Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10897 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10897 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12128-2022 proposto da:
NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (già RAGIONE_SOCIALE, I.N.P.S. – ISTITUTO RAGIONE_SOCIALE – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.;
– intimati – avverso la sentenza n. 522/2021 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 04/11/2021 R.G.N. 454/2016;
Oggetto
CARTELLE DI PAGAMENTO
R.G.N.12128/2022
Ud.14/03/2025 CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
COGNOME COGNOME adiva il Tribunale di Taranto, in funzione di giudice del lavoro, e impugnava con distinti ricorsi due diverse intimazioni di pagamento, l’una per la somma di euro 6.502,14 e l’altra per la somma di euro 18.540,58, notificate da RAGIONE_SOCIALE in ragione di crediti relativi a contributi INPS. I due ricorsi venivano riuniti. RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione. L’INPS non si costituiva in giudiz io. Definendo il giudizio con la sentenza 1560/2016 del 29/04/2016 il Tribunale di Taranto, sezione lavoro, rigettava i ricorsi e condannava il ricorrente alle spese.
Proponeva appello NOME; l’INPS ed Equitalia Sud- Agente della Riscossione non si costituivano nel secondo grado di giudizio. Con la sentenza n. 522/2021 del 04/11/2021 la Corte di Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, -sezione lavor o rigettava l’appello.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, COGNOME COGNOME L’INPS e l’Agenzia delle Entrate Riscossione hanno ricevuto rituale notifica del ricorso e sono rimasti intimati.
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 14/03/2025.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso la difesa di COGNOME Giovanni deduce error in procedendo , omessa pronuncia e violazione del principio del chiesto e pronunciato ex. art. 112 c.p.c., dell’art. 113 c.p.c., dell’art. 24 Costituzione e dell’art. 6 della CEDU, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., lamentando che la sentenza impugnata avrebbe «omesso di pronunciarsi sul
secondo motivo dell’atto di appello col quale si censurava la sentenza di prime cure per aver ingiustamente, il giudice del lavoro del Tribunale di Taranto, ritenuto generico il disconoscimento espresso delle fotocopie dei sedicenti avvisi di ricevimento di sedicenti cartelle di pagamento (invocate ma mai prodotte in giudizio) prodromiche all’intimazione di pagamento per cui è causa».
1.1. Rileva il Collegio come la questione sia esattamente formulata in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. alla luce del principio di diritto secondo il quale: l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, n.3, c.p.c., o del vizio di motivazione ex art. 360, n.5, c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n.4, c.p.c. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello; pertanto, alla mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex
actis dell’assunta omissione, consegue l’inammissibilità del motivo (Cass. 13/10/2022, n. 29952).
1.2. Sussiste, poi, la denunciata omessa pronuncia perché la questione costituiva oggetto di specifico motivo di appello sul quale la sentenza impugnata non si è pronunciata.
1.3. La Corte può decidere nel merito sulla questione perché nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 16/06/2023, n. 17416). Ed ancora: alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 28/06/2017, n. 16171).
1.4. Il motivo di appello non esaminato dalla Corte territoriale riguardava la valutazione del Tribunale di Taranto, sezione lavoro, circa l’inidoneità del disconoscimento operato dalla difesa dell’odierno ricorrente nei confronti delle relate di
notifica e degli avvisi di ricevimento delle cartelle esattoriali. Secondo la difesa di COGNOME Giovanni il giudice di primo grado avrebbe errato considerando il disconoscimento inidoneo a privare di efficacia le copie prodotte in giudizio. Sulla questione la Corte può decidere senza necessità di ulteriori accertamenti in fatto, trattandosi di apprezzare le modalità del disconoscimento operato a verbale (verbale allegato al ricorso per cassazione). Ad avviso del Collegio la decisione del giudice di primo grado deve andare esente da censure perché nel qualificare come generico il disconoscimento si è posta del tutto in linea con la giurisprudenza della Corte circa le modalità di un valido disconoscimento.
1.5. Si consideri, in proposito, che: in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella) e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice che escluda l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso (Cass. 26/10/2020, n. 23426). Ed ancora: in tema di riscossione coattiva, il deposito in giudizio della copia fotostatica dell’avviso di ricevimento, munito di attestazione di conformità all’originale ad opera dell’agente della riscossione, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.l. n. 669 del 1996, conv. con modif. dalla l. n. 30 del 1997, è sufficiente dimostrare l’avvenuta
notificazione della cartella di pagamento che costituisce presupposto dell’avviso di intimazione, oggetto di impugnazione, ed il suo eventuale disconoscimento dev’essere circostanziato e non generico, con indicazione dei documenti specifici che si contestano e degli aspetti che, secondo il contribuente, sono difformi dall’originale, nonché con allegazione di idonea prova (Cass. 05/11/2024, n. 28373).
1.6. Il disconoscimento allegato dal ricorrente appare del tutto generico ed onnicomprensivo e, come rilevato, la sentenza del Tribunale non merita censure sul punto. Per questa via può affermarsi che il dispositivo di rigetto dell’appello che la Corte territoriale ha emesso sul punto è conforme a diritto. Va, così, respinto il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo di ricorso la difesa di COGNOME NOME deduce violazione e/o falsa applicazione degli art. 25 d.P.R. n. 602 del 1973, e artt. 1 e 6 d.m. n. 321/1999 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza sarebbe viziata, nel penultimo ed ultimo capoverso a pagina 3 dei motivi della decisione, nel punto in cui statuisce testualmente che «Quanto agli estratti di ruolo la cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte ed il titolo esecutivo è costituito dal ruolo. L’amministrazione non è quindi in grado di produrre le cartelle esattoriali, il cui unico originale è in possesso della parte debitrice. Essendo stati prodotti gli estratti di ruolo, essi sono validi ai fini probatori ed in particolare sia per la prova del credito che per individuare a tutela di quale tipo di credito agisca l’amministrazione. L’estratto di ruolo è una riproduzione fedele ed integrale degli elementi essenziali contenuti nella cartella esattoriale, compresa la natura ed entità delle pretese iscritte a ruolo (Cassazione 12888/2015)». Secondo il ricorso il richiamo operato dalla Corte di Appello alla giurisprudenza di legittimità
sarebbe incongruo perché nella fattispecie gli estratti di ruolo non sarebbero stati completi delle indicazioni necessarie.
2.1. Il motivo è inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto. La sentenza non si limita a richiamare la costante giurisprudenza della corte circa l’efficacia probatoria dell’estratto di ruolo, peraltro dirimente circa l’inquadramento della questione e di seguito confermata anche da Cass 09/05/2018, n. 11028, massimata come di seguito: l’estratto di ruolo è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale e deve contenere tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria, sicché esso costituisce prova idonea dell’entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale anche ai fini della verifica della natura tributaria o meno del credito azionato e, quindi, della verifica della giurisdizione del giudice adito. La sentenza impugnata, dopo aver richiamato, detti principi di diritto, rileva che nel processo nessuna contestazione specifica era stata sollevata in ordine alla efficacia probatoria degli estratti di ruolo dalla difesa del ricorrente (tanto in primo grado quanto in appello) e che, peraltro, gli estratti per come depositati costituivano prova sufficiente. Per questa via con il secondo motivo di appello, lungi dal contestare una interpretazione offerta dalla Corte delle norme invocate, si contesta un accertamento in fatto sulla prova del credito che la Corte territoriale ha condotto e che è irriferibile alla corte di cassazione.
Con il terzo motivo di impugnazione la difesa di COGNOME Giovanni deduce violazione e/o falsa applicazione degli art. 615 e 617 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza sarebbe viziata, nel primo
capoverso a pagina 3 dei motivi della decisione, nel punto in cui statuisce testualmente che «in ordine ai presunti vizi che investono le intimazioni di pagamento, il giudice di prime cure ha correttamente rilevato che la relativa denunzia era tardiva, trattandosi di opposizione agli atti esecutivi che avrebbe dovuto essere proposta nel termine di venti giorni dalla notifica, ai sensi dell’art. 617 c.p.c. (invece, le intimazioni erano state notificate il 12/3/2014 ed i ricorsi in opposizione depositati il 22/4/2014)». Tale passaggio della motivazione, ad avviso del ricorrente, sarebbe errato «giacché la Corte territoriale non ha tenuto in debito conto che in mancanza della notifica delle cartelle esattoriali prodromiche quale titolo esecutivo, l’intimazione diveniva e risultava inesistente e, quindi, del tutto illegittima e la opposizione a detta inesistente intimazione di pagamento non poteva che configurare un’opposizione all’esecuzione ex. art. 615 c.p.c. avendo ab origine la difesa del COGNOME contestato il diritto di Equitalia e dell’Inps del diritto di procedere in executivis in suo danno per inesistenza di un valido titolo esecutivo».
3.1. Il motivo è infondato. Il Tribunale prima e la Corte di Appello poi, con accertamento esente da censure e non scalfito dai motivi di ricorso, hanno accertato la rituale e tempestiva notifica delle cartelle, pertanto viene meno il presupposto della doglianza che, appunto, si fonda sulla mancata notifica delle cartelle: di conseguenza è corretta la conclusione della Corte circa la tardività delle contestazioni formali riguardanti le intimazioni di pagamento da spiegarsi nel termine di cui all’art. 617 c.p.c..
Il ricorso deve, allora, essere integralmente rigettato.
Nulla in ordine alle spese in difetto di costituzione dell’INPS e della Agenzia delle Entrate Riscossione.
rigetta il ricorso; nulla in ordine alle spese;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta