Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15906 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15906 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22307/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 4237/2018, pubblicata il 20/06/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME; lette le memorie depositate da entrambe le parti.
PREMESSO CHE
NOME COGNOME, nonché NOME, NOME e NOME COGNOME citavano in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che fosse ordinato al convenuto di demolire il manufatto realizzato sul terrazzo annesso all’appartamento di sua proprietà, sottostante a quello di proprietà di essi attori (sito in Roma, INDIRIZZO, al terzo piano dello stabile), e costituito da tralicci di metallo e da una copertura in legno e plastica, in quanto realizzato in violazione delle norme sulle distanze oltre ad essere lesivo delle norme di buon vicinato.
Si costituiva il suddetto convenuto, deducendo l’inapplicabilità delle norme sulle distanze in tema di rapporti tra condomini.
La domanda veniva rigettata dal l’adito Tribunale di Roma, con sentenza n. 6970/2012.
La sentenza era impugnata dagli attori soccombenti.
La Corte d’appello di Roma con la sentenza 20 giugno 2018, n. 4237 -accoglieva il gravame, accertando l’illegittimità del manufatto realizzato dal convenuto RAGIONE_SOCIALE e ordinandone la demolizione a spese dello stesso.
Secondo la Corte territoriale, il primo giudice -pur qualificando correttamente il manufatto oggetto di controversia come costruzione -aveva operato un indebito bilanciamento tra il diritto alla privacy del convenuto e il diritto alla veduta spettante agli altri condomini ed era pervenuto a conclusioni non condivisibili sulla recessività del diritto di veduta (art. 907 c.c.) rispetto al prevalente
interesse alla privacy; dalla consulenza tecnica d’ufficio e dai relativi allegati fotografici risultava inoltre -ad avviso della stessa Corte -la sussistenza del pregiudizio alla sicurezza della proprietà degli attori, poi appellanti.
Avverso la citata sentenza di appello l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione.
Hanno resistito con un congiunto controricorso NOME COGNOME, nonché NOME, NOME e NOME COGNOME.
Il ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza.
CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo denuncia la ‘falsa applicazione degli artt. 907 e 873 c.c., in materia di distanze delle costruzioni tra fondi finitimi e diritto di veduta, sul presupposto della inderogabilità del diritto di veduta in appiombo e conseguente violazione dell’art. 1102 c.c., norma speciale applicabile in tema di uso più intenso della cosa comune in condominio di edifici, con ritenuta irrilevanza del giudizio di bilanciamento in ambito condominiale e contemperamento tra opposte esigenze dei condomini (diritto alla privacy e diritto di veduta), pur in assenza di lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale e pur in presenza del rispetto da parte del condomino che si è servito della cosa comune dei requisiti previsti dall’art. 1102 c.c. (mancata alterazione della destinazione della cosa comune e non impedimento dell’uso analogo secondo diritto degli altri partecipanti)’.
Secondo la prospettazione dei ricorrenti la fattispecie dedotta in causa andrebbe ricondotta a quella dell’uso più intenso della cosa comune da parte di uno dei condomini, uso più intenso che non altera la destinazione della cosa e non ne impedisce il pari uso degli altri condomini, nel mentre la Corte d’appello aveva applicato la normativa sulle distanze e vedute, ritenendo, invece, inapplicabile
la normativa speciale di cui all’art. 1102 c.c., ponendosi così in contrasto con la giurisprudenza di legittimità.
Il motivo non è fondato.
Il giudice di secondo grado ha, infatti, correttamente seguito l’orientamento di questa Corte, alla stregua del quale ‘i l proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà e alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza e il valore sociale espresso dal diritto di veduta, poiché luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita’ (così Cass. n. 955/2013 e, da ultimo, Cass. n. 5732/2019).
Come r isulta univocamente accertato in fatto, le due unità immobiliari di proprietà delle parti sono sì ubicate in un condominio, ma il manufatto di cui si denuncia l’illegittimità è stato posto a copertura di un’area scoperta di pertinenza della proprietà esclusiva del ricorrente e il diritto di veduta di cui si lamenta la violazione pertiene all’appartamento in proprietà esclusiva dei controricorrenti, così che il conflitto si pone non tanto tra diversi diritti di uso della cosa comune tra condomini (l’ancoraggio del manufatto al muro condominiale non è, infatti, oggetto di contestazione), ma tra diritti spettanti alle proprietà esclusive dei contendenti.
Alla controversia, pertanto, deve essere applicata la disciplina prevista dall’art. 907 c.c., e ciò in conformità della giurisprudenza più recente di questa Corte, puntualmente richiamata dalla sentenza impugnata (v., in particolare, la cit. Cass. n. 955/2013, secondo cui il proprietario del singolo piano di un edificio
condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino -in quel caso un pergolato realizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento -che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto).
Va, poi, sottolineato come la Corte d’appello abbia – con valutazione di merito insindacabile in questa sede -accertato, sulla base della consulenza tecnica d’ufficio e dei relativi allegati fotografici, che la realizzazione della copertura rende, in via potenziale, più agevole l’accesso -ad opera di terzi -all’appartamento dei controricorrenti, con pregiudizio alla sicurezza della loro proprietà (diminuendo l’originaria distanza di oltre 4 metri dalla terrazza in questione alle finestre dell’appartamento sovrastante, risultanti di seguito ridotti a un metro e mezzo stante l’altezza fissa di quasi tre metri).
Il secondo motivo deduce la ‘violazione dell’art. 115 c.p.c., errore di percezione consistente nella omessa ricognizione della dimostrazione del fatto storico della presenza di un vuoto di molti metri esistente tra la terrazza e altro possibile illecito accesso, discusso tra le parti e utilizzato dal giudice di prime cure quale convincimento per escludere la violazione del paventato pregiudizio alla sicurezza privata degli attori, con conseguente erronea ricognizione di tale pregiudizio’.
Anche questo motivo, proposto ‘per mero scrupolo di toga’ (come sottolineato a pag. 7 del ricorso), non può essere accolto.
La Corte d’appello nell’affermare quanto si è già in precedenza ricordato, ossia che la realizzazione della copertura rende più agevole l’accesso all’appartamento dei controricorrenti, si fonderebbe sull’erronea percezione dell’allegato 4 della consulenza tecnica d’ufficio (e precisamente di una fotografia), che’
rappresenta proprio un vuoto di molti metri tra la terrazza e l’altro possibile illecito accesso alla medesima’.
Così impostata è agevole rilevare che con la censura si tende a contestare l’erronea valutazione della prova da parte del giudice di merito, sollecitando quindi un inammissibile riesame della medesima da parte di questa Corte di legittimità (v. al riguardo, ex multis , Cass. n. 37382/2022), senza contare che la Corte d’appello ha evidenziato – come già posto in risalto -la risultante diminuita distanza rispetto all’appartamento di proprietà dei controricorrenti a seguito della costruzione della copertura, distanza ridotta a un metro e mezzo, e non della distanza tra la terrazza del ricorrente e gli altri edifici.
Il terzo motivo fa valere la violazione dell’art. 91 c.p.c. per ‘irriducibile contraddittorietà’ della motivazione in punto di condanna al pagamento delle spese del doppio di giudizio.
Pure questo motivo è infondato.
Ad avviso del ricorrente la motivazione della sentenza impugnata sarebbe irriducibilmente contraddittoria perché da un lato riconosce che il ricorrente è risultato vittorioso in primo grado e dall’altro lato lo ha condannato al pagamento delle spese del giudizio di primo grado.
Senonché, è palese che il ricorrente non considera che la sentenza d’appello ha totalmente riformato la sentenza di primo grado e ha accolto la domanda proposta dagli odierni controricorrenti (già appellanti), così che -correttamente attribuendo le spese in base all’esito complessivo della lite (alla luce del pacifico orientamento della giurisprudenza di questa Corte) -lo ha condannato a pagare le spese dei due gradi di giudizio.
II. Il ricorso va, in definitiva, rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Dà atto della sussistenza, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘ adunanza camerale della Sezione