Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1107 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1107 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5775/2021 R.G. proposto da
A.D.E.R. –RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente p.t., in qualità di avente causa dell’RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
e
RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO DI SIENA;
-intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3671/20, depositata il 21 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona dell’Avvocato generale NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
L’RAGIONE_SOCIALE in qualità di avente causa della Banca Monte dei Paschi di Siena, agente della riscossione per la Provincia di Roma, convenne in giudizio la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 6421/09, emesso il 15 aprile 2009, con cui le era stato intimato il pagamento della somma di Euro 2.913.319,46, a seguito del riversamento soltanto parziale degl’importi dovuti dagl’iscritti, ed avviati alla riscossione con ruoli principali e suppletivi emessi nel 1998 e ruoli principali emessi nel 1999.
A sostegno dell’opposizione, l’attrice eccepì il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, l’incompetenza del Giudice adìto, l’intervenuta proroga dei termini per la presentazione delle comunicazioni d’inesigibilità di cui all’art. 19, comma secondo, lett. c) , del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, l’erroneità dell’importo richiesto e l’omessa valutazione dei provvedimenti di sgravio e rimborso.
Si costituì la CNPAF, e resistette all’opposizione, chiedendone il rigetto.
Spiegò intervento nel giudizio la Banca MPS, che aderì alle eccezioni sollevate dall’opponente.
1.1. Con sentenza del 16 ottobre 2013, il Tribunale di Roma rigettò l’opposizione.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE in qualità di avente causa dell’RAGIONE_SOCIALE è stata rigettata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 21 luglio 2020 ha dichiarato assorbito l’appello incidentale condizionato proposto dalla CNPAF.
A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la devoluzione della controversia alla giurisdizione contabile, ritenendo a tal fine necessaria la qualità pubblica del titolare del denaro gestito, non spettante alla CNPAF, ed affermando l’inapplicabilità dell’art. 58, primo comma, del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, nella parte riguardante gli altri giudizi ad iniziativa di parte.
Nel merito, ha ritenuto non provato che il credito azionato avesse ad oggetto somme che l’agente della riscossione era autorizzato a trattenere a titolo di compensi o di sgravio provvisorio, essendo state le prime detratte dallo importo richiesto e non essendo stata prodotta l’istanza di rimborso prevista dagli artt. 77, comma primo, e 86, comma primo, del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43. Ha escluso inoltre la perdita del diritto al discarico, per omessa trasmissione delle comunicazioni annuali di cui all’art. 19, comma secondo, lett. c) , del d.lgs. n. 112 del 1999, richiamando l’art. 1, commi 527 e 528, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che, nell’introdurre una speciale disciplina per i crediti iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, aveva dichiarato inapplicabili la predetta disposizione e l’art. 20 del medesimo decreto.
Ciò nonostante, ha ritenuto che l’agente fosse ugualmente tenuto a riversare gl’importi iscritti nei ruoli scaduti, non avendo adempiuto gli obblighi previsti dall’art. 1, commi 527-529 cit., ai fini del discarico dei crediti iscritti nei ruoli. Pur precisando che tali disposizioni erano applicabili a tutti gli enti creditori che si avvalevano del sistema di riscossione a mezzo del ruolo, non prevedendo alcuna distinzione tra soggetti pubblici o beneficiari di finanziamenti pubblici e soggetti privati, ha infatti osservato che esse stabilivano l’annullamento automatico per i crediti d’importo inferiore ad Euro 2.000,00, mentre per quelli d’importo superiore imponevano all’agente della riscossione di espletare le attività di propria competenza e di darne notizia all’ente creditore: rilevato che nella specie l’agente non aveva fornito la prova di aver adempiuto tali obblighi, neppure a seguito dell’entrata in vigore del d.m. 15 giugno 2015, ha affermato che nessun effetto di automatico discarico poteva essersi prodotto in suo favore.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per
quattro motivi, illustrati anche con memoria, l’A.D.E.R. -Agenzia delle entrate -Riscossione, succeduta all’Equitalia Sud. La CNPAF ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato, affidato ad un solo motivo ed anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo d’impugnazione, con cui la ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999, dell’art. 1, comma 529, della legge n. 228 del 2012 e dell’art. 100 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente la giurisdizione ordinaria ed ammissibile la domanda, è stato già dichiarato infondato dalle Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza n. 8948 del 18 marzo 2022, con cui è stata disposta la rimessione della causa a questa Sezione, per l’esame degli altri motivi.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 22 febbraio 1999, n. 37, dell’art. 68 del d.lgs. n. 112 del 1999, degli artt. 32, 62 e 86 del d.P.R. n. 43 del 1988 e dell’art. 19 del d.lgs. n. 112 del 1999, osservando che, nel ritenere applicabile la disciplina dettata dagli artt. 77, comma primo, e 86, comma primo, del d.P.R. n. 43 cit., la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’intervenuta abrogazione dell’art. 32, comma terzo, del medesimo decreto e del principio del non riscosso per riscosso, relativamente ai ruoli suppletivi emessi nel 1998, e del conseguente esonero dell’agente dall’obbligo di effettuare i versamenti non scaduti.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, commi 527-529, della legge n. 228 del 2012 e dell’art. 2 del d.m. 15 giugno 2015, sostenendo che, nel confermare l’obbligo dell’agente della riscossione di riversare gl’importi iscritti nei ruoli scaduti, in virtù del mancato invio delle comunicazioni d’inesigibilità e dello stato delle procedure, la sentenza impugnata non ha considerato che le stesse hanno disposto l’annullamento automatico dei crediti iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 e l’inapplicabilità degli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999, fatta eccezione soltanto per i crediti d’importo superiore ad Euro 2.000,00
interessati da procedure esecutive o di rateizzazione, per i quali hanno previsto una serie adempimenti a carico dell’agente.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 112 del 1999, osservando che, nel riconoscere alla CNPAF un importo pari a quello dei ruoli non riscossi, la sentenza impugnata non ha considerato che, in caso di esito negativo della riscossione per causa imputabile all’agente, la somma da quest’ultimo dovuta è pari a un terzo dell’importo iscritto a ruolo, e la controversia può essere definita mediante il pagamento di un ottavo della partita di ruolo non discaricata.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, la controricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, commi 527-529, della legge n. 228 del 2012, dell’art. 1 del d.m. 15 giugno 2015, degli artt. 1 e 2 del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 e degli 3, 35, primo comma, 36, primo comma, 38, 42, terzo comma, 97, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., anche in relazione all’art. 6 della CEDU, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto l’art. 1, commi 527 e 528, della legge n. 228 del 2012 applicabile anche agli enti previdenziali privatizzati che non fruiscono di contribuzioni e finanziamenti pubblici, senza tenere conto del pregiudizio economico che la relativa disciplina, nella specie sopravvenuta nel corso del giudizio, arrecherebbe ai loro bilanci. Pur dando atto delle esigenze di razionalizzazione cui s’ispirano le predette disposizioni, osserva infatti che l’annullamento dei ruoli impedisce all’ente creditore la riscossione dei crediti, sia nei confronti dell’agente della riscossione, esonerato dalla prova della diligente gestione delle procedure di riscossione e dell’adempimento dei propri obblighi informativi, sia nei confronti degli originari debitori, non essendo l’ente in possesso dei documenti comprovanti l’interruzione della prescrizione e la legittimità degli atti nel frattempo compiuti. Sostiene che, per tale motivo, le norme in esame non possono considerarsi applicabili agli enti previdenziali privatizzati, la cui attività, pur avendo mantenuto connotati pubblici, legati alla dimensione sociale degli interessi perseguiti, risponde a un modello operativo coerente con un’entità squisitamente privata, chiamata a fare affidamento sulle sole entrate contributive per la soddisfazione delle proprie esigenze finanziarie, con piena autonomia organizzativa, gestionale e contabile,
senza poter fruire di alcun genere di contribuzione pubblica, neppure indiretta. Afferma che l’interpretazione fornita dalla sentenza impugnata non tiene conto dell’affidamento riposto nel sistema previgente, fondato sul meccanismo dell’inesigibilità previsto dagli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999, e delle ripetute proroghe dei termini fissati per l’invio delle relative comunicazioni, sacrificando gl’interessi degli enti creditori, cui è impedito il monitoraggio delle attività di riscossione, in contrasto con il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione. Aggiunge che la stessa, oltre a comportare un’irragionevole equiparazione tra gli enti pubblici e quelli privati, sottrae agli enti previdenziali le risorse necessarie per l’esercizio della loro attività, finanziata esclusivamente mediante i contributi, introduce una misura ablatoria non compensata da un indennizzo e, alterando l’esito dei giudizi in corso, si traduce in un’illegittima ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia.
6. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono fondati.
Com’è noto, ai sensi dell’art. 32, comma terzo, del d.P.R. 43 del 1988, la consegna dei ruoli costituiva il concessionario addetto alla riscossione debitore dell’intero ammontare delle somme iscritte negli stessi, che dovevano essere versate all’ente creditore alle scadenze stabilite, ancorché non riscosse. Il concessionario aveva quindi l’obbligo di anticipare all’ente creditore il gettito delle procedure di riscossione (c.d. meccanismo del «non riscosso come riscosso»), con la possibilità, ai sensi degli artt. 75 e 77 del d.P.R. n. 43 cit., di recuperare il carico anticipato (mediante il rimborso da parte dell’ente creditore o la compensazione con gli altri importi da anticipare), dimostrando di aver agito diligentemente nella procedura di riscossione senza però riuscire nell’esazione (c.d. «diritto al discarico» o «sistema del discarico»).
Il meccanismo del «non riscosso come riscosso» è stato abrogato dal d.lgs. n. 112 del 1999, che ha fatto quindi venir meno l’obbligo dell’agente di versare anticipatamente all’ente creditore, a scadenza fissa, gl’importi da riscuotere e ha introdotto un diverso sistema, in base al quale il concessionario, una volta ricevuti i ruoli, provvede alla riscossione dei relativi importi e, solo
dopo averli riscossi, ha l’obbligo di riversarli alla Cassa (art. 2 del d.lgs. n. 37 del 1999; art. 22 del d.lgs. n. 112 del 1999): in caso di omessa riscossione, il concessionario può ottenere il «discarico per inesigibilità» (con la conseguente esclusione dell’obbligo di versare i relativi importi all’ente creditore) solo ove abbia rispettato determinati adempimenti (nello specifico, quelli espressamente previsti dall’art. 19, comma secondo, del d.lgs. n. 112 del 1999), mentre perde il diritto al discarico (con conseguente obbligo di pagamento dei relativi importi) ove, al termine della procedura di cui all’art. 20 d.lgs. n. 112 del 1999, venga accertata una sua responsabilità in ordine alla mancata riscossione.
In tale materia, sono successivamente intervenuti la legge n. 228 del 2012, in vigore dal 1° gennaio 2013, e il decreto attuativo 15 giugno 2015 del Ministro dell’economia e delle finanze, che, per tutti i ruoli antecedenti al 31 dicembre 1999, hanno previsto:
a) l’annullamento automatico dei crediti di importo sino ad Euro 2.000,00 iscritti in ruoli resi esecutivi sino al 31 dicembre 1999 (art. 1, comma 527, della legge n. 228 cit.): ai sensi dell’art. 1 del d.m. 15 giugno 2015, l’elenco delle quote riferite ai tali crediti è trasmesso dall’agente della riscossione allo ente creditore su supporto magnetico, ovvero in via telematica, e le dette quote sono automaticamente discaricate ed eliminate dalle scritture contabili dell’ente creditore;
b) l’obbligo dell’Agente di riscossione, per i crediti di importo superiore ad Euro 2.000,00, di dare notizia all’ente impositore dell’esaurimento dell’attività di riscossione (art. 1, comma 528, della legge n. 228 cit.): obbligo poi precisato dagli artt. 2 e 3 del d.m. 15 giugno 2015 nel senso di dare comunicazione, su supporto magnetico o comunque in via telematica, dell’elenco delle quote non interessate da procedure esecutive avviate o da contenzioso pendente o da accordi in corso o da insinuazioni in procedure concorsuali ancora aperte o da dilazioni in corso, con conseguente automatico discarico anche di dette quote ed eliminazione dalle scritture contabili dell’ente creditore; per i crediti superiori ad Euro 2.000,00, interessati invece dalle dette procedure o pendenze, rimasti in carico all’agente della riscossione, è invece previsto l’obbligo di quest’ultimo di inserirli in un elenco, da trasmettere su
supporto magnetico o comunque in via telematica all’ente creditore, entro due mesi dalla conclusione delle attività, con conseguente automatico discarico anche di dette quote ed eliminazione dalle scritture contabili dell’ente creditore;
c) per tutti i crediti previsti dai commi 527 e 528, indipendentemente dal valore, l’inapplicabilità degli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999 (art. 1, comma 529, della legge n. 228 cit.).
6.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, in numerose pronunce, che il comma 527 dell’art. 1, nella parte in cui prevede, per i ruoli relativi ai crediti di valore inferiore ad Euro 2.000,00, l’annullamento dei crediti e l’eliminazione dalle scritture contabili, dev’essere interpretato (non diversamente dal comma 528, riguardante i ruoli relativi ai crediti di valore superiore al predetto importo) nel senso che l’esclusione della possibilità di procedere ulteriormente alla riscossione a mezzo ruolo comporta unicamente il venir meno del titolo esecutivo, costituito dal ruolo, e non anche l’estinzione del diritto di credito: in tal senso depongono infatti le finalità perseguite dal legislatore con la disciplina in esame, configurabile non già come un provvedimento ablatorio nei confronti di enti cui lo Stato non contribuisce neppure in via indiretta, ma come un intervento di riorganizzazione del servizio di riscossione a mezzo dei ruoli. Nessun rilievo può assumere, in contrario, l’espressa previsione dell’eliminazione dei predetti crediti dalle scritture contabili dell’ente, la quale, oltre a costituire un effetto già altre volte contemplato in caso di discarico dal ruolo, riveste una valenza esclusivamente contabile, in funzione dell’esigenza, correlata al sistema contabile europeo, di fornire una realistica esposizione dello stato patrimoniale ed economico dell’ente, evitando che crediti persistentemente insoluti possano venire ad alterarne i bilanci di esercizio, quali poste soltanto virtuali iscritte all’attivo, in contrasto con il criterio di veridicità dei bilanci (cfr. Cass., Sez. III, 20/11/2020, n. 26531; 19/06/2020, n. 11972). Anche per i ruoli relativi ai crediti di valore inferiore ad Euro 2.000,00 vale dunque la considerazione, svolta in riferimento a quelli riguardanti i crediti di valore superiore al predetto importo, secondo cui l’annullamento del ruolo non coincide con l’annullamento del credito sottostante, che ben potrà essere successivamente azionato in proprio
dall’ente creditore, con gli strumenti di tutela ordinariamente apprestati dall’ordinamento per i soggetti privati (cfr. Cass., Sez. III, 9/05/2019, n. 12229).
6.2. Ciò posto, non può condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur dando atto dell’inapplicabilità degli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999 ai crediti iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, in quanto espressamente prevista dall’art. 1, comma 529, della legge n. 228 del 2012, ha ritenuto che l’agente della riscossione fosse ugualmente tenuto a versare gl’importi iscritti nei ruoli scaduti, avendo la controversia ad oggetto crediti di importo superiore ad Euro 2.000,00 e non essendo stata fornita la prova dell’effettuazione degli adempimenti previsti dall’art. 1, commi 527529, della legge n. 228 del 2012, cioè dell’espletamento delle attività di competenza, ovverosia di quelle necessarie a procurare la riscossione dei crediti, e della trasmissione del relativo elenco all’ente creditore.
L’annullamento dei crediti iscritti nei ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 costituisce infatti, indipendentemente dall’importo degli stessi, un effetto legale, che non presuppone la dimostrazione dell’avvenuta trasmissione del relativo elenco all’ente creditore (e neppure dell’esaurimento delle attività di competenza: n.d.r.), non sussistendo alcuna disposizione che preveda espressamente tale adempimento come condizione necessaria per il discarico dell’agente della riscossione, ma rilevando lo stesso esclusivamente ad altri effetti (cfr. Cass., Sez. III, 21/08/2023, n. 24948; 22/12/2022, n. 37514). In tal senso depongono chiaramente non solo l’esclusione dell’applicabilità degli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999 e della possibilità di procedere a giudizio di responsabilità amministrativa e contabile, che risulterebbe priva di senso ove il discarico dell’agente continuasse ad essere subordinato alla dimostrazione del diligente espletamento dell’attività esecutiva ed informativa posta a suo carico, ma anche la disciplina attuativa dettata dallo art. 2, comma secondo, del d.m. 15 giugno 2015, che anche per i crediti di importo superiore ad Euro 2.000,00 prevede il «discarico automatico» delle relative quote e l’eliminazione dalle scritture contabili dell’ente creditore (analogamente a quanto previsto dall’art. 1, comma secondo, per i crediti di importo inferiore), senza subordinare tale effetto alla trasmissione dell’elenco.
6.3. Sotto un diverso profilo, poi, l’automatica operatività del discarico, quale effetto legale dell’annullamento dei ruoli, facendo venir meno l’obbligo dell’agente di riversare all’ente creditore gl’importi dei crediti avviati alla riscossione, esclude anche l’obbligo di restituire le somme trattenute a titolo di sgravio provvisorio, indipendentemente dall’avvenuta presentazione della domanda di rimborso ai sensi dell’art. 77 del d.P.R. n. 43 del 1988, anch’esso peraltro divenuto inapplicabile, per effetto dell’abrogazione disposta dall’art. 68 del d.lgs. n. 112 del 1999.
6.4. L’accoglimento delle predette censure, escludendo la fondatezza della domanda avanzata dalla CNPAF con il ricorso per decreto ingiuntivo, comporta l’assorbimento di quelle proposte con il terzo motivo di ricorso, riguardanti la determinazione dell’importo dovuto dall’agente della riscossione.
Passando quindi all’esame del ricorso incidentale, si osserva che la questione concernente l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 1, commi 527-529, della legge n. 228 del 2012 alla CNPAF è stata già affrontata da questa Corte, e risolta mediante l’enunciazione del principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui le predette disposizioni, ispirate ad un’esigenza di razionalizzazione dei bilanci di tutti gli enti creditori (indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli stessi), non pongono alcuna distinzione tra ruoli attinenti a crediti consegnati da soggetti pubblici o comunque da soggetti istituzionalmente beneficiari di finanziamenti pubblici e ruoli concernenti invece crediti vantati da soggetti privati: esse si riferiscono infatti indistintamente a tutti i crediti iscritti in ruoli resi esecutivi sino al 31 dicembre 1999, ed escludono la possibilità di procedere ulteriormente alla riscossione degli stessi mediante ruolo, sulla base di una valutazione rispondente ad evidenti criteri di ragionevolezza, in quanto fondata sull’epoca risalente dell’iscrizione a ruolo e, per i crediti di valore inferiore ad Euro 2.000,00, sull’antieconomicità della riscossione, i cui costi sono stati reputati superiori ai benefici (cfr. Cass., Sez. III, 26/07/2021, n. 21386; 20/ 11/2020, n. 26531; 9/05/2019, n. 12229). Le norme in esame sono pertanto applicabili anche ai crediti della CNPAF, la quale, nonostante la privatizzazione, rimane un ente deputato allo svolgimento di una funzione pubblica, cui lo Stato ha eccezionalmente concesso di procedere alla riscossione dei propri
crediti a mezzo del ruolo, cioè attraverso un sistema normalmente riservato agli enti pubblici, con la conseguenza che lo stesso legislatore può legittimamente disciplinare le modalità della riscossione, imporre limiti alla stessa, o, come avvenuto nella specie, non consentire più la riscossione con tale sistema per i crediti più risalenti.
7.1. Considerato inoltre che, come si è detto in precedenza, l’esclusione della possibilità di procedere ulteriormente alla riscossione a mezzo ruolo non comporta l’estinzione del diritto di credito, ma solo il venir meno del titolo esecutivo, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme in esame, sollevata dalla ricorrente sia in relazione alla previsione di un’espropriazione senza indennizzo dei crediti da essa vantati nei confronti dei propri iscritti e dell’idoneità di tale intervento a incidere sullo equilibrio finanziario dell’ente, sia in relazione alla disparità di trattamento introdotta tra i crediti delle casse previdenziali e quelli dell’Unione Europea, per i quali resta confermata l’operatività del sistema di riscossione a mezzo ruolo, anche se risalenti. Non merita consenso neppure la censura di violazione dell’art. 117 Cost., sollevata in riferimento all’art. 6 della CEDU, sotto il profilo dell’irragionevole incidenza delle disposizioni in esame sulla posizione di parità delle parti nei giudizi in corso, non configurandosi le stesse come un intervento isolato ed inaspettato rispetto ad un quadro normativo idoneo ad ingenerare nelle parti un ragionevole affidamento in ordine alla sua immutabilità, ma come uno stadio ulteriore di un percorso normativo avviato fin dal 1999 con la riforma del sistema di riscossione a mezzo ruolo, e proseguito con la sostituzione dell’organizzazione di carattere pubblicistico degli agenti della riscossione ai rapporti di concessione precedentemente intrattenuti dagli enti creditori con società private (cfr. Cass., Sez. III, 20/11/2020, n. 26531; 19/06/2020, n. 11972).
7.2. Tali conclusioni, più volte ribadite dalla giurisprudenza di legittimità, non appaiono suscettibili di rimeditazione alla stregua dello jus superveniens rappresentato dall’art. 1, commi 222-252, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, richiamato in memoria dalla ricorrente, che ha previsto un analogo meccanismo di annullamento automatico dei debiti iscritti nei ruoli affidati agli agenti della riscossione, con corrispondente discarico di questi ultimi: tale
disposizione si riferisce infatti ad una fattispecie diversa da quella in esame, ovverosia ai debiti d’importo residuo fino a Euro 1.000,00 «risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015», e, prevedendo espressamente un trattamento diversificato tra enti erariali (amministrazioni statali, agenzie fiscali ed enti pubblici previdenziali) ed enti non erariali (per i quali l’operatività di tale meccanismo resta subordinata ad un’apposita delibera dell’ente), non contemplato dall’art. 1, commi 527-529, della legge n. 228 del 2012, conferma indirettamente la validità dell’interpretazione di quest’ultima disposizione fornita dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. III, 9/08/2023, n. 24313).
8. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, restando assorbito il quarto motivo, mentre va rigettato il ricorso incidentale condizionato, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa compo-