Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6338 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6338 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19166-2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
COGNOME nella qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA RAGIONE_SOCIALE DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 468/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 12/05/2022 R.G.N. 1323/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento individuale –
tutela – secondo
licenziamento
R.G.N. 19166/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 28/01/2025
CC
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Catania ha accolto in parte il reclamo di NOME COGNOME titolare della omonima ditta individuale, e in parziale riforma della sentenza di primo grado (che aveva dichiarato nullo il licenziamento perché ritorsivo, applicando la tutela di cui all’art. 18, comma 2, della legge n. 300/1970 come modificato dalla legge n. 92/2912), ha delimitato la condanna alla reintegra del lavoratore fino alla data del secondo licenziamento e allo stesso modo ha quantificato l’indennità risarcitoria in misura pari alle retribuzioni spettanti dalla data del licenziamento con preavviso (26.5.2015) fino al 10.10.2017 (data del secondo licenziamento), oltre accessori ed ha condannato parte datoriale alla rifusione della metà delle spese processuali, con compensazione della residua metà.
2. La Corte territoriale ha giudicato ammissibile la produzione, ad opera del datore di lavoro, della lettera raccomandata del 2.10.2017, escludendone la tardività rilevata invece dal primo giudice. Ha osservato che nel ricorso in opposizione il Puccia ave va allegato l’impossibilità di reintegrare il dipendente a causa della cessazione dell’appalto cui il medesimo era addetto; che la lettera del 2.10.2017, allegata alle note conclusionali unitamente all’avviso di ricevimento, era stata recapitata al destina tario l’11.10.2017, come accertato dal tribunale con statuizione non impugnata; che con la citata lettera il Puccia, oltre a riservare l’impugnazione dell’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria (comunicata il 20.9.2017), informava il lavorator e dell’impossibilità di reintegrarlo data la cessazione dell’appalto relativo alla raccolta dei rifiuti, affidato a far data dall’1.12.2016 ad altra società, obbligata da clausola sociale all’assunzione dei dipendenti impiegati nell’appalto medesimo. I giudici di appello hanno qualificato la lettera del
2.10.2017 come comunicazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, costituente causa sopravvenuta di cessazione del rapporto di lavoro, documento che il tribunale avrebbe dovuto acquisire, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., poiché indispensabile per stabilire gli effetti della nullità del (primo) licenziamento oggetto di causa. In ordine ai vizi del primo licenziamento, hanno escluso la genericità della contestazione disciplinare avente, invece, un ‘contenuto analitico e specifico’; hanno escluso, in base alle prove testimoniali, la sussistenza dell’addebito mosso al lavoratore, di negligente adempimento della prestazione nel giorno 11.5.2015, e quindi la sussistenza di una giusta causa di recesso; hanno ritenuto comprovato l’intento ritorsivo dato riale in ragione: della palese sproporzione delle sanzioni disciplinari conservative adottate nei confronti del Moncada nell’anno 2014 (e da questi non impugnate), epoca in cui il datore era già a conoscenza della denuncia penale presentata dal dipendente nei suoi confronti, sanzioni precedute da ‘un controllo ossessivo del dipendente per il tramite del figlio (del COGNOME) e dei capi cantiere’ (sentenza, p. 9, primo alinea); della accertata (in sede penale) ostilità del COGNOME nei confronti dei lavoratori aderenti alla CGIL, manifestata attraverso minacce e vessazioni varie per indurli a revocare l’iscrizione al sindacato. Hanno quindi confermato la declaratoria di nullità del licenziamento con applicazione della tutela reintegratoria piena, ma fino alla data di efficacia del secondo licenziamento (11.10.2017). Hanno compensato per metà le spese del doppio grado di giudizio ‘in considerazione della reiterata disponibilità della parte reclamante a conciliare la lite’.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. NOME COGNOME ha
resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che
Ricorso principale di NOME COGNOME
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 414 e 421 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.). Il ricorrente censura la sentenza d’appello per avere giudicato ammissibile, sebbene tardiva, la produzione, da parte datoriale, della lettera del 2.10.2017 (interpretata come intimazione del secondo licenziamento) avvenuta solo con le note conclusionali del 25.10.2019 nel giudizio di primo grado anziché con il ricorso in opposizione depositato il 20.10.2017. La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che nel ricorso in opposizione il Puccia non aveva allegato l’intervento di un secondo licenziamento, che mancava in atti anche un inizio di prova atto a legittimare il ricorso ai poteri istruttori d’ufficio di cui all’art. 421 c.p.c., esercitati pure a fronte di una lacuna difensiva di controparte.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1334 e 1335 c.c., degli artt. 214 e 216 c.p.c., dell’art. 2712 c.c. e dell’art. 34 c.p.c. (art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c.) nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.). Il ricorrente censura la sentenza d’appello per aver considerato il secondo licenziamento ritualmente comunicato al lavoratore (peraltro con utilizzo di un servizio di spedizione privato) senza
tener conto del fatto che questi, nella memoria di costituzione e nella memoria conclusiva nel giudizio di reclamo, ha sempre contestato l’avvenuta consegna e disconosciuto la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento e che nessuna istanza di verificazione è stata avanzata da controparte. Inoltre, per avere male interpretato la sentenza di primo grado rinvenendo nella stessa (a p. 8, cpv. 8) una pronuncia con effetto di giudicato sull’avvenuta consegna al lavoratore della citata missiva.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.) per avere la Corte territoriale interpretato la nota del 2.10.2017 come lettera di licenziamento, in contrasto col tenore letterale della stessa e con l’indicazione dell’oggetto, mentre con tale nota parte datoriale si limitava a informare il Moncada dell’impedimento alla reintegra, disposta con l’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria nel giudizio di impugnativa del licenziamento, a causa della cessazione dell’appalto.
Con il quarto motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.) per avere la Corte di merito giudicato sufficientemente specifica la contestazione disciplinare dell’11.5.20 15 sebbene la stessa non recasse alcuna indicazione delle circostanze di tempo e di luogo della condotta contestata e neppure alcun riferimento allo standard di rendimento non raggiunto dal dipendente; lacune non colmate da parte datoriale né nel corso del l’audizione del lavoratore e neppure nella lettera di licenziamento disciplinare.
Con il quinto motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.) e la violazione o falsa applicazione dell’art. 91
c.p.c., per avere la Corte d’appello disposto la compensazione per metà delle spese del doppio grado anche in ragione dell’offerta conciliativa formulata dalla ditta COGNOME senza considerare che si trattava di una proposta di assunzione a tempo determinato, che non avrebbe permesso al lavoratore di passare alle dipendenze della ditta subentrante nel relativo appalto.
Ricorso incidentale di NOME COGNOME
Con il primo motivo si censura la sentenza per avere disposto la reintegra del lavoratore fino alla data del secondo licenziamento (10.10.2017) anziché fino alla data del 30.11.2016, momento di subentro di un’altra ditta nell’appalto cui era addetto il Moncada.
Con il secondo motivo si denuncia la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte d’appello affermato la natura ritorsiva del licenziamento esonerando il lavoratore dal relativo onere probatorio.
Si esamina anzitutto, per ragioni di priorità logica, il secondo motivo di ricorso incidentale che è inammissibile per assoluto difetto di specificità. Tale requisito, previsto dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con
essa (Cass., S.U. n. 23745/2020). Il motivo in esame addebita alla Corte d’appello di avere esonerato il lavoratore dall’onere di prova della ritorsività senza in alcun modo confrontarsi con i passaggi motivazionali della sentenza e con gli elementi di prova dalla stessa scrutinati e da ciò discende il difetto di specificità che determina l’inammissibilità del motivo.
Si esamina ora il primo motivo del ricorso principale che è infondato.
14. La Corte d’appello ha accertato che la lettera del 2.10.2017, relativa al secondo licenziamento, era successiva alla pronuncia dell’ordinanza che ha definito la fase sommaria del rito cd. Fornero, datata 1.9.2017; ha interpretato il ricorso in opposizione del datore di lavoro e ritenuto che lo stesso contenesse l’allegazione dell’intervenuto secondo licenziamento (‘il giudice di primo grado … ha erroneamente rilevato la tardività dell’allegazione, al contrario contenuta nel ricorso in opposizione del 20 .10.2017’, sentenza, p. 4, § 6); ha giudicato ‘indispensabile’ il documento rappresentato dalla lettera di licenziamento e dal relativo avviso di ricevimento, in quanto relativo ad una causa sopravvenuta di cessazione del rapporto, come tale suscettibile d i acquisizione d’ufficio ai sensi dell’art. 421 c.p.c. L’attuale ricorrente contesta, senza peraltro alcun riferimento ai canoni ermeneutici, l’interpretazione data nella sentenza d’appello, assumendo che il ricorso in opposizione non contenesse la dovuta allegazione ma, soprattutto, censura la decisione dei giudici di appello sulla doverosa acquisizione della lettera del 2.10.2017 poiché indispensabile, sebbene tardivamente prodotta.
15. Al riguardo deve ribadirsi che con l’art. 421, comma 2, c.p.c. si è inteso affermare che è caratteristica precipua del rito speciale del lavoro il contemperamento del principio dispositivo
con le esigenze della ricerca della verità materiale di guisa che, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza del fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti” (cfr. in tal senso Cass., S.U. n. 761 del 2002; S.U. n. 11353 del 2004; S.U. n. 8202 del 2005). Si è poi precisato che nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio il giudice è tenuto a dar conto (cfr. Cass. n. 14731 del 2006; n. 6023 del 2009; n. 25374 del 2017; n. 22628 del 2019).
16. Nel caso di specie, a fronte dell’allegazione contenuta nel ricorso in opposizione sulla ‘impossibilità di reintegra su un posto che non sussiste più nella disponibilità dell’opponente, avendo questi cessato il rapporto di appalto con il Comune di Modica il 30.11.2016, con conseguente cessazione del cantiere ove lo stesso opposto era addetto’ (v. ricorso in opposizione trascritto a p. 30 del ricorso principale per cassazione), la valutazione dei giudici di appello sulla natura indispensabile dei citati documenti (tale da giustificarne l’acquisizione da parte del tribunale) appare conforme ai principi di diritto sopra richiamati, in quanto finalizzata ad accertare la sussistenza dei presupposti concreti per l’adozione di una statuizione di condanna alla reintegra del lavoratore e, quindi, il mancato intervento di atti successivi idonei a estinguere il rapporto medesimo.
Il secondo motivo del ricorso principale è invece fondato.
La Corte d’appello ha ritenuto dimostrata l’avvenuta consegna al lavoratore della lettera del 2.10.2017 facendo leva su due elementi: la statuizione (‘non oggetto di appello incidentale’) contenuta nella sentenza del tribunale che fa riferimento alla ‘ lettera raccomandata recapitata in data 11 ottobre 2017’ e, comunque, l’avviso di ricevimento recante la firma del lavoratore. L’attuale ricorrente ha criticato la decisione d’appello sul punto deducendo di avere, nella comparsa di costituzione e nelle note conclusionali del giudizio di reclamo (trascritti per estratto a p. 59 del ricorso per cassazione, localizzati e depositati), contestato l’avvenuta ricezione della lettera raccomandata e di avere disconosciuto la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento .
La statuizione della sentenza di primo grado (p. 8), trascritta a p. 62 del ricorso per cassazione, è del seguente tenore: ‘pure inammissibili, in quanto tardive, sono le istanze di mezzi istruttori articolati nelle suddette note conclusive e segnatamente il giuramento decisorio nonché la richiesta di acquisizione al fascicolo processuale della lettera raccomandata, recapitata in data 11 ottobre 2017, con la quale l’opponente ha comunicato al lavoratore l’impossibilità della reintegra per chiusura del cantiere presso il Comune di Modica, trattandosi di allegazioni che avrebbe dovuto compiersi unitamente all’atto di opposizione, depositato il successivo 20 ottobre 2017’. Dal tenore letterale di tale brano di motivazione si ricava come il tribunale si sia limitato a riportare il dato del recapito della lettera l’11.10.2017 senza svolgere alcun accertamento in proposito, peraltro superfluo in ragione della dichiarata inammissibilità, per tardività, della produzione documentale rappresentata dalla pretesa lettera di (secondo) licenziamento.
Erronea è poi l’affermazione della Corte di merito sulla irrevocabilità della citata statuizione in quanto non oggetto di appello ( rectius , reclamo) incidentale da parte del lavoratore. Come chiarito da questa Corte, il giudicato interno si determina unicamente su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma effi cacia decisoria nell’ambito della controversia in quanto statuizione che afferma l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (v. Cass. n. 2217 del 2016; n. 12202 del 2017; n. 16853 del 2018) e non è quindi configurabile rispetto alla data di recapito di una lettera.
20. Quanto poi alla sottoscrizione dell’avviso di ricevimento, deve anzitutto darsi atto di come l’invio della lettera del 2.10.2017 sia avvenuto tramite posta privata; al riguardo questa Corte ha precisato che l’incaricato di un servizio di posta privata non riveste, a differenza dell’agente del fornitore servizio postale universale, la qualità di pubblico ufficiale, onde gli atti dal medesimo redatti non godono di alcuna presunzione di veridicità fino a querela di falso (v. Cass. n. 4035 del 2014; v. anch e Cass. n. 8513 del 2020). L’utilizzo del servizio di posta privata impedisce quindi di assegnare alla sottoscrizione dell’avviso di ricevimento presunzione di veridicità fino a querela di falso.
21. Deve, tuttavia, rilevarsi come il disconoscimento da parte del lavoratore non sia stato fatto tempestivamente, cioè alla prima udienza utile. Dalle stesse allegazioni del ricorrente in cassazione (ricorso, p. 35, ultimo cpv.) si evince che la lettera del 2.10.2017, con il relativo avviso di ricevimento, fu prodotta dal datore di lavoro unitamente alle note conclusionali del giudizio di opposizione e che la difesa del lavoratore ‘nel verbale
dell’udienza di discussione del 6.11.2019 (successiva al deposito delle citate note conclusionali, ndr .) eccepì la tardività e la consequenziale inammissibilità di tale produzione documentale’ (ricorso, p. 36, primo alinea) ma evidentemente non provvide a disconoscere la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento. Questa Corte ha precisato che, in tema di disconoscimento della scrittura privata, la disposizione di cui all’art. 215, comma 1, n.2 c.p.c., in base alla quale la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta se la parte comparsa non la disconosce nella prima udienza o nella risposta successiva alla produzione, va intesa con riferimento al primo atto in cui la parte esercita il proprio diritto di difesa, sia essa un’udienza o una difesa scritta (così Cass. n. 9690 del 2023; n. 15780 del 2018). Occorre tuttavia considerare che l’eccezione di tardività del disconoscimento della scrittura privata ha natura sostanziale e non è, di conseguenza, suscettibile di rilievo di ufficio ma deve essere sollevata dalla parte che ha prodotto la scrittura in quanto unica ad avere interesse a valutare l’utilità di un accertamento positivo della provenienza della scrittura (v. Cass. n. 9690 del 2023; n. 23636 del 2019; n. 10147 del 2011; n. 9994 del 2003). Nel caso di specie, parte datoriale non ha in alcun modo allegato di avere eccepito la tardività del disconoscimento che quindi deve ritenersi validamente effettuato. A fronte di ciò, la decisione d’appello che ha utilizzato a fini di prova la scrittura privata nonostante l’intervenuto disconoscimento della sottoscrizione e l’assenza di qualsiasi istanza di verificazione, integra le violazioni di legge contestate, con riferimento agli artt. 214 e 216 c.p.c. Si è infatti osservato come, in tema di disconoscimento della scrittura privata, la mancata proposizione dell’istanza di verificazione equivale, secondo la presunzione legale, ad una dichiarazione di non
volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, con la conseguenza che il giudice non deve tenerne conto essendogli precluso l’accertamento dell’autenticità in base ad elementi estrinseci alla scrittura medesima o ad argomenti logici – e che la parte che ha disconosciuto la scrittura non può trarre dalla mancata proposizione dell’istanza di verificazione elementi di prova a sé favorevoli (così Cass. n. 3602 del 2024).
Dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso principale discende l’assorbimento del terzo motivo del ricorso principale, attinente alla interpretazione della lettera del 2.10.2017 di cui deve essere prioritariamente accertato il recapito al lavoratore, e del primo motivo di ricorso incidentale, volto a collocare in una data diversa la cessazione del rapporto di lavoro per effetto del cd. secondo licenziamento .
Il quarto motivo di ricorso, con cui si censura la decisione d’appello nella parte in cui ha riconosciuto la specificità della contestazione disciplinare, è inammissibile per difetto di interesse avendo il lavoratore ottenuto la tutela reintegratoria pie na di cui all’art. 18, comma 2, in ragione della ritorsività del licenziamento, là dove i vizi formali del licenziamento trovano disciplina nel comma 6 del citato art. 18, cui consegue una tutela meramente indennitaria.
24 . L’ultimo motivo di ricorso principale, sulla regolazione delle spese del giudizio di appello, è anch’esso assorbito dalla cassazione con rinvio.
25. Per le ragioni esposte, deve trovare accoglimento il secondo motivo del ricorso principale, risultando infondato il primo motivo, inammissibile il quarto ed assorbiti il terzo e il quinto motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale; inammissibile il secondo motivo di ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere cassata in
relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara infondato il primo motivo, inammissibile il quarto ed assorbiti il terzo e il quinto motivo del ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nell’adunanza camerale del 28 gennaio 2025