Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32479 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32479 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
1.La Corte di Appello di Milano ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME (infermiera professionale assegnata al reparto cardiologia, unità di terapia intensiva coronarica con turnazione h.24) avverso la sentenza del Tribunale di Monza che aveva rigettato le sue domande, volte ad ottenere l’accertamento del suo diritto alla consumazione del pasto per ogni giorno di effettivo lavoro di almeno sei ore, nonché la condanna della ASST al pagamento della somma di € 4.473,00 quale valore di 63 9 buoni pasto, oltre agli importi maturati e maturandi e agli accessori.
La COGNOME aveva dedotto che i suoi turni di lavoro erano ripartiti in mattina (6.00-14.00), pomeriggio (14.00-22.00) e notte (22.00-6.00) e di non riuscire ad usufruire del servizio mensa offerto dall’ASST di Vimercate quando era operativa al mattino, a causa dei concomitanti orari di termine del turno e di chiusura della mensa; aveva inoltre lamentato la mancata somministrazione del pasto nel corso del servizio notturno.
La Corte territoriale, dopo avere rilevato che la COGNOME nel ricorso introduttivo aveva chiesto l’accertamento del suo diritto di fruire del mezzo sostitutivo del pasto quando effettuava i turni di mattina e di notte, ha condiviso le statuizioni del Tribunale, secondo cui dall’art.8 del d.lgs. n. 66/2003 si desume solo un diritto alla pausa, e non un diritto al pasto o a modalità sostitutive.
Il giudice di appello ha inoltre richiamato la giurisprudenza di legittimità, secondo cui tale diritto non è desumibile dall’art. 29 del CCNL Comparto Sanità 20.9.2001, evidenziando che nella fattispecie il servizio mensa, istituito con una deliberazione del Direttore Generale del 1998 poi modificata da successive delibere, è stato infine disciplinato dal ‘Regolamento recante la disciplina della
fruizione del servizio mensa aziendale’ approvato dalla RAGIONE_SOCIALE con deliberazione n. 1126 del 7.12.2015.
Ha dunque precisato che l’Azienda aveva previsto un servizio mensa per i turni mattutino e pomeridiano, mentre per il turno notturno la mancata istituzione del servizio mensa o di modalità sostitutive costituisce espressione della legittima scelta discrezionale dell’ente nell’esercizio delle suddette facoltà.
Ha ritenuto non decisivo l’assunto della COGNOME, secondo cui il suo inserimento nell’unità UTIC le aveva impedito di usufruire del servizio mensa; come evidenziato dal primo giudice, l’art. 4 del suddetto Regolamento consente infatti di beneficiare del servizio mensa anche agli infermieri che per particolari esigenze di servizio non avessero potuto usufruire della pausa e della possibilità di accedere alla mensa, attraverso la richiesta del sacchetto.
Ha infine rilevato che l’appellante nulla aveva dedotto in ordine all’impossibilità di azionare tale disciplina.
Avverso tale sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
La ASST di Vimercate ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con l’unico motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.lgs. n. 66/2003 e dell’art. 4, comma 1, CCNL Comparto Sanità 31.7.2009, nonché dell’art. 29 CCNI 20.9.2001.
Addebita alla Corte territoriale di avere interpretato la normativa applicabile senza tenere conto del pacifico espletamento del servizio mensa all’interno del posto di lavoro, come risulta dalla sentenza impugnata.
Sostiene che esiste un ‘diritto di mensa’ per i lavoratori, non rilevando in contrario il mancato riconoscimento della pausa mensa durante il turno di notte da parte del Regolamento aziendale, atteso che l’art. 8 d.lgs. n. 66/2003 e l’art. 29 CCNI Sanità non distinguono il tipo di turnazione nella quale garantire il diritto alla mensa, ma fissano il principio secondo cui qualsiasi turno che superi le 6 ore deve essere interrotto dal recupero delle energie e dall’eventuale consumazione di un pasto, non vietato anche di notte dalla contrattazione.
Critica la sentenza impugnata per non avere colto che la ratio legis dell’art. 8 d.lgs. n. 66/2003 è quella di integrare le energie perse durante il lavoro e per avere invaso l’autonomia collettiva decidendo quando i sanitari debbano cenare, senza considerare i disagi dei lavoratori notturni che fanno i pendolari, e che dovrebbero dunque rimanere digiuni dal tardo pomeriggio al mattino successivo, e della stessa ricorrente, che dovendo reperire un pasto a casa sua, viene discriminata rispetto agli altri lavoratori.
Il ricorso è inammissibile in quanto tardivo, come eccepito dall’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Vimercate.
La sentenza impugnata è stata depositata il 20.1.2020 e non è stata notificata.
L’art. 83, comma 2, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 stabili sce : ‘2. Dal 9 marzo al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni, e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo (…)’.
I l d.l. 8 aprile 2020 n. 23 che all’art. 36, comma 1, dispone: ‘1. Il termine del 15 aprile 2020 previsto dall’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 è prorogato all’11 maggio 2020. Conseguentemente il termine iniziale del periodo previsto dal comma 6 del predetto articolo è fissato al 12 maggio 2020. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, ai procedimenti di cui ai commi 20 e 21 dell’articolo 83 del decretolegge n. 18 del 2020 ‘.
Nel caso di specie, il termine semestrale per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 327 cod. proc. civ., ha iniziato a decorrere dal 20.1.2020 ed è rimasto sospeso dal 9 marzo all’11 maggio 2020; ha dunque ripreso a decorrere dal 12 maggio 2020.
Il termine semestrale per proporre ricorso per cassazione è dunque scaduto in data 23 settembre 2020.
Il ricorso è stato notificato il 12.11.2020, e dunque dopo che il termine semestrale previsto dall’art. 327 cod. proc. civ. era scaduto.
Considerato che nelle cause di lavoro non trova applicazione la sospensione feriale, l’impugnativa è intervenuta dopo che il termine semestrale era spirato.
Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il Comune ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 2.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del Comune ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 19 novembre 2024.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME