguarda la valutazione degli elementi di prova raccolti e delle presunzioni applicabili che avrebbe permesso di pervenire a conclusioni favorevoli al ricorrente. In particolare si fa riferimento al documento probatorio rappresentato dalla scrittura privata del 13 gennaio 1982 mediante il quale si riconosceva il possesso in capo ad NOME in modo esclusivo ed incompatibile con il godimento altrui, limitando il rapporto di nuda comproprietà tra i tre NOME. La suddetta scrittura costituirebbe un negozio di accertamento diretto ad agevolare il trasferimento tramite l’istituto giuridico dell’usucapione. Pertanto , la scrittura privata del 13 gennaio 1982 unitamente alla prova testimoniale e alle presunzioni
applicabili dimostrerebbe la sussistenza del possesso utile ad usucapire in capo ad NOME COGNOME. Pertanto, la C orte d’ Appello di Roma avrebbe dovuto dichiarare a favore di questi l’acquisto della proprietà per intervenuta usucapione del bene immobile come richiesto con la domanda originaria.
Parte ricorrente, con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e in sostanziale replica alle conclusioni della proposta al fine dell’esclusione della preclusione di cui alla cd. ‘doppia conforme’ in fatto (ex art. 348 ter commi 4 e 5 cpc, applicabile ratione temporis ), osserva che, riguardo al rigetto della domanda di usucapione svolta da NOME COGNOME, le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di parziale riforma della Corte d’Appello di Roma, sono tra loro obiettivamente diverse, anche nell’iter logico-argomentativo.
Ciò premesso, il ricorrente ribadisce le sue doglianze circa il mancato utilizzo e l’omesso esame della scrittura privata datata 13/01/1982, avendo ciò comportato l’omesso esame del fatto storico decisivo, dibattuto tra le parti, risultante dalla seguente dichiarazione in essa contenuta: ‘ i signori COGNOME NOME e COGNOME NOME autorizzano il loro fratello COGNOME NOME ad usufruire del piano 3° e quindi ne deliberano la proprietà a suo favore ‘.
Il collegio rileva che la memoria della parte ricorrente non offre argomenti tali da AVV_NOTAIOentire un accoglimento del ricorso.
7.1 I quattro motivi di ricorso ruotano tutti intorno alla efficacia probatoria della suddetta scrittura privata del 13 gennaio 1982 con
la quali i NOME NOME e NOME avevano autorizzato NOME ad usufruire del piano, deliberando la proprietà in suo favore.
7.2 La Corte d’Appello non ha tenuto conto di tale scrittura perché i convenuti avevano disconosciuto la loro sottoscrizione e non vi era stata istanza di verificazione. Il fatto che detta scrittura fosse stata prodotta dagli stessi convenuti al momento della costituzione in giudizio non poteva conferire autenticità alle firme. L’esistenza del documento non era in contestazione e l’avvenuta produzione non spiegava alcun rilievo se non quello sottolineato dalla stessa parte convenuta di fornire la propria interpretazione del contenuto della scrittura ove in giudizio fosse stata riconosciuta l’autenticità delle sottoscrizioni. Non poteva condividersi, pertanto, l’assunto sostenuto dalla parte appellante secondo cui la produzione del documento avrebbe dato luogo ad un’implicita rinuncia al discono scimento ovvero che quest’ultimo fosse rivolto alla copia prodotta dai convenuti e non anche all’atto depositato dall’attore a sostegno della sua pretesa. Infondati erano anche tutti gli altri rilievi alla sentenza di primo grado afferenti alla natura dell ‘atto di donazione che riguardava la nuda proprietà del terreno e del fabbricato e non poteva dar luogo ad un accordo tra i NOME circa l’uso dei vari piani.
7.3 Così riassunta la parte di motivazione che il ricorrente insiste nel ritenere erronea sotto i diversi profili sopra riportati devono esaminarsi le singole censure.
7.4 Quanto alla violazione degli artt. 115 e 116 La censura proposta è manifestamente inammissibile risolvendosi espressamente nella richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art.
115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di AVV_NOTAIOiderare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività AVV_NOTAIOentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016, Cass. S.U. n. 16598/2016). Inoltre, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente
apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora AVV_NOTAIOente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. (Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02).
7.5 Ciò detto anche la censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è AVV_NOTAIOentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato sia in relazione agli interessi coinvolti nel giudizio presupposto che alla rilevanza della causa riconoscendo un moltiplicatore annuo superiore al minimo ed evidenziando che le maggiorazioni hanno carattere discrezionale e nella specie oggetto dell’equa riparazione era solo la durata del giudizio di appello.
Anche volendo riqualificare la censura sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti la stessa non sarebbe ammessa in un caso come quello in esame in cui la sentenza della Corte d’Appello è d el tutto conforme a quella di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’).
Non può condividersi quanto afferma parte ricorrente circa il fatto che le sentenze di primo e secondo grado si fondano su diversi iter argomentativi. In realtà entrambe, sulla base dei fatti di causa e delle risultanze istruttorie, escludono il possesso in capo al ricorrente. In proposito deve darsi continuità al seguente principio di diritto: Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con AVV_NOTAIOeguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01).
7.6 Infine, quanto al disconoscimento costituisce indirizzo del tutto AVV_NOTAIOolidato quello secondo il quale: Il disconoscimento della propria sottoscrizione, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., deve avvenire in modo formale ed inequivoco essendo, a tal fine, inidonea una contestazione generica oppure implicita, perché frammista ad altre difese o meramente sottintesa in una diversa versione dei fatti; inoltre, la relativa eccezione deve contenere specifico riferimento
al documento e al profilo di esso che viene contestato, sicché non vale, ove venga dedotta preventivamente, a fini solo esplorativi e senza riferimento circoscritto al determinato documento, ma con riguardo ad ogni eventuale produzione in copia che sia stata o possa essere effettuata da controparte (Sez. 5 – , Ordinanza n. 17313 del 17/06/2021, Rv. 661429 – 01)
Ciò premesso, non può ritenersi, come pretende il ricorrente, che il disconoscimento sia stato rivolto solo al documento che egli aveva prodotto in giudizio e non anche alla copia prodotta dalla controparte. Infatti, il documento era lo stesso e il ricorrente non precisa neanche se quello da lui prodotto fosse in copia o in originale, mentre quello prodotto dai convenuti al momento del disconoscimento era in copia.
Ad ogni modo, nella specie trovano applicazione gli articoli 214 e 215 c.p.c., in quanto il documento del quale si contesta la falsità della firma è stato prodotto in giudizio dall’attore a sostegno della sua domanda e non dall’apparente sottoscrittore che, invece, è convenuto in giudizio e contesta l’avversa pretesa così come la veridicità della sottoscrizione, producendo anche copia del documento e contestualmente chiedendone il disconoscimento.
In tal caso, infatti, non opera il principio secondo il quale: Qualora una scrittura privata sia prodotta in giudizio dalla medesima parte che deduce la non autenticità della propria apparente sottoscrizione non trovano applicazione gli articoli 214 e 215 c.p.c., i quali postulano, al pari dell’art. 2702 c.c., che il documento del quale si alleghi la falsità della firma sia stato prodotto in giudizio dall’altra parte, e non dall’apparente
sottoscrittore (Sez. 1, Ordinanza n. 27362 del 19/09/2022, Rv. 665882 – 01).
Infatti, il presupposto di tale principio è che il soggetto che sostenga la non autenticità della propria apparente sottoscrizione non sia tenuto ad attendere di essere evocato in giudizio da chi affermi una pretesa sulla base del documento, per poi operare il disconoscimento ai sensi e per gli effetti degli artt. 214 e ss. cod. proc. civ.. Egli, dunque, ben può «legittimamente assumere l’iniziativa del processo, onde vedere accertata, secondo le ordinarie regole probatorie, la non autenticità di detta sottoscrizione, nonché per sentire accogliere quelle domande che postulino tale accertamento».
Solo in tal caso non trova la disciplina del disconoscimento della scrittura privata come delineata dal codice di rito (cfr., in termini, Cass. n. 20882 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano, anche Cass. n. 1420 del 1983; Cass. n. 12471 del 2001, Cass. n. 974 del 2008; Cass. n. 16777 del 2014).
Al contrario, nel caso di specie, trovando applicazione gli artt. 214 e ss. del codice di rito, non può che ribadirsi che in caso di mancanza di istanza di verificazione ai sensi dell’art. 216 c.p.c. a seguito del disconoscimento della sottoscrizione di una scrittura privata, il documento è privato di qualsivoglia efficacia probatoria.
Questa Corte a Sezioni Unite, di recente ha precisato che: La mancata proposizione dell’istanza di verificazione, al pari della successiva rinuncia alla stessa, privando il documento disconosciuto di ogni inferenza probatoria, ne preclude al giudice la valutazione ai fini della formazione del proprio convincimento,
senza che gli sia AVV_NOTAIOentito maturare altrimenti il giudizio sulla sua autenticità in base ad elementi estrinseci alla scrittura o ad argomenti logici, divenendo perciò il documento irrilevante, e non utilizzabile, nei riguardi non solo della parte che lo disconosce, ma anche, e segnatamente, della parte che lo ha prodotto (Sez. U, Sentenza n. 3086 del 01/02/2022)
Il ricorso va, pertanto, rigettato con AVV_NOTAIOeguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 9 6 cod. proc. civ., con AVV_NOTAIOeguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, della ulteriore somma pari ad euro 4.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di AVV_NOTAIOiglio della Seconda