Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23408 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23408 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15933-2022 proposto da:
COGNOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
Oggetto
Estratto di ruolo
R.G.N.15933/2022
COGNOME
Rep.
Ud.14/03/2025
CC
domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1168/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/12/2021 R.G.N. 653/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile il ricorso, in opposizione ad estratto di ruolo inerente ad avvisi di addebito, deducendone la mancata notifica e la decadenza dalla iscrizione a ruolo.
La Corte territoriale, r espinta l’eccezione di difetto di jus postulandi d ell’Agenzia Entrate Riscossione difesa da avvocato del libero foro, ha ritenuto la sussistenza d ell’ interesse ad agire in presenza di una minaccia attuale di atti esecutivi, ma ha escluso la fondatezza della domanda, nel merito; di poi, superate le eccezioni di mancata valutazione del disconoscimento delle copie dei documenti attestanti le notifiche per genericità dell ‘eccepita difformità dall’originale, ritenuto insussistente l’onere probatorio di Agenzia di Riscossione nel produrre gli originali delle cartelle delle notifiche, ritenuti ritualmente notificati gli avvisi di addebito inoltrati all ‘indirizzo PEC della ditta di cui la ricorrente è titolare, la Corte ha escluso che fosse decorso il termine prescrizionale quinquennale (postnotifica) per la contribuzione dovuta per gli anni 2014, 2015, 2016 in presenza di domanda di dilazione a dimostrazione della piena conoscenza degli avvisi; infondata è poi l’eccepita nullità
degli avvisi notificati in formato ‘pdf’ anzich é in ‘p7m’, e la decadenza per una sola cartella del 2018 in presenza di un avviso di addebito che non preclude la possibilità di agire da parte di INPS per far valere l’esistenza del credito e chiedere la condanna al pagamento.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione COGNOME NOME affidandosi a 7 motivi, a cui entrambe le controparti resistono con controricorso.
La causa è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 14 marzo 2025.
CONSIDERATO CHE
1.1- Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., degli artt. 2702 cod. civ., 214, 215, 216 c.p.c., in relazione al tempestivo disconoscimento della autenticità delle scritture e delle sottoscrizioni apposte sui referti di notifica, ritenute utilizzabili in assenza di un’istanza di verificazione ed in mancanza di produzione degli originali.
1.2Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n.4 c.p.c., l’omessa pronuncia circa il disconoscimento delle medesime scritture e documenti, prodotti in fotocopia, ai sensi degli art. 214, 215, 216 c.p.c. eccepito nel primo atto difensivo successivo alla loro produzione da parte di AdER.
1.3 -Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 3-bis L n,.53/94 ed art.6-quater co.1, del DLgs. n.82/05 (Codice dell’Amministrazione Digitale) in relazione alle notifiche effettuate via PEC dagli enti convenuti provenienti da un indirizzo pec non risultante in alcun registro pubblico di indirizzi elettronici, donde l’inesistenza delle notifiche.
1.4 -Con il quarto motivo deduce la nullità della sentenza ex art. 360 co.1 n.4 c.p.c. in relazione alla omessa pronuncia sulla inesistenza delle notifiche effettuate via PEC da indirizzi non presenti nei pubblici elenchi IPA.
1.5 -Con il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n.4 c.p.c., la nullità della sentenza per avere la Corte territoriale ritenuto provato il collegamento fra la relata di notifica e l’avviso di addebito benché non vi fosse alcuna relazione fra di essi.
1.6 -C on il sesto motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del D.Lgs. 46/99 sulla decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di iscrivere a ruolo il credito per i contributi non versati.
1.7- Con il settimo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2944 c.c. per avere ritenuto la corte di merito che gli atti di dilazione fossero idonei ad interrompere la prescrizione.
Si costituisce in giudizio l’INPS che eccepisce la inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis n.1 c.p.c. per avere la Corte di Appello provveduto in modo conforme all’orientamento della Corte di cassazione, ed in presenza di numerosi precedenti analoghi in giudizi patrocinati dallo stesso difensore.
2.1 – Anche Agenzia Entrate Riscossione si costituisce con controricorso, rammentando che in primo grado era stata eccepita la inammissibilità della domanda per intervenuta presentazione di una istanza di definizione agevolata prima dell’instaurazione della causa e che la ricorrente aveva presentato istanza di dilazione; quindi, sui motivi del ricorso in cassazione, evidenzia che, sul tema del disconoscimento di copia di atti, il giudice può accertare la conformità anche attraverso altri mezzi di prova, e sulla notifica a mezzo PEC essa è prevista dall’art. 26 d .P.R. n.602/1973; quanto alla spedizione
da un indirizzo PEC irregolare, segnala che la regolarità è richiesta per il destinatario non per il mittente, e sulla prescrizione c’era stata istanza di rateazione sulla quale il ricorrente aveva anche già iniziato a pagare. Sul collegamento fra titolo e notifica osserva che il ricorrente richiede un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità, e sulla decadenza per il quarto titolo la prova della notifica degli atti comporta che la questione andava eccepita entro i termini per opporsi al singolo titolo quindi il credito è irretrattabile.
Il ricorso è infondato e va respinto.
4 . In primo luogo, non è documentata l’istanza di definizione agevolata di cui fa menzione l’Agenzia di Riscossione, né la parte ricorrente espone una ragione di rinuncia del ricorso riferita a quella causa o conclude per la cessata materia del contendere.
Va, altresì, premesso che la Corte territoriale, a pagina 4 e 6 della sentenza, afferma che di aver espressamente ritenuto sussistente l’interesse ad agire in capo alla ricorrente. In assenza di impugnazione sul punto (poiché l’appello è stato proposto dalla sola contribuente) si è formato il giudicato. Si consideri, in proposito, il costante orientamento di questa Corte (per tutte: Cass. n. 4448/2023) secondo il quale: « in tema di impugnazione dell’estratto di ruolo, l’applicabilità, anche nei giudizi pendenti, dell’art. 12, comma 4-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 (introdotto con l’art. 3- bis del d.l. n. 146 del 2021, convertito con l. n. 215 del 2021), e della configurazione assunta dall’interesse ad agire in virtù della norma sopravvenuta, rilevante, secondo una concezione dinamica, fino al momento della decisione, trova il suo limite nell’espresso giudicato interno sulla sussistenza dell’interesse. (Nella specie la S.C. ha affermato la inidoneità dello ius superveniens a superare il giudicato formatosi sull’ammissibilità dell’azione
esercitata, e quindi della sussistenza dell’interesse ad agire, espressamente riconosciuta dal giudice di appello in accoglimento del gravame sul punto, senza che tale statuizione sia stata oggetto di impugnazione )».
Tanto premesso, e passando ad affrontare i singoli motivi di ricorso, esso è infondato e deve essere respinto.
I primi due motivi si possono esaminare congiuntamente perché intimamente connessi, in quanto volti a contestare, sotto profili diversi, il mancato esame del disconoscimento dei documenti prodotti dalle resistenti oggi controricorrenti. La sentenza, dato conto del motivo di appello, ha motivato affermando diffusamente: che il disconoscimento era stato effettuato in primo grado sulla documentazione prodotta a seguito della costituzione delle parti convenute; che l’unico originale della cartella era quello notificato alla contribuente potendo l’agente di riscossione produrre soltanto una copia, che l’unico onere a carico dell’agente di riscossione è quello di produrre la regolare notifica, che nessuna norma prevede la produzione in giudizio dell’originale della cartella né è prevista una sanzione di nullità.
7.1 – I due motivi non si confrontano con tale statuizione, perché nulla dicono in punto valutazione di genericità del disconoscimento ma danno per scontato che il disconoscimento sia stato correttamente effettuato, dolendosi, altresì, di una omessa pronuncia che non sussiste, alla luce della motivazione come sopra riportata. Inoltre (Cass. n. 37186/2022), « rappresenta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui, in tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso
di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (tra molte: Cass. n. 28096 del 2009; tra le recenti: Cass. n. 9533 del 2022); invero il disconoscimento delle copie fotostatiche, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni (ex plurimis: Cass. n. 16557 del 2019; Cass. n. 14279 del 2021); in particolare, il disconoscimento deve contenere l’indicazione delle parti in cui la copia sia materialmente contraffatta rispetto all’originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale (in termini: Cass. n. 16836 del 2021 con la giurisprudenza ivi citata) ». Ciò posto, la sentenza impugnata ha risolto la questione in diritto in modo conforme alla giurisprudenza richiamata, ritenendo, nel caso di specie, che il disconoscimento operato dall’opponente fosse privo dei requisiti necessari e – secondo questa Corte «tale ‘valutazione costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità’ (così Cass. n. 1324 del 2022; conf. Cass. n. 2033 del 2022)».
7.2 – Si aggiunga che il disconoscimento deve essere chiaro, specifico, circostanziato, deve illustrare la differenza fra realtà fattuale e realtà rappresentata (cfr. Cass. ord. n. 24613/2019, ed ancora, di recente ed in dettaglio, la Corte con ord. n.18491/2024 ha affermato che ‘ Il disconoscimento di una scrittura privata, pur non richiedendo, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., una forma vincolata, deve avere i caratteri della specificità e della determinatezza, e non può costituire una mera espressione di stile, risolvendosi la relativa valutazione in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato . A tale tema si collega l’infondatezza della doglianza sull’omessa pronuncia in riferimento al mancato avvio del procedimento di verificazione; invero, questa Corte ha altresì affermato che la parte che ha disconosciuto la scrittura non può trarre dalla mancata proposizione dell’istanza di verificazione elementi di prova a sé favorevoli (ord. 3602/2024).
8. Il terzo e quarto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, e sono infondati. Premesso che in tema di domicilio digitale, l’indirizzo risultante dal registro INI-PEC, che sia stato attivato dal destinatario con riferimento ad una specifica attività professionale, può essere utilizzato anche per la notificazione di atti ad essa estranei, poiché nei confronti dei soggetti, obbligati per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, la notifica si ha per perfezionata con la ricevuta di avvenuta consegna, non essendovi un domicilio digitale diverso per ogni singolo atto (cfr. ord. n.12134/2024), va invece evidenziato che la questione della provenienza della comunicazione da un indirizzo PEC non incluso nei pubblici elenchi IPA non è fondata.
8.1 – Come affermato in sent. delle Sezioni Unite n. 15979/2022 (con riferimento ad un caso di notificazione a mezzo PEC del ricorso per cassazione effettuata dalla Procura Generale della Corte dei Conti, utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, rinvenibile sul proprio sito “internet”, ma non risultante nei pubblici elenchi) la notifica proveniente da un indirizzo non incluso nei pubblici elenchi della PA, ‘ non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la più stringente regola, di cui all’art. 3-bis, comma 1, della l. n. 53 del 1994, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati, che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., può essere utilizzato anche l’Indice di cui all’art. 6-ter del d.lgs. n. 82 del 2005 e che, in ogni caso, una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per l’individuazione dell’indirizzo del destinatario, cioè del soggetto passivo a cui è associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente ‘ .
8.2 – Di seguito, è stato affermato (Cass. sent. n.18684/2023) che, nel caso specifico di notificazione a mezzo PEC della cartella esattoriale, da parte dell’agente della riscossione, ‘ l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia “ex se” la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorrendo invece che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro ‘.
Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, poiché sottende ad un accertamento di fatto, non esperibile in sede di legittimità, conducente alla valutazione di corrispondenza di numeri identificativi dei titoli notificati con quanto riportato nella relata di notifica, ed alla confutazione in ordine alla prova, positivamente raggiunta in appello, del collegamento contenutistico dei citati riferimenti.
9. Sul sesto motivo afferente alla lamentata decadenza non dichiarata dalla Corte di merito in relazione ad un avviso di addebito, va precisato che il sistema di riscossione dei crediti contributivi non soggiace al termine decadenziale previsto nel previgente criterio applicativo previsto per le cartelle di pagamento. A seguito dell’introduzione della normativa di cui all’art. 30 del d.l. n.78/2010, avente ad oggetto il potenziamento dei processi di riscossione dell’INPS, l’attività di recupero delle somme a qualunque titolo dovute all’Istituto previdenziale, anche a seguito di accertamenti degli uffici, è effettuata mediante notifica di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo. Esso costituisce sia una modalità di esternazione del credito che trova la sua fonte nell’accertamento definitivo, sia una specifica modalità di riscossione delle pretese contributive, in tal modo superando il coinvolgimento del concessionario di riscossione, direttamente affidata allo stesso ente creditore. Da tale modifica è derivata l’irrilevanza dell’iscrizione a ruolo, richiesta, invece, per gli affidamenti dei crediti in riscossione al concessionario, e la diretta formazione di un titolo esecutivo attraverso l’emissione di un avviso di addebito. I richiami ‘al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento’ di cui all’art. 30 co.14 si intendono riferiti, ai fini del recupero delle somme dovute a qualunque titolo all’INPS, al titolo esecutivo emesso dallo stesso
Istituto, ‘costituito dall’avviso di addebito contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo di pagamento delle medesime somme affidate per il recupero agli agenti della riscossione’.
9.1 – Correttamente la sentenza impugnata ha affermato che la norma di cui al citato art. 25 non trova applicazione al nuovo atto di imposizione formato direttamente da INPS e, in ogni caso, per giurisprudenza costante (Cass. n.3486/2016) la decadenza dell’INPS per tardiva iscrizione dei crediti contributivi nei ruoli esecutivi non determina la decadenza sostanziale dell’ente dal diritto di chiedere l’accertamento in sede giudiziaria dell’ammontare del credito.
9.2 – Infatti, in precedenti pronunce di questa Corte (cfr. ord. n. 14368/2020, n.27726/2019, e da ultimo, ord. n. 607/2025) è stato affermato che l’art. 25 d.lgs. n 46 del 1999 prevede una decadenza processuale e non sostanziale, come dimostrato dal tenore testuale della norma, che fa riferimento alla decadenza dall’iscrizione a ruolo del credito e non alla decadenza dal diritto di credito o dalla possibilità di azionarlo nelle forme ordinarie. La ratio dell’introduzione dello strumento della riscossione coattiva dei crediti previdenziali mediante iscrizione a ruolo è, infatti, quella di fornire all’ente un più agile strumento di realizzazione dei crediti e non già di rendere più difficoltosa l’esazione imponendo brevi termini di decadenza (sul tema, si ric hiama l’orientamento espresso da questa Corte con sentenze n.11346/2021, n.5963/2018, n.19708/2017, n.16307/2019).
9.3 – Numerose pronunce affrontano in modo analogo le tematiche sulla natura e funzione della decadenza prevista dall’art. 25 d.lgs. n.46/99, all’interno del complessivo sistema di riscossione dei crediti contributivi previdenziali, e sui meccanismi del loro recupero – salva la possibilità di agire in via
alternativa nelle forme ordinarie – nonché le questioni sulla impossibilità di avvalersi del titolo esecutivo senza decadere dal diritto di chiedere in sede giudiziaria l’accertamento dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito.
9.4 -Va anche aggiunto che la notifica dell’avviso di addebito rileva, invece, ai fini dell’art. 24 d.lgs. 46/99, per la decorrenza dei termini ad impugnare in sede di opposizione; al riguardo, cfr. ord. n.8788/2025 in cui espressamente si afferma che la notifica rileva ai fini del citato art. 24, essendo prevista con riguardo alla cartella di pagamento, che presuppone l’iscrizione a ruolo del debito accertato. Per la formazione del titolo esecutivo, pertanto, il termine decadenziale (di natura processuale ), previsto a carico dell’ente creditore, non richiede l’ulteriore momento della conoscenza per il destinatario dell’avviso. La diversa prospettazione difensiva non si fa carico della distinzione fra i due ambiti normativi (art. 24 e art. 25 d.lgs. 46/99), non espone argomenti critici alla ricostruzione storica compiuta nella impugnata sentenza sul significato di ‘iscrizione a ruolo’, applicabile, mutatis mutandis, al nuovo regime di accertamento/riscossione dell’ente previdenziale, e non illustra ragioni per le quali la decadenza (ove mai compiuta) precluda l’esercizio del credito contributivo.
Il motivo è quindi infondato.
10. In ultimo anche il settimo motivo è infondato. L’istanza di dilazione costituisce atto idoneo ad interrompere la prescrizione. Questa Corte ha più volte affermato la valenza interruttiva della prescrizione assegnata all’istanza di dilazione o di rateazione , manifestative della conoscenza della esistenza del debito, valevole ex art. 2944 c.c.; si rammentino ord. n. 26013/2015 (sul tema della istanza di rateazione al versamento di contributi da parte del datore di lavoro ) e ord. n. 9221/2024 (‘ La domanda
di rateazione e di definizione agevolata dei tributi, benché corredata dalla formula di salvezza dei diritti connessi all’esito di accertamenti giudiziali in corso, configura un riconoscimento di debito, al quale l’art. 2944 c.c. ricollega l’effetto interruttivo della prescrizione, in quanto atto giuridico in senso stretto, di carattere non recettizio, che non richiede in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, ma soltanto la volontarietà e la consapevolezza dell’esistenza del debito ‘).
Il ricorso va, pertanto, complessivamente respinto, con condanna alle spese nei confronti dei controricorrenti.
In considerazione del rigetto del ricorso si dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115/2002 ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 3.000,00, in favore di entrambi i controricorrenti, oltre € 200,00 per esborsi in favore di INPS; spese prenotate a debito per Agenzia Entrate Riscossione.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2025.