Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6856 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6856 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14948-2020 proposto da:
NOME COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME e COGNOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 142/2019 della CORTE DI APPELLO di MESSINA, depositata il 27/02/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 27.7.1998 COGNOME NOME e NOME evocavano in giudizio NOME, classe 1964, procuratrice generale di NOME NOME, COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME, NOME e NOME, classe 1956, innanzi il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, esponendo di aver acquistato con atto del 29.7.1988 da COGNOME NOME e COGNOME NOME la proprietà di un appartamento sito al secondo piano dello stabile sito in Barcellona Pozzo di Gotto, INDIRIZZO e lamentando che i convenuti, proprietari della restante parte dell’edificio, si erano opposti all’esercizio del diritto di parcheggio sull’area retrostante il fabbricato, assumendo di esserne i proprietari esclusivi. Invocavano dunque la declaratoria della nullità degli atti di divisione e compravendita per notar COGNOME del 6.7.1978 e 29.7.1988 (con il primo dei quali COGNOME NOME, COGNOME NOME e la moglie di quest’ultimo, NOME NOME, avevano diviso l’edificio, e con il secondo dei quali i coniugi NOME e COGNOME avevano ceduto l’appartamento al secondo piano a COGNOME NOME e COGNOME NOME, danti causa degli attori COGNOME e COGNOME) nella parte in cui detti atti prevedessero clausole in contrasto con il vincolo di destinazione a parcheggio dell’area di cui è causa previsto dalla legge e dal correlato diritto reale di uso spettante ad essi attori; la declaratoria che gli spazi esterni pertinenziali al fabbricato erano assoggettate ad un vincolo di destinazione a parcheggio natura pubblicistica e che dunque ad essi attori competeva un diritto reale di uso su di esse; la condanna dei convenuti ad immettere gli attori nel possesso delle aree contestate, consegnando copia delle chiavi del cancello posto al loro ingresso e a demolire le opere impeditive della
suindicata destinazione a parcheggio; l’individuazione e la delimitazione del posto auto eventualmente da assegnar loro; la condanna dei convenuti al risarcimento del danno.
Nella resistenza dei convenuti, che eccepivano l’intervenuta prescrizione per non uso ultraventennale del diritto reale di uso invocato dagli attori, e comunque la carenza di legittimazione passiva di NOME, NOME NOME e NOME NOME, evocati in giudizio nella loro qualità di eredi di NOME NOME, il quale tuttavia era rimasto estraneo alla convenzione per atto notar COGNOME del 6.7.1978, il Tribunale, con sentenza n. 680/2016, accoglieva la domanda attrice, riconoscendo agli attori il diritto reale di uso sulle aree pertinenziali del fabbricato e condannando i convenuti a porre in essere le misure idonee a consentire l’esercizio del predetto diritto e a risarcire il danno cagionato.
Con la sentenza impugnata, n. 142/2019, la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, rigettava la domanda degli originari attori nei confronti degli eredi di NOME NOME e dichiarava pertanto che il diritto reale d’uso loro spettante riguardava la sola porzione dell’area scoperta retrostante l’edificio compresa nella quota di proprietà dei coniugi NOME e COGNOME NOME. Secondo la Corte distrettuale, attraverso la C.T.U. era stato accertato che la destinazione delle aree scoperte pertinenziali all’edificio, originariamente non prevista dalla licenza edilizia n. 1765 del 1973, era stata invece contemplata nella concessione in variante n. 257 del 26.7.1979 e ravvisava quindi il diritto reale d’uso in favore degli originari attori, che riteneva non prescritto in quanto NOME e NOME avevano acquistato la proprietà del loro appartamento il 29.7.1988, la chiusura dell’area controversa ad opera dei Materia era
avvenuta nel febbraio del 1998 e l’azione era stata introdotta il 27.7.1998
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a tre motivi.
Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va premesso che il ricorso non è stato notificato a tutte le parti del processo, ma trattandosi – come si vedrà a breve – di ricorso infondato, si reputa inutile, oltre che contrario al principio di durata ragionevole del processo, un ulteriore rinvio per rinnovo della notifica del ricorso (cfr. tra le tante, Sez. 2 – , Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018 Rv. 648755; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8980 del 15/05/2020 Rv. 657883; Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013 Rv. 626969; Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010 Rv. 612077).
Venendo all’esame dei motivi, con il primo di essi, la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942, 18 della legge n. 765 del 1967, 871, 872 e 1411 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato l’esistenza del diritto reale d’uso invocato dagli originari attori, senza considerare che detta posizione soggettiva sorge soltanto a condizione che la destinazione dell’area controversia sia stata prevista nel progetto del fabbricato e che il parcheggio sia stato effettivamente realizzato. Diversamente, l’acquirente della singola unità immobiliare compresa nel fabbricato non vanta un diritto reale d’uso, ma può soltanto far valere una pretesa risarcitoria.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata dà atto (cfr. pag. 9) che la destinazione a parcheggio, non prevista nell’originaria licenza edilizia del 1973, era stata invece contemplata nella concessione in variante del 1979 e ritiene che, di fatto, l’area controversa sia stata utilizzata anche dagli odierni controricorrenti per parcheggiare la loro vettura, sino al momento in cui la stessa era stata interclusa, ovverosia fino a febbraio 1998 (cfr. pagg. 9, 10 e 11), escludendo che l’uso dello spazio di cui è causa esercitato da COGNOME e COGNOME fosse ascrivibile a mera tolleranza degli aventi diritto. Dalla successione temporale degli eventi ricostruiti dalla Corte distrettuale emerge che al momento in cui gli odierni controricorrenti acquistarono il loro immobile (29.7.1988) l’area di cui si discute era già stata asservita a parcheggio e destinata, di fatto, a tale scopo. Competeva quindi, sulla base della medesima giurisprudenza richiamata nel ricorso, alla COGNOME ed al COGNOME non già una mera pretesa a contenuto risarcitorio, bensì -come correttamente ritenuto dal giudice di seconda istanza- un diritto di uso di natura reale.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare che, al momento dell’acquisto della proprietà da parte dei danti causa degli originari attori (avvenuto il 6.7.1978) non esisteva alcun vincolo di destinazione a parcheggio delle aree di cui si controverte.
La censura è inammissibile.
In relazione alla statuizione con la quale il giudice di merito ha ravvisato, nel caso concreto, la sussistenza del diritto reale d’uso dell’area destinata a parcheggio, si configura una ipotesi di cd. doppia conforme , posto che la decisione di prime cure non è stata riformata su questo punto. La Corte distrettuale, infatti, ha soltanto ritenuto che il diritto d’uso, la cui esistenza era già stata riconosciuta in prime cure
e che la sentenza impugnata ha, quindi, soltanto confermato, insistesse sulla sola porzione dello spazio circostante l’edificio di competenza degli odierni ricorrenti. In presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme, la deduzione del vizio di omesso esame è preclusa dalla disposizione di cui all’art. 348-ter c.p.c.
Con il terzo motivo, infine, la parte ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 1014, 1026, 2934, 2932 e 2967 c.c., 115, 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe ravvisato l’intervenuta prescrizione del diritto d’uso dell’area di cui è causa per non uso ultraventennale, né ricondotto l’esercizio del parcheggio sulla stessa alla tolleranza dei proprietari.
La censura è infondata sotto ambedue i profili in cui essa si articola. Relativamente al primo di essi, la Corte di Appello ha evidenziato che la chiusura dell’area controversa è avvenuta nel febbraio 1998, dunque a distanza di meno di dieci anni da quando gli odierni controricorrenti avevano acquistato l’appartamento di loro proprietà (29.7.1988), e che l’azione per contrastare tale interclusione era stata tempestivamente esercitata, nel luglio 1998, con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Sulla scorta dei richiamati riferimenti temporali, il giudice di merito ha condivisibilmente escluso la possibilità di configurare un non uso ventennale idoneo ai fini della prescrizione del diritto reale d’uso riconosciuto alla COGNOME ed al Costa.
In argomento, va data continuità al principio secondo cui ‘Il diritto d’uso sulle aree a parcheggio, di cui all’art. 41 sexies della L. n. 1150 del 1942, ha natura reale ed è, pertanto, soggetto a prescrizione ventennale, non rientrando tra i diritti indisponibili ex art. 2934, comma 2, c.c., senza che osti a tale conclusione il vincolo pubblicistico di destinazione che connota in via permanente dette aree’ (Cass.
Sez. 2, Sentenza n. 23669 del 21/11/2016, Rv. 641652; cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1445 del 18/01/2022, Rv. 663404; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1214 del 27/01/2012, Rv. 621121, riferita alle disposizioni di cui agli artt. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e 26 della legge 28 febbraio 1985, n. 47).
Con riguardo invece alla dedotta esistenza della tolleranza dei proprietari dell’area oggetto di causa, la Corte distrettuale l’ha esclusa rilevando che non era stata fornita la relativa prova (cfr. sentenza pag. 12). Tale statuizione si risolve in una tipica valutazione di fatto, che la parte ricorrente attinge proponendo un apprezzamento alternativo delle risultanze istruttorie, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la
decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Alla luce delle esposte argomentazioni, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda