Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22663 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22663 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6612/2020 r.g. proposto da:
Comune di Francofonte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
-ricorrente –
contro
Comune di Lentini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al
contro
ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 1737/2019, depositata in data 16 luglio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione notificato il 20/4/2009 il Comune di Francofonte proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 40/2009 del 26/2/2009 con cui il tribunale di Siracusa, sezione distaccata di Lentini, aveva ingiunto di pagare in favore del comune di Lentini la somma di euro 161.297,14.
La somma era stata richiesta dal Comune di Lentini per le spese da esso sopportate per il funzionamento delle commissioni elettorali mandamentali gravanti sul bilancio dei comuni compresi nella circoscrizione del mandamento giudiziario, anticipate dal Comune di Lentini.
Il Comune di Lentini aveva dedotto la spettanza di somme sostenute negli anni 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007 per il funzionamento delle sottocommissioni elettorali mandamentali deputate all’aggiornamento e alla tenuta delle liste elettorali dei comuni di Lentini, Carlentini e Francofonte.
Nell’atto di opposizione il Comune di Francofonte deduceva che i decreti dirigenziali, a firma del coordinatore del Quinto Settore del Comune di Lentini, con cui si era provveduto al riparto di dette spese tra i comuni interessati, fossero privi di efficacia, «perché non corredati del visto di esecutorietà prefettizio».
Contrariamente a quanto disposto dalla circolare del Ministero dell’Interno dell’1/2/1986, n. 2600/I, tali deliberazioni di liquidazione di riparto delle spese di funzionamento di commissione elettorale non erano corredate dalla «nota analitica di tutte le spese sostenute debitamente vistata dal presidente e dal segretario».
Tali notule di spesa allegate ai decreti dirigenziali non recavano alcuna sottoscrizione del presidente e del segretario delle relative sottocommissioni.
Pertanto, non potevano essere utilizzate al fine di «verificare quanti gettoni di presenza abbiano eventualmente maturato i singoli componenti e quali spese documentate costoro abbiano diritto ad avere rimborsate».
Tra l’altro, per l’opponente, il Comune di Lentini aveva preteso di includere tra le spese da ripartire tra i comuni anche quota delle retribuzioni mensili dei propri dipendenti COGNOME e COGNOME.
Aggiungeva l’opponente che l’art. 2, comma 30, della legge n. 244 del 2007 aveva infine soppresso il diritto al compenso dei componenti delle commissioni elettorali, sancendo la gratuità del relativo incarico.
Si costituiva il Comune di Lentini, deducendo che l’assenza del visto di esecutorietà prefettizio impediva soltanto che il Comune potesse soddisfare il suo credito in via di autotutela amministrativa, ed infatti per tale ragione si era chiesto il decreto ingiuntivo dinanzi al giudice ordinario.
Inoltre, il visto sulle notule di spesa non era imposto da una fonte primaria, ma soltanto da una circolare, sicché non poteva infirmare la legittimità dei decreti dirigenziali.
Trattavasi peraltro di atti amministrativi vincolati e non a contenuto discrezionale.
Peraltro, la circolare del Ministero dell’Interno dell’1/2/1986 stabiliva che tra le spese dovesse comprendersi anche «il trattamento economico dei componenti delle commissioni e sottocommissioni»; l’art. 2, comma 30, della legge n. 244 del 2007 non aveva efficacia retroattiva.
Il tribunale di Siracusa rigettava l’opposizione, in quanto il Comune di Lentini aveva «dato prova del credito che ha più volte reclamato al Comune di Francofonte, credito che comunque non è contestato nel suo ammontare ma soltanto per il mancato rispetto del procedimento di formazione»; inoltre, la circostanza che la nota di ripartizione delle spese non fosse stata resa esecutiva dal prefetto non escludeva l’efficacia del provvedimento e la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Francofonte deducendo, per quel che ancora qui rileva, che l’omesso visto delle predette note analitiche di spesa allegate a ciascuno dei provvedimenti di riparto integrava «sicuro vizio di eccesso di potere dei provvedimenti medesimi, perché non conformi a quanto espressamente imposto dalla menzionata Circolare del Ministero dell’Interno 1/2/1986, n. 2600/I».
Replicava il Comune di Lentini nel senso che, quantomeno, il decreto del coordinatore del primo settore n. 77 del 29/9/2008 di riparto delle spese di funzionamento relative al 2007 recava in allegato la nota analitica delle spese debitamente vistata dal presidente e dal segretario della sottocommissione.
Quanto ai precedenti decreti di riparto, l’assenza di analoga sottoscrizione delle relative note analitiche non poteva comportare l’annullabilità e neppure la disapplicazione, trattandosi di provvedimenti vincolati, sicché il contenuto dispositivo degli stessi non poteva essere diverso da quello in concreto adottato.
La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 1737/2019, depositata il 16/7/2019, rigettava l’appello.
In particolare, per quel che ancora qui rileva, la Corte territoriale sottolineava che il Comune appellante non aveva mai contestato la tempestiva notificazione dei provvedimenti in esame e non aveva fatto valere «la presunta illegittimità innanzi alla competente giurisdizione amministrativa nel rispetto del termine decadenziale di legge».
Non poteva procedersi poi con la disapplicazione di cui all’art. 5 della legge n. 2248/1865 All. E, in quanto tale potere non poteva essere esercitato nei giudizi in cui era parte la PA, ma solo nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l’atto illegittimo veniva in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico, sicché la questione veniva a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Francofonte, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Comune di Lentini.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione di legge per falsa e/o mancata applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Per il ricorrente, con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo si instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il creditore opposto, nella specie il Comune di Lentini, da ritenersi attore in senso sostanziale, ha l’onere di fornire la prova della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto azionato.
La prova deve essere adeguata a tale dimostrazione.
Nella specie, invece, ad avviso del Comune di Lentini, a fronte delle contestazioni mosse dal Comune di Francofonte, in sede di
opposizione, in merito all’esistenza del credito e alla determinazione di liquidazioni poste alla base del decreto ingiuntivo, il Comune di Lentini non ha fornito «alcuna adeguata prova del credito azionato ai sensi dell’art. 2697 c.c.».
Proprio perché era stata contestata la legittimità della documentazione prodotta (determinazione di liquidazione e ripartizione) nella fase sommaria, la stessa non poteva avere valore di prova scritta nel giudizio di opposizione.
Il creditore opposto non ha provveduto ad integrare la documentazione, non avendo dunque fornito la piena prova del credito.
Il primo motivo è inammissibile.
2.1. In primo luogo, il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello, che si è soffermata esclusivamente sulla circostanza che il Comune di Francofonte non ha impugnato i decreti dirigenziali contenenti le note del Comune di Lentini dinanzi al giudice amministrativo nei termini di legge, non essendo utilizzabile neppure il potere di disapplicazione.
2.2. In secondo luogo, poi, la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. attiene esclusivamente alla violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, mentre, nel caso in esame, il ricorrente si lamenta dell’erronea valutazione delle prove da parte della Corte d’appello, in quanto il Comune di Lentini non avrebbe fornito la documentazione adeguata alla dimostrazione del fatto costitutivo del proprio diritto.
Ed infatti, mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.) può essere fatta valere ai sensi del n. 5 del medesimo art. 360 (Cass., sez. 6-3, 31/8/2020, n. 18092; Cass., sez. 3, 17/6/2013, n. 15107).
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 5 legge 2248/1865 All. E (legge sul contenzioso amministrativo) nonché per falsa applicazione dell’art. 7 del d.lgs. 104/2010 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello erroneamente – ad avviso del ricorrente avrebbe ritenuto dirimente la circostanza che il Comune di Francofonte non avesse proposto ricorso dinanzi al giudice amministrativo nel termine di decadenza.
Tale affermazione si fonderebbe su un’erronea interpretazione o applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2010.
La fonte del credito, costituito da un diritto soggettivo, è rappresentata dall’avvenuto esborso e dalla determinazione dirigenziale di liquidazione e riparto del responsabile del Comune di Lentini, ai sensi dell’art. 62 del d.P.R. n. 223 del 1967.
Nella circolare del Ministero dell’Interno del 1° febbraio 1986 si prevede che la delibera di liquidazione delle spese sia corredata dalla nota analitica di tutte le spese sostenute dalla commissione elettorale, debitamente vistata dal presidente e del segretario.
Il visto del presidente e del segretario nella nota analitica è un elemento essenziale del procedimento di ripartizione delle spese.
Attraverso il visto «viene verificato prima che l’atto acquista efficacia l’esistenza di legittimità dell’atto stesso in assenza del visto, a parere del ricorrente, l’atto non può acquisire efficacia».
La Corte territoriale avrebbe ritenuto illegittimi i decreti dirigenziali in quanto viziati da eccesso di potere perché non conformi alle prescrizioni imposte nella circolare citata.
Tuttavia, la decisione della Corte territoriale sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto che il Comune di Francofonte avrebbe dovuto proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo nel termine decadenziale di legge.
Per il ricorrente, però, non si è in presenza di atti autoritativi, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma di atti amministrativi paritetici.
Pertanto, gli stessi non sono sottoposti ai termini di decadenza propri dei giudizi impugnatorio, ma al termine di prescrizione.
Il motivo è infondato.
4.1. L’art. 62 del d.P.R. 20/3/1967, n. 223 prevede che «le spese per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali sono a carico dei comuni. Le spese per il funzionamento delle Commissioni elettorali mandamentali e delle eventuali Sottocommissioni gravano sul bilancio dei Comuni compresi nella circoscrizione del mandamento giudiziario e sono ripartite tra i comuni medesimi in base alla rispettiva popolazione elettorale. Il riparto è reso esecutorio dal prefetto».
Nella circolare del 1° febbraio 2002 del Ministero dell’Interno si occupa proprio delle «spese per il funzionamento delle commissioni e delle sottocommissioni elettorali mandamentali», al paragrafo 22.
Si prevede che la deliberazione del Comune capoluogo concernente la liquidazione delle spese sostenute globalmente per il funzionamento dell’organo di cui trattasi è soggetta al generale controllo di legittimità. La deliberazione stessa, ovviamente, deve essere corredata dalla nota analitica di tutte le spese sostenute dalla
commissione elettorale mandamentale, debitamente vistata dal presidente e dal segretario.
4.2. Va affrontata la questione sollevata dal ricorrente con riferimento alla asserita erronea pronuncia da parte della Corte di merito, in ordine alla impossibilità per il giudice ordinario di disapplicare i provvedimenti amministrativi, nei giudizi in cui sia parte la PA.
Va chiarito, sul punto, che il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi, ex art. 5 della l. n. 2248 del 1865, all. E, può essere esercitato anche nelle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione e non soltanto nelle liti tra privati, a condizione che l’atto illegittimo venga in rilievo come mero antecedente logico e non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio -e, cioè, che la questione della sua legittimità sia prospettata come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale – e che il provvedimento sia affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, dovendosi invece escludere il sindacato del giudice con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass. Sez.U., 25/5/2018, n. 13193; Cass., Sez.U., 6/8/1975, n. 2987; 10/9/2004, n. 18263; 9/1/2007, n. 116; 5/6/2014, n. 12644; di recente Cass., sez. 1, 14/3/2025, n. 6834).
Tuttavia, ai fini della disapplicazione è necessario che ricorrano due condizioni oggettive: a) il provvedimento amministrativo non può costituire l’oggetto diretto della controversia, cioè non può venire in rilievo come fondamento del diritto dedotto in giudizio, ma solo se la questione della sua legittimità si prospetti come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (Cass., n. 13193 del 2018; Cass., Sez.U., n. 2987 del 1975; n. 2244 del 2015; Cass., nn. 22/2/2002, n. 2588; 13/9/2006, n. 19659; 10/1/2017, n. 276;
di recente in materia tributaria Cass., sez. 5, 2/10/2024, n. 25935 in ordine al potere del giudice tributario di disapplicare tutti gli atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’imposizione, quale espressione di un principio generale dell’ordinamento, fissato dall’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E); b) il provvedimento deve essere affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, mentre il sindacato del giudice è escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass., sez. U., n. 13193 del 2018; Cass., Sez.U., n. 18263 del 2004 e n. 116 del 2007).
4.3. Nella specie, però, i provvedimenti dirigenziali del Comune di Lentini, di riparto delle somme dovute dai vari comuni (e segnatamente quello di Francofonte), per le spese relative alle commissioni elettorali mandamentali, vengono in rilievo nella fattispecie in esame proprio come fondamento del diritto dedotto in giudizio (si discute se i decreti dirigenziali siano muniti del visto di esecutorietà del prefetto e del visto sulle notule di spesa del presidente e del segretario della commissione elettorale), rappresentando il titolo utilizzato per conseguire il pagamento del dovuto, sicché si rientra nell’ambito della pregiudizialità logica e non tecnica.
Ciò non consente la disapplicazione dei provvedimenti amministrativi da parte del giudice ordinario.
Del pari non condivisibile è la tesi del ricorrente per cui si sarebbe in presenza di atti paritetici, per i quali non si applicherebbe il termine di decadenza per proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo, ma unicamente il termine di prescrizione.
Tale tesi è sconfessata dalla giurisprudenza granitica di questa Corte che riferisce la natura paritetica degli atti esclusivamente nel
rapporto tra la PA ed i privati, nella peculiare ipotesi in cui sia stato stipulato un contratto e, quindi, nella fase a valle della stipulazione.
Si è ritenuto, infatti che, con riferimento all’attività negoziale della P.A., devono ritenersi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie che attengono alla fase preliminare, antecedente e prodromica al contratto, inerenti alla formazione della volontà e alla scelta del contraente privato in base alle regole della cd. evidenza pubblica, mentre appartengono alla giurisdizione ordinaria quelle che radicano le loro ragioni nella serie negoziale successiva, che va dalla stipulazione del contratto fino alle vicende del suo adempimento, e riguardano la disciplina dei rapporti scaturenti dal contratto, senza che l’asse della giurisdizione sia spostato dall’adozione, nel corso del rapporto contrattuale, di determinazioni della parte pubblica in attuazione di sopravvenienze normative, che comunque si collocano nell’alveo di un rapporto ormai paritetico (Cass., Sez.U., 29/1/2018, n. 2144).
Solo nell’ambito degli atti negoziali si instaura un rapporto paritetico, non potendo la PA esercitare i poteri di supremazia e di imperio tipici dell’attività amministrativa (Cass., Sez.U., 12/6/2015, n. 12177; Cass., Sez.U., 24/5/2013, n. 12901; Cass., Sez.U., 14/6/2006, n. 13690).
Nella specie, invece, vi è un rapporto tra pubblica amministrazione, e segnatamente tra comuni, nell’ambito del quale uno dei comuni ha anticipato le spese relative alle commissioni elettorali ed ha chiesto il rimborso, in proporzione alla popolazione elettorale, delle somme erogate.
5. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 7.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione