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Disapplicazione atto amministrativo: i limiti del GO

Un comune si oppone a un decreto ingiuntivo emesso a favore di un altro comune per la ripartizione di spese elettorali, sostenendo l’illegittimità degli atti amministrativi sottostanti. La Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la disapplicazione di un atto amministrativo da parte del giudice ordinario non è ammessa quando l’atto costituisce il fondamento diretto del diritto vantato, e non un mero antecedente logico. In tali casi, l’atto deve essere impugnato dinanzi al giudice amministrativo.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Disapplicazione Atto Amministrativo: la Cassazione Fissa i Paletti per il Giudice Ordinario

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui confini del potere del giudice ordinario riguardo alla disapplicazione di un atto amministrativo. La Corte di Cassazione interviene in una controversia tra due Comuni relativa al rimborso di spese per il funzionamento delle commissioni elettorali, stabilendo un principio cardine: se l’atto amministrativo è il fondamento stesso del diritto azionato in giudizio, non può essere disapplicato, ma deve essere impugnato dinanzi al giudice amministrativo.

I fatti di causa: dal decreto ingiuntivo al ricorso in Cassazione

La vicenda ha origine quando un Comune capofila ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti di un altro Comune per il pagamento di oltre 160.000 euro. La somma rappresentava la quota di spese, anticipate dal primo, per il funzionamento delle commissioni elettorali mandamentali per un periodo di otto anni.

Il Comune debitore si oppone al decreto, contestando la legittimità dei decreti dirigenziali di riparto delle spese. Le principali eccezioni riguardavano la mancanza di visti di esecutorietà e di sottoscrizioni previste da una circolare ministeriale, considerate essenziali per l’efficacia degli atti.

Tanto il Tribunale in primo grado quanto la Corte d’Appello respingono le ragioni dell’opponente. In particolare, i giudici di secondo grado sottolineano come il Comune debitore non avesse mai impugnato i provvedimenti amministrativi di riparto delle spese dinanzi alla giurisdizione amministrativa competente nei termini di legge. Di conseguenza, tali atti erano divenuti definitivi, precludendo al giudice ordinario la possibilità di disapplicarli.

La questione della disapplicazione dell’atto amministrativo

Il cuore della controversia portata all’attenzione della Cassazione ruota attorno all’articolo 5 della Legge n. 2248 del 1865, All. E, che disciplina il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi.

La posizione del ricorrente

Il Comune ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel negare il potere di disapplicazione. A suo avviso, i decreti di riparto delle spese erano “atti paritetici”, ovvero non espressione di un potere autoritativo, e come tali non soggetti a un termine di decadenza per l’impugnazione, ma solo a prescrizione. Pertanto, il giudice ordinario avrebbe dovuto verificare la loro legittimità e, riscontrandone i vizi, disapplicarli e rigettare la pretesa creditoria.

La tesi della Corte d’Appello

La Corte territoriale, al contrario, aveva ritenuto che il potere di disapplicazione non potesse essere esercitato in quel contesto. La mancata impugnazione tempestiva dei provvedimenti davanti al TAR li aveva resi inoppugnabili. Inoltre, l’atto amministrativo in questione non era un semplice “antecedente logico” della controversia, ma il “fondamento del diritto dedotto in giudizio”, circostanza che, secondo i giudici di merito, escludeva la possibilità di disapplicazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte rigetta il ricorso, confermando la decisione d’appello e fornendo un’analisi dettagliata dei limiti al potere di disapplicazione di un atto amministrativo.

Sulla censura relativa all’onere della prova

In primo luogo, la Corte dichiara inammissibile il motivo con cui il ricorrente lamentava la violazione delle regole sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). La ratio decidendi della sentenza impugnata, infatti, non si basava su una valutazione delle prove, ma sulla circostanza pregiudiziale della mancata impugnazione degli atti amministrativi. Una critica alla valutazione delle prove, peraltro, andrebbe mossa ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (omesso esame di un fatto decisivo), non come violazione di legge.

I limiti al potere di disapplicazione dell’atto amministrativo

Il punto cruciale della decisione riguarda il secondo motivo di ricorso. La Cassazione chiarisce che il potere del giudice ordinario di disapplicare atti amministrativi illegittimi incontra un limite invalicabile. Questo potere può essere esercitato a due condizioni:
1. L’atto amministrativo deve essere un mero antecedente logico della controversia e non il fondamento diretto del diritto fatto valere in giudizio.
2. L’atto deve essere affetto da vizi di legittimità lesivi di diritti.

Nel caso di specie, i decreti dirigenziali di riparto delle spese non erano un semplice presupposto della richiesta di pagamento, ma costituivano il titolo stesso su cui si fondava la pretesa creditoria del Comune capofila. Erano, in altre parole, il fondamento della domanda. Di conseguenza, la questione della loro legittimità non poteva essere trattata come una pregiudiziale tecnica da risolvere incidentalmente tramite disapplicazione. L’unica via per contestarne la validità era l’impugnazione diretta dinanzi al giudice amministrativo.

La natura non paritetica del rapporto tra Comuni

Infine, la Corte smonta la tesi degli “atti paritetici”. Spiega che tale nozione si applica ai rapporti negoziali tra Pubblica Amministrazione e privati, nella fase successiva alla stipula di un contratto. La controversia in esame, invece, riguarda un rapporto tra due pubbliche amministrazioni, regolato da norme pubblicistiche, nell’ambito del quale un Comune chiede il rimborso di spese anticipate per l’esercizio di una funzione pubblica. Non si tratta di un rapporto paritetico, ma di un’attività amministrativa tipica.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Quando un atto amministrativo costituisce la fonte diretta di un’obbligazione patrimoniale e, quindi, il fondamento del diritto azionato in un giudizio civile, la sua legittimità non può essere messa in discussione incidentalmente davanti al giudice ordinario attraverso lo strumento della disapplicazione. Il soggetto che ne contesta la validità ha l’onere di impugnarlo tempestivamente dinanzi al giudice amministrativo, unico organo competente ad annullarlo. In mancanza, l’atto, anche se potenzialmente illegittimo, diventa definitivo e produce i suoi effetti, che il giudice ordinario non può far altro che riconoscere.

Quando può il giudice ordinario disapplicare un atto amministrativo?
Il giudice ordinario può disapplicare un atto amministrativo illegittimo a due condizioni: a) che l’atto venga in rilievo come mero antecedente logico e non come fondamento del diritto dedotto in giudizio; b) che sia affetto da vizi di legittimità lesivi di diritti soggettivi.

Perché nel caso esaminato la Corte ha escluso la disapplicazione?
La Corte ha escluso la disapplicazione perché i provvedimenti dirigenziali di riparto delle spese non erano un semplice presupposto, ma rappresentavano il titolo stesso, cioè il fondamento giuridico diretto, della richiesta di pagamento avanzata da un Comune verso l’altro. Pertanto, la loro validità doveva essere contestata dinanzi al giudice amministrativo.

Il rapporto tra due Comuni per la ripartizione di spese pubbliche è un rapporto ‘paritetico’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il rapporto tra due Comuni per la ripartizione di spese relative a funzioni pubbliche non è paritetico. La nozione di atto paritetico si applica ai rapporti negoziali tra PA e privati, non a quelli tra pubbliche amministrazioni che agiscono nell’esercizio di funzioni disciplinate dal diritto pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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