Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25074 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25074 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7049/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrenti –
nonché
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza n. 2199/2021 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 29/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
NOME COGNOME e NOME COGNOME, comproprietari di un appartamento con ingresso dal numero civico 6 della INDIRIZZO in Bari e NOME COGNOME, proprietaria di un appartamento con ingresso dal numero civico 18 della medesima strada, citarono in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
Gli attori esposero di essere intervenuti nella causa da altri proprietari d’unità abitativa promossa, al fine d’accertare il loro diritto reale d’uso degli spazi riservati a parcheggio, ai sensi dell’art. 41 sexies, l. n. 1150/1942, siccome integrata dalla l. n. 765/1967, in relazione al complesso immobiliare collocato sull’area delimitata dal quadrilatero COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME e poiché l’intervento era sopravvenuto tardivamente, solo in sede di precisazione delle conclusioni, il Tribunale, con la sentenza pubblicata l’11/5/2011, non essendo più consentito far luogo ad atti istruttori, si era limitato a riconoscere in forma generica il vantato diritto, rimettendo ad altro giudizio la determinazione della superficie spettante per legge agli intervenuti.
Sulla base dell’anzidetta sentenza gli esponenti agirono successivamente in giudizio chiedendo determinarsi la superficie loro spettante.
Nelle more la sentenza del Tribunale del 2011 era stata confermata, per quel che qui rileva, dalla Corte d’appello di Bari (sentenza n. 2055/2014 del 9/12/2014) e quest’ultima decisione era stata impugnata con ricorso per cassazione solo da una parte diversa dagli esponenti.
Il Tribunale, con decisione del 16/5/2019, accolta la domanda, determinò la superficie di sosta spettante agli attori e ne dispose la
fisica individuazione, nonché il varco d’accesso, con condanna delle società convenute a consegnare le chiavi o gli strumenti elettronici che consentivano l’accesso e a permettere il posteggio nelle aree individuate <> da parte di terzi.
Le impugnazioni, con separati atti, della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE furono rigettati dalla Corte di Bari.
RAGIONE_SOCIALE avanzava ricorso sulla base di due motivi, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME resistevano con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Consigliere delegato della Sezione ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto decidersi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 12 settembre 2024.
Occorre premettere che nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte -ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di
contro
llo sulla proposta stessa (S.U., n. 9611, 10/04/2024, Rv. 670667 -01).
Ciò posto il consigliere proponente NOME COGNOME legittimamente compone il Collegio.
In via di ulteriore preliminarietà deve stigmatizzarsi il contenuto largamente improprio dell’istanza con la quale la ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso. Con essa, infatti, la ricorrente non si è limitata, come avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ., a chiedere la decisione, ma si è spesa in apprezzamenti giuridici, come si trattasse d’una integrazione del ricorso o, comunque, d’una memoria atipica, che precede la fissazione della trattazione della causa, invece che seguirla, con deposito nel termine perentorio di cui all’art. 380 bis 1 cpc. Di un tale contenuto, pertanto, non deve tenersi conto (Sez. 2, n. 8303, 27/03/2024, Rv. 670576 -01).
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Questo l’assunto.
La Corte d’appello aveva confermato l’ordinanza di primo grado, nonostante questa avesse deciso ultrapetita, siccome evidenziato con l’appello dalla ricorrente.
In particolare, la decisione appellata aveva stabilito le modalità di esercizio del diritto d’uso a parcheggio e individuato un’area appositamente riservata. Ciò, a fronte della domanda degli odierni resistenti, i quali avevano chiesto esclusivamente determinarsi <> . Né, avrebbe potuto avere sèguito l’inammissibile mutamento di domanda effettuato dalle controparti dopo il deposito dell’integrazione della consulenza tecnica.
8.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello di Bari per disattendere la censura sul punto ha spiegato che gli attori avevano chiesto la determinazione della superficie spettante loro quale diritto reale d’uso per il parcheggio e quel bene e non altro il Giudice di primo grado aveva loro riconosciuto.
La qualificazione della domanda compete al giudice del merito sulla base di quanto prospettato dalle parti. Nel caso di specie il tenore della domanda, peraltro riportata dalla stessa ricorrente, non giustifica la tesi perorata con il motivo in esame. La determinazione dell’area asservita richiesta dagli attori, solo attraverso un’ingiustificata opera riduttiva potrebbe essere ricondotta a una quantificazione meramente astratta o per quota superficiaria.
In disparte val la pena rilevare che la pretesa di vedere specificata con segni visibili e concretamente riportata alla geometria del luogo l’area assoggettata all’uso esclusivo di cui si discute non costituiva un ‘fuor d’opera’, che il giudice avrebbe dovuto riportare a giuridica conformità (questa Corte ha, per vero, avuto modo di affermare che il giudice di merito può individuare un preciso spazio fisico per la sosta dei veicoli di proprietà del condomino istante -cfr. Cass. nn. 1214/2012 -).
Questa Corte ha chiarito che in riferimento al principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, pur dovendosi affermare che al giudice spetta il potere di dare qualificazione giuridica alle eccezioni proposte, tuttavia tale potere trova un limite in relazione agli effetti giuridici che la parte vuole conseguire deducendo un certo fatto, nel senso che la prospettazione di parte vincola il giudice a trarre dai fatti esposti l’effetto giuridico domandato (Sez. 2, n. 21484, 12/10/2007, Rv. 599435).
Si è ulteriormente spiegato che non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice d’appello il quale dia alla domanda od
all’eccezione una qualificazione giuridica diversa da quella adottata dal giudice di primo grado, e mai prospettata dalla parti, essendo compito del giudice (anche d’appello) individuare correttamente la legge applicabile, con l’unico limite rappresentato dall’impossibilità di immutare l’effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire (Sez. 3, n. 15383 del 28/06/2010, Rv. 613802). Ed ancora, il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti: ne deriva che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (Sez. 6, n. 17897, 3/7/2019, Rv. 654734-01; conf. Cass. n. 22595/2009).
Nel caso che ci occupa l’effetto voluto dalle parti è conforme alla statuizione d’appello, che ha confermato quella di primo grado.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ.
La statuizione impugnata, si afferma, <>. La sentenza del Tribunale del 2011, confermata in appello nel 2014, prosegue la ricorrente, <>. Di talché doveva concludersi essere state disciplinate le modalità di esercizio del diritto d’uso.
La decisione confermata in appello, viene soggiunto, non si era limitata a specificare <>.
9.1. Il motivo deve essere rigettato.
Consta dalla sentenza impugnata che nei confronti degli odierni resistenti, essendo costoro intervenuti tardivamente, la sentenza del 2011 si limitò ad accertare la sussistenza del diritto reale d’uso, essendo già stata conclusa l’istruttoria, con l’espletamento della c.t.u., al momento della loro costituzione.
Le modalità d’esercizio del diritto, ivi inclusa l’eventuale individuazione in concreto dell’area assoggettata, non ha, pertanto, costituito giudicato nei confronti dei controricorrenti, rimasti estranei ad esso.
Sotto altro convergente profilo va osservato che la pronuncia d’accertamento emessa in favore di quest’ultimi non avrebbe potuto precludere loro altra e diversa domanda, che da quell’accertamento derivava, diretta a quantificare i metri quadrati di estensione del diritto e l’eventuale specificazione dell’area concretamente asservita, poiché una tale domanda costoro avevano sin dall’inizio avanzato, sebbene non fosse stato possibile scrutinarla a cagione della tardività dell’intervento.
Per quest’ultima ragione predicare che il giudicato copre, com’è ovvio, il dedotto e il deducibile non sostiene la tesi impugnatoria: come spiegato a riguardo del primo motivo i controricorrenti non hanno mancato di dedurre in quel primo giudizio la domanda di specificazione dell’area assoggettata all’uso reale; quindi,
processualmente inammissibile, perché tardiva, ogni domanda diversa dal mero accertamento del diritto, essa risulta essere stata ritualmente riproposta con il nuovo giudizio, rilevandosi solo la presenza di un giudicato in rito, avente valore formale e non sostanziale.
Rigettato il ricorso nel suo complesso, il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore della controricorrente.
Al rigetto del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna della ricorrente al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di € 6.000,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché
della somma di € 3.000,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 12 settembre 2024.