Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 260 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 260 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12279 R.G. anno 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
ricorrente contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME , rappresentate e difese da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE ;
contro
ricorrenti avverso la SENTENZA n. 265/2023 emessa da CORTE D’APPELLO PERUGIA.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 dicembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Perugia con cui è stata riformata la pronuncia di primo grado del Tribunale del capoluogo umbro. La Corte distrettuale ha ritenuto che l’opposizione a decreto ingiunt ivo proposta da RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di debitrice principale, e di NOME COGNOME in qualità di fideiussore, con riguardo a una pretesa avente ad oggetto il rimborso di un finanziamento, fosse fondata.
2 . ─ Ricorre per cassazione, con due motivi, RAGIONE_SOCIALE, che è subentrata nella posizione giuridica dell’originaria ingiungente, Banca Monte dei Paschi di Siena s.r.l.. Resistono con controricorso RAGIONE_SOCIALE COGNOME e NOME COGNOME.
E’ stata formulata , da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa, il difensore della parte ricorrente ha domandato la decisione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-La proposta ha il tenore che segue:
« primo motivo, che deduce violazione degli artt. 2719 c.c. e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto efficace il disconoscimento dei documenti prodotti in copia, è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1, c.p.c., avendo la sentenza impugnata deciso in modo conforme ai precedenti costanti di legittimità, secondo cui, in tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, ma con la precisazione che la contestazione della conformità all’originale d’un documento prodotto in copia è validamente compiuta ai sensi dell’art. 2719 c.c. ‘ quando si indichi espressamente in cosa la copia differisca dall’originale, ovvero quando si neghi l’esistenza stessa d’un originale ‘ (Cass. 16-02-2023, n. 4988; Cass. 04/10/2022, n. 28698; Cass. 02-
02-2022, n. 3126; Cass. 08-09-2021 n. 24207; Cass. 02-10-2020, n. 21054; Cass. 03-04-2014, n. 7775), onde, in tale ultima ipotesi, la negazione dell’esistenza dell’originale della copia ascende di per sé al necessario grado di specificità richiesto ai fini del disconoscimento ex art. 2719 c.c.;
«il secondo motivo, che deduce violazione degli artt. 116, 183 e 191 c.p.c., è inammissibile, sia per il principio ora richiamato, sia in quanto, per il resto, involge accertamenti di fatto non ripetibili in sede di legittimità».
Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni, onde il ricorso è da dichiararsi inammissibile.
Merita aggiungere quanto segue.
Nella sentenza impugnata è ricordato che parte opponente, nel giudizio di primo grado, aveva tempestivamente eccepito la non conformità dei documenti prodotti in copia agli originali, precisandosi che detta eccezione era stata «sollevata stante l’inesistenza degli originali». Del tutto appropriata si mostra, per conseguenza, l’evocazio ne, da parte della Corte di merito, del l’arresto di Cass. 3 aprile 2014, n. 7775, cui si deve il principio, pure richiamato nella proposta, secondo cui una contestazione della conformità all’originale d’un documento prodotto in copia è validamente compiuta ai sensi dell’art. 2719 c.c. non solo quando si indichi espressamente in cosa la copia differisca dall’originale, ma anche quando si neghi l’esistenza stessa d’un originale.
Quanto al secondo motivo, è da osservare come la ricorrente lamenti, tra l’altro, che la Corte di appello abbia dato atto della mancata produzione degli estratti conto nonostante il credito non discendesse da rapporti di conto corrente o da rapporti di anticipazione bancaria, ma da contratti di finanziamento chirografari. La deduzione è anzitutto carente di specificità, in quanto l’istante non trascrive, nemmeno nella parte di interesse, il contenuto dei pertinenti documenti contrattuali, né
dà conto della loro localizzazione all’interno dei fascicoli di causa (cfr. Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass. 1 luglio 2021, n. 18695); in secondo luogo, la censura mostra di non confrontarsi con la sentenza impugnata, la quale ha rilevato la circostanza solo allo scopo di spiegare come l’asserzione contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui l’istituto di credito avrebbe prodotto i detti estratti, era errata.
Per il resto, la ricorrente fa questione dell’apprezzamento del materiale probatorio: profilo, questo, che sfugge al sindacato di legittimità e che non può essere veicolato in questa sede nemmeno dalla censura di violazione dell’art. 116 c.p.c. : la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è infatti ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016)
3. -Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Tr ovano applicazione le statuizioni di cui all’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c. , giusta l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c.. I relativi importi possono fissarsi, rispettivamente, nella stessa somma liquidata a titolo di spese giudiziali e in euro 2.500,00.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 4.300,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione