Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3220 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 3220 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 684/2022 R.G. proposto da:
Comune di San Giuliano Milanese, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE,
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME C.F. DVR CODICE_FISCALE, sito in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME controricorrente e ricorrente incidentale
e
RAGIONE_SOCIALE quale mandataria per la gestione del credito di RAGIONE_SOCIALE, intimata
avverso il decreto della Corte d’Appello Milano n. 1157/2021 depositato il 30/11/2021.
Udita la relazione svolta alla udienza del giorno 11/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per le parti gli Avvocati COGNOME NOME, COGNOME Francesco, NOME COGNOME e COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1 Nell’ambito della procedura fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione il Comune di San Giuliano Milanese presentò in data 10/6/2020 proposta di concordato, poi integrata e modificata il 19/10/20, con la suddivisione dei creditori in tre classi, mettendo a disposizione della procedura l’importo di € 5.700.000,00, da utilizzare insieme all’attivo fallimentare di circa € 2.560.000.
Il piano prevedeva il pagamento integrale delle spese della procedura, dei crediti in prededuzione, dei privilegiati, del credito
ipotecario di RAGIONE_SOCIALE mediante il ricavato della vendita dell’immobile ipotecato, e il soddisfacimento nella misura del 13% per il credito residuo insoddisfatto in conformità a tutti i chirografari.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (di seguito indicati per brevità semplicemente ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e ‘RAGIONE_SOCIALE‘) società di cartolarizzazione, titolari di crediti chirografari già ammessi al passivo, unitamente alle rispettive cedenti e tramite la mandataria RAGIONE_SOCIALE esprimevano parere dissenziente alla proposta di concordato, in rappresentanza del voto di circa il 70% dei creditori chirografari ammessi alla terza classe.
1.1. Con decreto del giudice delegato del 29/3/21 era approvata la proposta del concordato in base alla considerazione che « tra i creditori della terza classe -composta dagli altri creditori chirografari, tempestivi e tardivi – non sono pervenute valide dichiarazioni di dissenso, non potendosi ritenere tali i dissensi espressi dai cessionari o mandatari delle banche, in mancanza di un accertamento giudiziale della titolarità dei crediti, come attestato dalla relazione del curatore del 22.2.2012 ».
Nel giudizio di omologa proponevano opposizione, ex art. 129 l. fall., RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE nonché, con separato atto, RAGIONE_SOCIALE; il Tribunale, riuniti i procedimenti, con decreto del 27.7.21, rigettava le opposizioni ed omologava il concordato fallimentare proposto dal Comune.
2 Con decreto del 30.11.2021, la Corte d’appello, in accoglimento del reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale mandatario di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE annullava il decreto di omologa del concordato fallimentare e rimetteva gli atti al Tribunale di Lodi osservando, per quanto di interesse in questa sede, che: i) l’ultimo comma dell’art.127 l.fall., in forza del quale i trasferimenti dei crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento
non attribuiscono diritto di voto, salvo che siano effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari, ha la sua ragion d’essere nell’esigenza di prevenire voti pilotati e, dunque, di impedire che vengano attuate successioni nella titolarità dei crediti dettate da manovre puramente speculative, lesive dell’interesse della massa dei creditori; ii) il riconoscimento del voto per i crediti trasferiti in favore delle banche e di altri intermediari finanziari non è norma eccezionale, da interpretare restrittivamente ma, al contrario, è disposizione che restringe l’ambito di operatività di una norma che deroga il principio generale del voto nel concordato fallimentare ed è, quindi, passibile di interpretazione estensiva; iii) la nozione di intermediari finanziari esclusi dal divieto non è circoscritta ai soggetti iscritti nell’elenco previsto dall’art. 106 TUB, ma si estende anche alle società di cartolarizzazione in quanto tali società, dette anche società veicolo o SPV, a) sono soggetti che operano professionalmente all’interno del mercato del credito in maniera autonoma rispetto sia al cedente che al ceduto; b) garantiscono il medesimo rischio di grado ridotto che le operazioni di cessione di cui sono parte le SPV sottendano finalità fraudolente proprio delle banche e degli intermediari finanziari ‘istituzionali’; c) sono soggetti che professionalmente si occupano del mercato dei crediti deteriorati e, quindi, la loro esclusione dal voto, e conseguentemente dalla partecipazione ai concordati fallimentari, si pone in palese contrasto con l’obiettivo del legislatore del 2006 di incentivare le definizioni del fallimento mediante soluzioni privatistiche; iv) l’argomentazione spesa dalla curatela della non equiparabilità delle società di cartolarizzazione alle banche e agli altri intermediari finanziari non appariva dirimente perché la legge n. 130/1999 prevede, per alcune operazioni, l’intervento di uno dei soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 106 d.lvo 385/1983 (di seguito indicato per brevità ‘TUB’); circostanza verificatasi nel caso in esame in cui per l’operazione di voto del concordato fallimentare le
SPV hanno agito tramite la propria mandataria, la RAGIONE_SOCIALE, iscritta all’albo degli intermediari; v) la circostanza che, a differenza che per le banche e per gli intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB, per le SPV non sarebbe richiesta una dotazione di capitale significativa è, a parere della Corte, irrilevante ai fini del voto nel concordato fallimentare anche in considerazione del fatto che le società di cartolarizzazione godono anche di un patrimonio separato, quale forma di garanzia per gli investitori, differente dal capitale sociale, dove confluiscono gli incassi, che è destinato all’esclusivo soddisfacimento dei portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi; vi) la rigida e formale disciplina di cui all’art. 115 l.fall., dettata in tema di efficacia liberatoria del pagamento conseguente al riparto, non era suscettibile di essere trasposta tout court all’ ipotesi in cui occorra verificare la legittimazione dei creditori al voto nel concordato fallimentare di cui all’art. 127 l. fall. e a tal fine era sufficiente che il cessionario di crediti in blocco avesse comunicato al curatore l’avvenuta cessione; vii) l’esclusione dal voto dei cessionari in ragione del mancato rispetto delle formalità previste dall’art. 115 l. fall. avrebbe dovuto comportare il riconoscimento della legittimazione dei cedenti e conseguentemente della validità del voto da costoro espressi, con la conseguente eccentricità delle conclusioni cui era giunto il Tribunale che aveva considerato il cessionario titolare del credito, ma non legittimato al voto, per non averne formalmente correttamente documentato la titolarità, mentre il cedente non era legittimato per avere trasferito la titolarità del credito al cessionario; una volta ritenuta l’inopponibilità al fallimento della cessione si sarebbe dovuto riconoscere la permanenza dell’esercizio dei diritti correlati alla titolarità in capo al creditore originario, rimanendo gli effetti della cessione relegati nell’ambito del rapporto tra cedente e cessionario; viii) l’assenza delle formalità di cui all’art. 115 l. fall. era
circostanza ampiamente superata dal fatto che si trattava dei creditori indicati nello stato passivo e dunque ammessi al voto a norma del primo comma dell’art. 127 l. fall., tanto che risultavano destinatari della comunicazione pec del curatore datata 15.12.2020; ix) la proposta, tenuto conto degli espressi voti contrari congiunti di cessionarie e cedenti, che sarebbero dovuti essere considerati validi e computati ai fini della verifica delle maggioranze, non aveva raggiunto le maggioranze previste dall’art. 128 l.fall. per l’approvazione.
3 Ha proposto ricorso per Cassazione il Comune di San Giuliano Milanese, sulla scorta di due motivi; RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE in liquidazione hanno svolto difese con controricorso; quest’ultimo ha, altresì, proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
3.1 Il procedimento, avviato per la trattazione in Camera di Consiglio è stato rimesso alla pubblica udienza, con ordinanza interlocutoria del 16/4/204, ritenendosi di valenza nomofilattica la questione relativa alla esatta interpretazione dell’art. 127, comma 7, l. fall. che prevede che i trasferimenti dei crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono diritto di voto, salvo che siano effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari; in particolare il dubbio interpretativo che ha giustificato l’approfondimento in pubblica udienza riguarda sia la possibilità di includere tra i soggetti abilitati al voto le società di cartolarizzazione cessionarie in blocco dei crediti deteriorati, sebbene non iscritte all’elenco degli intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB, sia, eventualmente, l’ulteriore questione agitata tra le parti e concernente le formalità da osservare circa la comunicazione delle cessioni dei crediti al fine della validità dei voti
concordatari espressi dai soggetti cessionari successivamente al fallimento.
Le parti costituite hanno depositato le memorie ex art. 380 bis 1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4 Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione degli artt. 12 preleggi e 127 l. fall., per aver la Corte territoriale affermato che, in virtù di un’interpretazione estensiva della categoria dei soggetti per i quali non opera il divieto di cui al suddetto art. 127, comma 7, l.fall. tra i cessionari dei crediti acquisiti successivamente alla dichiarazione di fallimento ammessi al voto vi fossero anche le società di cartolarizzazione.
L’ente territoriale si duole, dunque, del fatto che la Corte d’Appello abbia ritenuto erronea la decisione del Tribunale nel considerare inefficace il voto negativo espresso dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, lamentando che il decreto impugnato fosse malamente fondato su un’interpretazione estensiva della norma in questione, a fronte del chiaro dettato dell’art. 127 l. fall. (che nella versione successiva alla modifica del 2006, dispone che: « i trasferimenti dei crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono diritto di voto, salvo che siano effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari ») che non include tra i cessionari del credito legittimati al voto le società di cartolarizzazione.
Soggiunge il ricorrente che, da un lato le norme indicate dalla Corte territoriale in tema di società di cartolarizzazione non sono decisive per la equiparazione agli intermediari finanziari e, dall’altro, il legislatore ha sempre riservato alle suddette società una posizione subordinata e secondaria rispetto a quella degli intermediari di cui
all’art. 106 TUB, sia nella materia delle agevolazioni fiscali, sia in ordine alla rischiosità delle operazioni stesse di cartolarizzazione.
4.1 Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 115 l. fall., per avere la Corte d’Appello affermato che, ai fini del diritto di voto, fosse irrilevante il rispetto delle formalità di cui al predetto articolo in ordine all’attribuzione delle quote di riparto, presupponenti la tempestiva comunicazione della cessione unitamente alla relativa documentazione, recanti le sottoscrizioni autenticate delle parti. In particolare, il ricorrente adduce che le variazioni dello stato passivo connesse alle cessioni dei crediti presuppongono necessariamente il rispetto delle formalità suddette, coesistendo altrimenti due differenti stati passivi (uno relativo agli aventi diritto al voto e l’altro per tutti gli altri fini), non essendo a tal scopo sufficiente la comunicazione ex art. 58 TUB (riguardo alle cessioni in blocco), avvenuta nella specie, che non consente l’identificazione dei crediti ceduti, come pronunciato dal Tribunale con statuizione non impugnata.
Sostiene, infine, la ricorrente, che l’affermazione della Corte, la quale ha censurato la decisione del Tribunale laddove ha escluso la validità e l’efficacia del voto della cedente, non ha tenuto conto della circostanza accertata dallo stesso giudice di secondo grado, secondo cui l’originario creditore aveva compiuto un trasferimento intermedio alla JInvest e, quest’ultima, immediata dante causa dell’ultima cessionario non aveva espresso un’ autonoma manifestazione di voto.
4.2 Il primo motivo del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE oppone violazione degli artt. 12 e 14 disp. att. c.c., 127 comma 7 l.fall., in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 c.p.c.: la Corte milanese sarebbe incorsa in una palese violazione dei criteri ermeneutici che consentono di ricercare la volontà del legislatore solo nel caso in cui il dato letterale della norma non sia di per sé sufficiente ad individuare in modo chiaro e univoco il significato e la
portata della norma stessa. A fronte del chiaro tenore letterale dell’art 127 comma 7 l.fall., privo di alcuna ambiguità semantica, i giudici di seconde cure, nell’estendere l’applicazione della norma anche alle società di cartolarizzazione, avrebbero di fatto compiuto una inammissibile interpretazione analogica su una norma di carattere eccezionale in quanto derogativa del principio generale di non ammissibilità al voto dei soggetti che si sono resi cessionari di crediti successivamente alla dichiarazione di fallimento.
Il Fallimento, infine, evidenzia che il legislatore del 2006 nel restringere la possibilità di voto alle sole Banche o agli altri intermediari finanziari cessionari di credito ha inequivocabilmente inteso limitare tale diritto a soggetti in grado di offrire garanzie di correttezza ed affidabilità ottenute grazie al rispetto delle condizioni per l’iscrizione ai sensi dell’art. 106 TUB.
4.3 Il secondo motivo di ricorso prospetta violazione e falsa applicazione dell’art.115 l.fall. in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello di Milano erroneamente ritenuto che il mancato rispetto delle formalità prescritte dalla norma, per la comunicazione di avvenuta cessione di un credito già ammesso allo stato passivo, non aveva determinato l’invalidità e l’inefficacia del dissenso espresso da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in sede di voto della proposta di concordato.
5.Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale del Fallimento sollevata dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE contrariamente a quanto dedotto da quest’ultima, i ricorsi contengono le indicazioni delle rationes decidendi dell’impugnato decreto e le censure non sono affatto generiche ma, in modo chiaro e specifico, mirano a contestare in fatto e diritto le argomentazioni spese dalla Corte d’Appello di Milano nel rispetto dei requisiti del ricorso previsti dall’art. 366 c.p.c.
6 Il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, da scrutinarsi congiuntamente, essendo gli stessi intimamente connessi, sono fondati.
6.1 Occorre preliminarmente ricostruire le vicende traslative dei crediti, della cui espressione di voto dei rispettivi titolari si controverte, così come accertate dalla Corte di merito.
Al momento della sottoposizione della proposta concordataria al voto dei creditori gli eventi successori dal lato attivo dei crediti e che qui interessano hanno avuto il seguente svolgimento: i) titolare del credito di € 8.757.192,68, era RAGIONE_SOCIALE, per averlo acquistato in data 16/7/2019 da RAGIONE_SOCIALE soggetto che aveva proposto domanda di ammissione al passivo e, a sua volta, si era reso cessionario del credito da BNP Paribas, primigenio creditore, in data 17/12/2015; ii) titolare del credito di € 1.425.089,72 era RAGIONE_SOCIALE, che lo aveva acquistato, in data 14/4/2020, da RAGIONE_SOCIALE, a sua volta cessionaria di RAGIONE_SOCIALE; a quest’ultima il credito era stato ceduto dall’originario titolare Banco BPM, creditore ammesso al passivo; iii) titolare del credito di € 3.077.682,01, all’inizio in capo a Credit Agricole (sebbene pacificamente per un errore mai rettificato nello stato passivo risulti creditore RAGIONE_SOCIALE) e successivamente ceduto, in data 16/12/2020, a RAGIONE_SOCIALE era RAGIONE_SOCIALE per averlo acquistato da J-Invest in data 29/12/2020.
Sempre secondo quanto ricostruito dalla Corte di Appello di Milano: « Entro il termine dell’11 gennaio 2021, fissato dal Giudice delegato per la presentazione di dichiarazioni di dissenso, comunicavano il loro voto contrario alla proposta di concordato fallimentare:1) con riferimento al credito di euro 8.757.192,68 NPL Italy, destinataria della comunicazione del curatore, e NPL Europe; 2) con riferimento al credito di euro 1.425.089,72 NPL Europe, che aveva ricevuto la comunicazione da parte del curatore, e NPL Italy; 3) con riferimento al credito di euro 3.077.682,01 Credit Agricole e NPL Italy » .
Era, quindi, fuori discussione che i creditori RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE che hanno esercitato il diritto di voto dissenziente per il tramite della mandataria RAGIONE_SOCIALE si sono resi cessionari di crediti chirografari successivamente alla dichiarazione di fallimento.
Così come è altrettanto pacifico che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sono ‘società veicolo finanziarie coinvolte in operazioni di cartolarizzazione’ non iscritte all’albo degli intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB.
6.2 Ciò premesso, viene posta la questione della legittimazione al voto nel concordato delle società di cartolarizzazione per effetto della cessione in blocco dei crediti. L’art 127 comma 4 l.fall., nella sua originaria versione, stabiliva « I trasferimenti di crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono diritto di voto ». L’art. 117 del d.lvo 5/2006 ha modificato l’art. 127 l.fall., che secondo la nuova formulazione, al comma 7, ora dispone: « i trasferimenti di crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono diritto di voto, salvo che siano effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari ».
6.3 La Corte distrettuale ha compiuto una operazione di esegesi normativa che ha condotto al risultato dell’estensione della portata derogativa della norma al divieto di voto dei cessionari dei crediti anche alle società di cartolarizzazione.
La soluzione interpretativa di assimilare le società di cartolarizzazione agli ‘altri intermediari finanziari’ e, dunque, di ammetterle voto, trova fondamento, a giudizio della corte milanese, nelle caratteristiche e nelle garanzie di professionalità, specializzazione e capacità patrimoniali offerte dalle società di cartolarizzazione, elementi che neutralizzerebbero i rischi di operazioni fraudolente sottese alla ratio del divieto di voto imposto dalla norma.
6.4 Il Collegio non condivide la scelta ermeneutica additiva della categoria dei soggetti per i quali non opera il divieto di cui all’art.
12, comma 7 l.fall., per come compiuta dalla Corte d’Appello di Milano.
6.5 Va chiarito che il thema decidendum , così come perimetrato dalle argomentazioni contenute nei motivi del ricorso principale e incidentale, non riguarda la questione (sulla quale diffusamente il Sostituto procuratore generale si è soffermato nella requisitoria scritta) della ammissibilità in astratto dell’interpretazione estensiva avente ad oggetto una norma eccezionale, principio che l’amministrazione comunale e il Fallimento non hanno messo in discussione, limitandosi ad affermare la natura eccezionale della deroga prevista dall’art. 127 comma 7 ed il conseguente divieto di analogia, ma attiene piuttosto alla corretta applicazione dei criteri ermeneutici delle norme giuridiche nell’ordine in cui sono elencati dall’art. 12 disp. att. c.c., con particolare riferimento al criterio letterale.
6.6 Orbene, a mente dell’art. 12 disp. att. c.c. « nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore ».
La predetta disposizione esprime, dunque, il fondamentale canone ermeneutico secondo cui la norma giuridica deve essere interpretata innanzi tutto e primariamente dal punto di vista letterale.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma così come inequivocabilmente espressa dal legislatore.
Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all’interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa (cfr. tra le tante Cass. n. 31470/2021, 27784/2021, 24165/2018; 5821/ 2001; 2533 /1970).
6.7 Nel caso di specie, chiaro, univoco, e privo di ambiguità appare l’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 127 l.fall. nell’attribuire il diritto di voto alle sole ‘banche o altri intermediari finanziari’, in deroga al divieto di voto sancito nella prima parte della stessa disposizione, per creditori resisi cessionari dei crediti dopo la dichiarazione di fallimento.
Si tratta di una precisa e ristretta categoria di soggetti -banche ed intermediari finanziari -la cui generale nozione tecnico-giuridica è ben chiarita e scolpita nell’art. 1, co. 2, TUB, che, fornendo le definizioni rilevanti dispone: «g) intermediari finanziari: soggetti iscritti nell’elenco previsto dall’art. 106 » e nell’art. 106 1 comma TUB, a tenore del quale « l’esercizio nei confronti del pubblico delle attività di concessione dei finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito Albo tenuto dalla Banca d’Italia ».
L’art. 2 del Regolamento recante norme in materia di intermediari finanziari in attuazione degli articoli 106, comma 3, 112, comma 3, e 114 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché dell’articolo 7-ter, comma 1-bis, della legge 30 aprile 1999, n. 130 prevedono che « per attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma. Tale attività comprende, tra l’altro, ogni tipo di finanziamento erogato nella forma di: a) locazione finanziaria; b) acquisto di crediti a titolo oneroso;c) credito ai consumatori, così come definito dall’articolo 121, t.u.b.; d) credito ipotecario; e) prestito su pegno; f) rilascio di fideiussioni, avallo, apertura di credito documentaria, accettazione, girata, impegno a concedere credito, nonché ogni altra forma di rilascio di garanzie e di impegni di firma ».
6.8 Da tale qualificazione come attività di intermediazione discende l’obbligo dell’iscrizione all’Albo ex art. 106 TUB con la conseguente soggezione alla vigilanza della Banca d’Italia e alle correlate prescrizioni regolamentari dell’assetto organizzativo interno.
In particolare, l’iscrizione all’Albo 1) implica la dotazione di un determinato capitale sociale, ben superiore al minimo legale previsto dal codice civile (art. 107, comma 1, lett. c, TUB); 2) richiede una struttura organizzativa da sottoporre a controllo (art. 107, comma 1, lett. d, TUB); 3) esige la sussistenza, in capo ai titolari delle partecipazioni nella società, dell’autorizzazione all’acquisto e dei requisiti (anche di onorabilità) previsti dalla legge per gli istituti di credito (art. 107, comma 1, lett. e, TUB); 4) impone la sussistenza, in capo ai soggetti che esercitano l’attività di amministrazione, direzione e controllo della società, dei requisiti di onorabilità, professionalità e competenza previsti dalla legge per gli esponenti aziendali delle banche (art. 110 TUB); 5) comporta la sottoposizione ai poteri di vigilanza da parte della Banca d’Italia previsti dalla legge (art. 108 TUB).
Il fine di tale sistema di controllo e vigilanza sugli intermediari finanziari non bancari, esercitato conformando la struttura organizzativa ed elevando i requisiti patrimoniali, non è solo quello di garantire e rafforzare la stabilità dei mercati, ma anche quello di assicurare trasparenza dei servizi bancari e finanziari.
6.9 La disciplina della cartolarizzazione dei crediti, meccanismo che prevede la cessione in blocco a titolo oneroso dei crediti a società, appositamente create, che per finanziare l’acquisto di tali crediti e pagare i costi dell’operazione emettono titoli rappresentativi dei medesimi crediti, è contenuta nel d.lvo 130/1999.
L’art. 3 comma del d.lvo citato, così come modificato dall’art. 9 comma 3 d.lvo 141/2010, prevede che il soggetto cessionario dei crediti cartolarizzati debba costituirsi in forma di società di capitali (‘società veicolo’ o ‘SPV’) senza fissazione del capitale minimo diverso da quello previsto dal codice civile e senza alcuna forma di controllo e/o vigilanza né partecipativa, né gestionale, né organizzativa, né di dotazione di capitale (salvo quello ordinario).
Sono solo previsti dalla suindicata disposizione gli obblighi di segnalazione per finalità statistiche o altri eventuali obblighi al fine di censire la posizione debitoria dei soggetti cui i crediti si riferiscono che tuttavia non si traducono in alcuna norma di controllo o verifica preventiva dell’attività.
Non vale a giustificare l’operazione di equiparazione delle società di cartolarizzazione gli intermediari finanziari la disciplina contenuta nell’art. 3 d.l. n.18 del 2016 che prevede un sistema di garanzia statale sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti deteriorati soggetto a specifico termine individuato dallo stesso articolo 3, eventualmente rinnovabile.
E’, inoltre, del tutto irrilevante il richiamo operato dalla Corte al Regolamento UE 2017/2402, che mira a tutelare il diritto di informazione dei soggetti cui l’operazione di cartolarizzazione si
rivolge e che dunque nulla ha a che vedere con la tutela dei diritti (tutela della massa) che vengono oggi in discussione.
6.10 Il d.lvo n. 130/1999 in plurime disposizioni normative evidenzia la netta distinzione tra società di cartolarizzazione e la figura dell’intermediario finanziario.
Si possono citare l’art. 1 che riconosce la possibilità per la società di cartolarizzazione di concedere finanziamenti a beneficiari da individuare da banche o intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all’art. 106 TUB, l’art. 2 commi 3 e 6 che consente l’offerta da parte della SPV dei titoli a investitori professionali ma la riscossione dei crediti viene affidata a banche o intermediari iscritti ai sensi dell’art. 106 TUB. La distinzione tra società di cartolarizzazione e intermediari finanziari è poi ribadita all’art. 7 del d.lvo citato.
6.11 Né l’inciso ‘altri’ posto immediatamente prima della locuzione ‘intermediari finanziari’ autorizza, come sostiene la controricorrente RAGIONE_SOCIALE, una interpretazione estensiva che includa nella categoria degli intermediatori entità ulteriori e diverse da quelle che nelle disposizioni del TUB rinvengono la propria disciplina.
E’ infatti di intuitiva evidenza che la complessiva frase ‘altri intermediari finanziari’ va letta nel senso che gli intermediari finanziari sono altri rispetto alle banche, sebbene proprio come queste svolgano, fra l’altro, attività di erogazione di finanziamenti al pubblico ed hanno l’obbligo d’iscriversi nell’albo istituito ai sensi dell’art. 106 TUB.
6.12 Non può, quindi, seriamente dubitarsi che il legislatore del 2006, nel modificare l’art. 127 l.fall. circoscrivendo la legittimazione al voto nel concordato fallimentare ai soli cessionari dei crediti rappresentati dalle Banche e agli altri intermediari, avesse piena e precisa contezza della ontologica diversità tra intermediario e società di cartolarizzazione.
La disciplina dei requisiti soggettivi per l’esercizio del voto nel concordato fallimentare non ha del resto subito variazioni neanche a seguito dei reiterati interventi modificativi del d.lvo n. 130/99 ed è stata integralmente confermata dal codice della crisi all’art. 243 d.lvo n. 14/2019, disposizione non mutata neanche dai correttivi seguenti; segnale inequivocabile, secondo il Collegio, della volontà di mantenere separato il trattamento degli ‘altri intermediari finanziari’ rispetto al trattamento della diversa categoria delle SPV.
6.13 La corte distrettuale è, quindi, incorsa in una evidente forzatura ermeneutica nell’estendere il diritto di voto anche alle società di cartolarizzazione, equiparando quindi banche e intermediari finanziari alle SPV, quando invece il dato letterale della norma circoscrive chiaramente ed inequivocabilmente l’esercizio di tale diritto alla sola categoria dei cessionari costituita da Banche e altri intermediari finanziari.
6.14 Ma anche ove si volesse andare oltre la soglia dell’interpretazione letterale e scrutare la mens legis di tale disposizione normativa, va rilevato come sia certamente condivisibile quanto affermato dalla Corte distrettuale che individua la ragione del divieto di voto dei cessionari di credito postfallimento ‘ nell’esigenza di prevenire voti pilotati e dunque di impedire che vengano attuate successioni nella titolarità dei crediti dettate da manovre puramente speculative, lesive dell’interesse della massa dei creditori …. e di impedire che, attraverso trasferimenti fraudolenti o fittizi dei crediti, possano venire alterate le maggioranze di voto ‘ .
6.15 E’, tuttavia, evidente come la rilevante deroga all’esclusione dal voto dei cessionari che hanno acquistato crediti dopo la dichiarazione di fallimento, prevista a beneficio delle Banche e degli intermediari finanziari, si giustifica proprio nella scelta legislativa di rendere protagonista il sistema bancario e finanziario controllato
nella gestione negoziale dell’insolvenza sul presupposto che tali operatori economici, essendo appunto sottoposti a penetranti vincoli di vigilanza e controllo pubblico, offrono adeguate garanzie di affidabilità e correttezza idonee a sterilizzare o quanto meno contenere il rischio di manovre speculative e fraudolente sui voti; caratteristiche soggettive ottenute grazie al rispetto delle condizioni per l’iscrizione ai sensi dell’art. 106 TUB. che evidentemente le società veicolo della cartolarizzazione, pur essendo entità che operano con una logica imprenditoriale nel mercato dei crediti, per le ragioni sopra esposte, non sono in grado di offrire.
6.16 Non convince, quindi, l’affermazione della Corte secondo cui la mancata inclusione nel novero degli intermediari finanziari delle SPV « significherebbe impedire la fattiva partecipazione al concordato fallimentare proprio dei soggetti che professionalmente si occupano del mercato dei crediti deteriorati andando così contro corrente rispetto a quella che è, all’evidenza, l’intenzione del legislatore sottesa sia alla norma fallimentare che all’intero assetto regolamentare delle cartolarizzazioni ».
Alle società di cartolarizzazione non è preclusa la possibilità di operare quale intermediario finanziario ottenendo tale status professionale, soggetto a costante controllo, mediante l’iscrizione all’Albo previsto dall’art. 106 TUB e, conseguentemente, manifestare il diritto di voto in un concordato fallimentare pur avendo acquistato i crediti dopo la dichiarazione di fallimento.
6.17 In conclusione occorre fissare il seguente principio di diritto: «il tenore inequivocabile dell’art. 127 comma 7 l.fall., secondo il quale, nel concordato fallimentare, i trasferimenti dei crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono diritto di voto, salvo che siano stati effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari, osta alla spettanza di detto diritto anche ad una società di cartolarizzazione, regolamentata dalla legge n.130 del 1999, che esercita professionalmente attività di
‘acquisto in blocco’ dei crediti, allorquando la stessa non risulti iscritta nell’albo degli intermediari finanziari ex art.106 d.lvo. n. 395 del 1993».
7 Il secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale rimangono assorbiti.
8 Il provvedimento impugnato, dunque, deve essere cassato, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Milano, la quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione cui demanda anche la liquidazione delle spese del presente giudizio .
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio tenutasi in data 11