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Diritto di voto cartolarizzazione: la Cassazione nega

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3220/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di diritto fallimentare. La Corte ha negato il diritto di voto alle società di cartolarizzazione nei concordati fallimentari, qualora queste abbiano acquistato i crediti dopo la dichiarazione di fallimento e non siano iscritte nell’albo degli intermediari finanziari previsto dall’art. 106 del Testo Unico Bancario. La decisione si basa su un’interpretazione letterale e restrittiva della norma (art. 127 Legge Fallimentare), che concede una deroga al divieto di voto solo a banche e, appunto, agli ‘altri intermediari finanziari’ vigilati. Secondo la Suprema Corte, le società di cartolarizzazione, pur operando nel mercato dei crediti, non possiedono i requisiti di vigilanza e controllo richiesti dalla legge per essere equiparate a tali intermediari, escludendo quindi una loro partecipazione al voto sulla proposta di concordato. Questo chiarisce il perimetro del diritto di voto cartolarizzazione, privilegiando la stabilità e la prevenzione di manovre speculative.

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Diritto di Voto Cartolarizzazione: La Cassazione Limita la Partecipazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta sul diritto di voto cartolarizzazione nelle procedure di concordato fallimentare. Con la pronuncia n. 3220 del 2025, la Suprema Corte ha stabilito che le società di cartolarizzazione che acquistano crediti dopo la dichiarazione di fallimento non possono votare sulla proposta di concordato, a meno che non siano iscritte nell’albo degli intermediari finanziari ex art. 106 del Testo Unico Bancario (TUB). Questa decisione ribalta un precedente orientamento estensivo e riafferma un’interpretazione rigorosa della legge.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dalla procedura fallimentare di una società. Un Comune aveva presentato una proposta di concordato per risolvere la crisi. Diverse società di cartolarizzazione, che avevano acquistato in blocco un cospicuo pacchetto di crediti chirografari dopo l’apertura del fallimento, avevano espresso voto contrario, rappresentando circa il 70% dei creditori di una specifica classe. Il Tribunale, in prima istanza, aveva escluso la validità di questi voti, omologando il concordato. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva riformato la decisione, ritenendo che le società di cartolarizzazione dovessero essere equiparate agli “altri intermediari finanziari” e, quindi, ammesse al voto. Contro questa decisione, il Comune e il Fallimento hanno proposto ricorso in Cassazione.

L’Interpretazione sul Diritto di Voto Cartolarizzazione

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione dell’art. 127 della Legge Fallimentare. Questa norma stabilisce una regola generale: i trasferimenti di crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono al nuovo creditore (cessionario) il diritto di voto. La stessa norma, però, prevede un’eccezione cruciale: il divieto non si applica se la cessione avviene a favore di “banche o altri intermediari finanziari”.

La Corte d’Appello aveva adottato un’interpretazione estensiva, sostenendo che le società di cartolarizzazione, operando professionalmente nel mercato dei crediti deteriorati, offrissero garanzie di affidabilità simili a quelle degli intermediari vigilati, giustificandone l’inclusione nella deroga. La Cassazione ha respinto categoricamente questa visione.

La Posizione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha invece privilegiato un’interpretazione letterale e rigorosa della norma. Secondo i giudici di legittimità, la nozione di “altri intermediari finanziari” non è generica, ma si riferisce in modo specifico ai soggetti iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del Testo Unico Bancario. L’iscrizione a tale albo non è una mera formalità, ma presuppone il rispetto di stringenti requisiti patrimoniali, organizzativi e di onorabilità, oltre alla soggezione alla vigilanza della Banca d’Italia.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione tra la disciplina delle società di cartolarizzazione (legge n. 130/1999) e quella degli intermediari finanziari (TUB). Le prime, definite “società veicolo” (SPV), possono essere costituite con un capitale minimo e non sono soggette a una vigilanza penetrante come quella prevista per gli intermediari iscritti all’albo. La loro funzione è quella di acquistare crediti e finanziarsi tramite l’emissione di titoli, ma non sono sottoposte allo stesso sistema di controlli e garanzie.

La ratio del divieto di voto, spiega la Corte, è quella di prevenire “voti pilotati” e manovre speculative che potrebbero alterare le maggioranze e ledere l’interesse della massa dei creditori. L’eccezione a favore di banche e intermediari vigilati si giustifica proprio perché questi soggetti, essendo sottoposti a un rigido controllo pubblico, offrono garanzie di affidabilità e correttezza che sterilizzano tali rischi. Le società di cartolarizzazione, non essendo soggette a questo regime, non possono beneficiare della stessa eccezione.

La Corte ha quindi affermato che estendere il diritto di voto alle SPV non iscritte all’albo costituirebbe una “forzatura ermeneutica” non consentita, poiché il legislatore ha deliberatamente circoscritto la deroga a una categoria precisa e ontologicamente diversa di soggetti.

Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha fissato il seguente principio di diritto: il tenore inequivocabile dell’art. 127, comma 7, della Legge Fallimentare osta al riconoscimento del diritto di voto a una società di cartolarizzazione che abbia acquistato crediti dopo la dichiarazione di fallimento, qualora essa non sia iscritta nell’albo degli intermediari finanziari ex art. 106 del d.lgs. n. 385/1993. La sentenza ha quindi cassato il decreto della Corte d’Appello, rinviando la causa per un nuovo esame che dovrà attenersi a questo principio. La decisione rafforza la centralità del sistema di vigilanza bancaria come presidio contro operazioni speculative nelle procedure concorsuali e chiarisce in modo definitivo i limiti del diritto di voto cartolarizzazione.

Una società di cartolarizzazione che acquista crediti dopo la dichiarazione di fallimento ha diritto di voto nel concordato fallimentare?
No, secondo la Corte di Cassazione non ha diritto di voto, a meno che non sia iscritta nell’albo degli intermediari finanziari previsto dall’articolo 106 del Testo Unico Bancario.

Perché le società di cartolarizzazione non sono considerate ‘altri intermediari finanziari’ ai fini del diritto di voto?
Perché la nozione di ‘intermediari finanziari’ si riferisce specificamente ai soggetti iscritti all’albo ex art. 106 TUB, i quali sono sottoposti a stringenti requisiti e alla vigilanza della Banca d’Italia. Le società di cartolarizzazione, pur operando nel mercato dei crediti, seguono una disciplina diversa (L. 130/1999) che non prevede lo stesso livello di controllo e garanzie.

Qual è la ragione principale del divieto di voto per i crediti ceduti dopo il fallimento?
La ragione principale è prevenire manovre speculative e ‘voti pilotati’, impedendo che, attraverso trasferimenti di crediti fraudolenti o fittizi, possano essere alterate le maggioranze necessarie per l’approvazione del concordato, a danno dell’interesse collettivo dei creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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