Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4816 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 4816 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso 35107-2018 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, difesi e rappresentati dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME del foro di Genova, con procura speciale in calce al ricorso, ed
elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME in Grassi, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, entrambi del foro di Genova, e NOME COGNOME del foro di Roma, con procura speciale in calce al controricorso ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di quest’ultimo, INDIRIZZO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1526/2018 pubblicata il 18 ottobre 2018 e notificata il 24 ottobre 2018;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16 maggio 2023 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, visto l’art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto sia del ricorso principale sia di quello incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 12 giugno 2009 NOME COGNOME, quale proprietaria, con atto notaio COGNOME del 23.12.1969, dell’appartamento sito in Genova INDIRIZZO, INDIRIZZO, posto al primo piano, evocava, dinanzi al Tribunale di Genova, NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di immobile confinante con quello attoreo attraverso un cortiletto, sito in INDIRIZZO, acquistato con atto notaio COGNOME del 04.05.2006, assumendo che l’affaccio sulla parete ovest della propria abitazione presentava tre ampie finestre che davano luce e aria, consentendo l’affaccio sul detto cortiletto/distacco gravato da servitù di vista; aggiungeva che nel corso dell’anno 2008 i convenuti avevano installato una grossa scala metallica, con pianerottolo sulla sommità, fissata al pavimento del distacco e al prospetto condominiale, con paratia di protezione verticale verso la sua proprietà, che distava circa metri 1,5 dalle sue finestre, in violazione dell’art. 907 c.c.; chiedeva, pertanto, che venisse accertata la violazione delle distanze da parte della scala metallica, con condanna dei convenuti alla demolizione e ove possibile all’arretramento a metri 3 dalle sue finestre.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, il giudice adito, espletata istruttoria, con sentenza n. 1644 del 2013, rigettava integralmente le domande attoree.
In virtù di appello interposto dalla COGNOME, la Corte di appello di Genova, nella resistenza degli appellati, in parziale
accoglimento del gravame e in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava che la scala metallica in contesa violava le distanze di cui all’art. 907 c.c. e condannava gli appellati a demolirla ovvero, qualora possibile, ad arretrarla a metri tre, respinta la domanda di risarcimento dei danni, compensate le spese di lite per i due gradi per il 40%, poste per il resto a carico degli appellati.
A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale evidenziava che dalle prove assunte risultava accertata l’esistenza del diritto di veduta, sulla base del titolo di acquisto da parte della COGNOME, peraltro confermata dall’eccezione di prescrizione del diritto per non uso ultraventennale.
Inoltre, dalle prove testimoniali escusse emergeva che la scala in contestazione era stata costruita nel 2007 in legno e nel 2009 in metallo e costituiva una nuova costruzione rispetto alla precedente ‘scala di legno marcia che non era utilizzabile’. Aggiungeva che non poteva trovare accoglimento la domanda di risarcimento dei danni per non avere offerto al giudice alcun elemento di giudizio per la sua quantificazione.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Genova hanno proposto ricorso per cassazione i COGNOME, sulla base di tre motivi, cui ha resistito la COGNOME con controricorso contenente anche ricorso incidentale affidato ad un motivo, da ritenersi condizionato per il restante motivo.
In prossimità della udienza pubblica è stata depositata dal sostituto procuratore generale, AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO,
memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto sia del ricorso principale sia di quello incidentale. Nei giorni seguenti ha curato il depositato di memoria ex art. 378 c.p.c. la sola controricorrente e ricorrente incidentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano la violazione dell’art. 907 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., per non avere la sentenza tenuto in debito conto che la veduta della finestra della COGNOME sul loro fondo per essere tale avrebbe dovuto essere acquistata in un momento anteriore al diritto di questi ultimi ad utilizzare l’uscita dal cancelletto su INDIRIZZO mediante una scala di legno o metallica, circostanza mai provata né dedotta dall’attrice. Del resto, l’appartamento della COGNOME era stato costruito contestualmente al distacco del loro immobile, con uscita pedonale su INDIRIZZO e l’utilizzo di siffatta uscita non può prescindere dall’esistenza di una scala per poter scendere nel distacco, che complessivamente ha una larghezza di metri 2,90. Al riguardo vengono richiamate pronunce di questa Corte in materia di distanze legali nei rapporti condominiali.
Con il secondo motivo viene lamentata la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., dell’art. 115 c.p.c. per omesso esame di elementi decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti, in particolare per avere la Corte territoriale fondato il proprio convincimento su dichiarazioni testimoniali completamente errate e/o inesistenti.
Al riguardo i ricorrenti fanno riferimento alle dichiarazioni dei testi NOME COGNOME, amministratore del condominio dal 1986 al 1995, NOME COGNOME, perito di parte convenuta, e NOME COGNOME, occupante appartamento posto in stabile che affaccia sul distacco in questione, riproducendole, nonché a quelle rese dai testi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, di cui il Giudice di appello non avrebbe tenuto conto.
I primi due motivi di ricorso vanno esaminati unitariamente in quanto vertono sulla medesima questione -l’accertamento della esistenza del diritto di veduta – seppure sotto diverse prospettazioni.
Essi sono fondati.
La questione di diritto che il Collegio è chiamato a risolvere riguarda la legittimità o meno della apertura di vedute su un cortile di proprietà esclusiva di un edificio che perciò ne risulti gravato, con la peculiarità che tra l’edificio nel quale è realizzata la veduta ed il cortile non esiste nessun rapporto di accessorietà.
La giurisprudenza di legittimità che si è formata ha avuto riguardo a fattispecie in cui il cortile è comune ai due edifici e in ordine al quale si sono registrate due posizioni: in una fattispecie ha escluso l’applicabilità dell’orientamento che in mancanza di una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il relativo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all’art. 1102, comma 1 c.c. (Cass. 14 giugno
2019 n. 16069; Cass. 26 febbraio 2007 n. 4386; Cass. 19 ottobre 2005 n. 20200), in difetto del presupposto della proprietà comune del cortile.
Accanto a tale impostazione si è affiancata altra, che, a ben vedere, meglio si collega alla peculiarità della fattispecie in esame, secondo cui, anche in caso di accertata comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorché fra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale, che costituisce il fondamento della condominialità dell’area scoperta, ai sensi dell’art. 1117 c.c., l’apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell’art. 905 c.c. Il partecipante alla comunione del cortile non può, in sostanza, aprire una veduta verso la cosa comune a vantaggio dell’immobile di sua esclusiva proprietà, finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico dell’edificio frontistante, applicabile ai rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite (Cass. 21 ottobre 2019 n. 26807; Cass. 4 luglio 2018 n. 17480; Cass. 21 maggio 2008 n. 12989; Cass. 20 giugno 2000 n. 8397; Cass. 25 agosto 1994 n. 7511; Cass. 28 maggio 1979 n. 3092). Quest’ultimo orientamento ha trovato conferma in una recente pronuncia (Cass. 11 marzo 2022 n. 7971), con la quale è stato evidenziato che si tratta di rapporti tra proprietà
individuali, anche se con beni comuni finitimi, che sono piuttosto disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite.
Del resto, il riconoscimento di un diritto di veduta comporta una permanente minorazione della utilizzabilità del bene che ne è gravato da parte di chiunque ne sia o ne divenga proprietario, con attribuzione all’edificio limitrofo di un corrispondente vantaggio che a questo finisce per inerire come qualitas , ossia con le caratteristiche di realità tali da inquadrarsi nello schema delle servitù.
Nel caso in esame, il giudice di merito ha applicato seccamente la norma di cui all’art. 907 c.c. senza prima accertare in fatto se la situazione obiettiva trovasse fondamento in una previsione pattizia a titolo derivativo (tramite contratto) o a titolo originario (tramite usucapione o destinazione del padre di famiglia), fondando il proprio convincimento sulla mera anteriorità dell’apertura che da sola non può costituire il diritto di veduta, ritenendo peraltro erroneamente ricorrere ipotesi di non contestazione (tacita) circa lo stato dei luoghi descritto nei titoli di acquisto, confermata dall’eccezione di prescrizione con effetto liberatorio; trattasi di accertamento necessario per poter eventualmente escludere, alla luce del citato principio di diritto affermato dal Collegio, l’applicazione delle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite per far posto all’utilizzo del cortile nei termini fatti valere dalla originaria attrice.
Si rende necessario, dunque, un nuovo esame degli elementi di giudizio che tenga conto dei rilievi sopra esposti.
Con il terzo motivo viene lamentata la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. per mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per avere la Corte distrettuale deciso su una parte della sentenza del giudice di prime cure non impugnata ed omessa pronuncia su domanda di parte appellata. Ad avviso dei ricorrenti il giudice di primo grado aveva riconosciuto nella parte motiva della pronuncia la fondatezza del loro diritto di transitare nel distacco in questione attraverso l’accesso pedonale di INDIRIZZO, come da domanda riconvenzionale spiegata, pur senza nulla esplicare al riguardo nel dispositivo, e su siffatta statuizione nulla era stato esposto nell’atto di appello, almeno nelle conclusioni; di converso il Giudice territoriale nel dichiarare l’inammissibilità del motivo di appello sul punto avrebbe sostenuto che la sentenza gravata non conteneva alcuna statuizione su tale punto, così omettendo di pronunciare anche sull’appello incidentale dei ricorrenti.
La censura è del tutto destituita di fondamento.
Nella sostanza la domanda riconvenzionale su cui i ricorrenti fondano la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. e sulla quale il giudice di appello non si sarebbe pronunciata parrebbe attenere all’accertamento di una servitù di passaggio su fondo di proprietà degli stessi originari convenuti, per essere il cortile che separa i fabbricati in questione di proprietà esclusiva degli stessi.
La sentenza invece correttamente non ha preso posizione sulla servitù esercitata sul cortile, ma si è concentrata unicamente sulla domanda attorea, non potendosi costituire alcuna servitù per il principio nemine res sua servit .
Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo viene lamentata la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 907, 1226 e 2043 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., per il mancato riconoscimento del risarcimento del danno subiti a causa della violazione delle distanze legali, danno che -data la natura dell’illecito avrebbe dovuto essere considerato in re ipsa e come tale non necessitava di dimostrazione alcune.
L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale comporta logicamente l’assorbimento del ricorso incidentale.
Con il secondo motivo, definito di ricorso incidentale condizionato, si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per avere dichiarato inammissibile il motivo di impugnazione proposto circa l’accertamento in primo grado del diritto dei convenuti di passaggio dalla loro proprietà attraverso l’accesso pedonale di INDIRIZZO.
Assorbito anche il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato alla luce delle argomentazioni esposte con riferimento al terzo motivo del ricorso principale.
In conclusione, accolti il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale e respinto il terzo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va
cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione che si pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e rigetta il terzo motivo del ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda