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Diritto di veduta e distanze: la Cassazione decide

In un caso riguardante la costruzione di una scala metallica a meno di tre metri dalle finestre di una proprietà vicina, la Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale sul diritto di veduta. La Corte ha stabilito che, prima di poter ordinare la rimozione di una costruzione per violazione delle distanze, è necessario accertare che il proprietario della finestra abbia un legittimo diritto di veduta, costituito come servitù per contratto, usucapione o altra modalità prevista dalla legge. La semplice esistenza di una finestra, anche da lungo tempo, non è di per sé sufficiente. La sentenza di appello, che aveva ordinato la rimozione della scala basandosi solo sulla violazione della distanza, è stata quindi annullata con rinvio per un nuovo esame.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Diritto di Veduta: la Cassazione stabilisce che la finestra non basta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4816/2024, interviene su un tema classico del diritto immobiliare: il diritto di veduta e il rispetto delle distanze legali. La decisione chiarisce un presupposto fondamentale che spesso viene dato per scontato: prima di poter lamentare la violazione della distanza da parte del vicino, è indispensabile dimostrare di essere titolari di una vera e propria servitù di veduta. Approfondiamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa: una scala contesa

La vicenda ha origine dalla controversia tra due proprietari di immobili confinanti. La proprietaria di un appartamento citava in giudizio i vicini, accusandoli di aver installato una scala metallica nel cortile di loro proprietà a una distanza di circa 1,5 metri dalle sue finestre, in violazione dell’art. 907 del Codice Civile, che impone una distanza minima di 3 metri.

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda, ma la Corte d’Appello ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado, infatti, ritenevano che la scala costituisse una nuova costruzione e, accertata l’esistenza del diritto di affaccio, ne ordinavano la demolizione o l’arretramento alla distanza legale.

La Decisione della Cassazione e l’importanza del diritto di veduta

I proprietari della scala hanno quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando che la Corte d’Appello avesse applicato erroneamente l’art. 907 c.c. Il loro argomento principale era che i giudici di merito avevano dato per scontata l’esistenza di un diritto di veduta a favore della vicina, senza che questa ne avesse mai provato la costituzione.

La Suprema Corte ha accolto questa tesi, ribaltando nuovamente il verdetto.

L’errore del Giudice di Merito

Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello ha commesso un errore di fondo: ha applicato la norma sulle distanze senza prima aver verificato il presupposto indispensabile, ovvero l’esistenza di una servitù di veduta. L’apertura di finestre che consentono di affacciarsi sul fondo altrui non è un diritto automatico, ma costituisce una servitù a carico della proprietà vicina. Come tale, deve essere stata costituita in uno dei modi previsti dalla legge: un contratto, l’usucapione (cioè il possesso per oltre vent’anni), o la cosiddetta ‘destinazione del padre di famiglia’.

Il Principio di Diritto Affermato

La mera anteriorità dell’apertura o il fatto che una finestra esista da tempo non sono sufficienti, da soli, a creare un diritto di veduta opponibile al vicino. Il giudice, prima di ordinare la rimozione di un’opera, deve accertare in fatto se la situazione trova fondamento in un titolo derivativo (contratto) o originario (usucapione). In assenza di tale prova, prevalgono le norme generali sui rapporti tra proprietà contigue.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il riconoscimento di un diritto di veduta comporta una ‘permanente minorazione della utilizzabilità del bene’ del vicino. Si tratta di un limite significativo al diritto di proprietà, che non può essere presunto. Applicare seccamente l’art. 907 c.c. senza questo accertamento preliminare significa violare i principi che regolano le servitù. Il giudice di merito si era limitato a fondare il proprio convincimento sulla ‘mera anteriorità dell’apertura’, ritenendola erroneamente non contestata, senza indagare sulla reale esistenza di un titolo costitutivo della servitù. Per questo, la sentenza è stata cassata con rinvio, affinché la Corte d’Appello, in diversa composizione, riesamini il caso attenendosi a questo principio.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale per chiunque si trovi in una situazione di conflitto tra vicini per questioni di finestre e costruzioni. Non basta avere una finestra che si affaccia sulla proprietà altrui per pretendere il rispetto della distanza di tre metri. È necessario poter dimostrare di essere titolari di un legittimo diritto di veduta, legalmente costituito. In mancanza di questa prova, il vicino potrebbe essere legittimato a costruire sul proprio fondo, pur nel rispetto delle altre normative edilizie. La decisione invita quindi a una maggiore cautela: prima di iniziare una causa, è fondamentale verificare l’esistenza e la validità del titolo su cui si fonda la propria pretesa.

Avere una finestra che si affaccia sul cortile del vicino è sufficiente per stabilire un diritto di veduta?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la semplice esistenza di una finestra, anche da molto tempo, non è di per sé sufficiente a costituire un diritto di veduta. Questo diritto deve essere formalmente stabilito tramite un titolo (come un contratto), per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.

Cosa deve dimostrare chi lamenta la violazione della distanza legale da una propria veduta?
Chi agisce in giudizio per far rispettare la distanza di tre metri prevista dall’art. 907 c.c. deve prima dimostrare di essere titolare di una servitù di veduta legalmente costituita. Senza questa prova preliminare, la domanda di rimozione della costruzione vicina non può essere accolta.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza perché il giudice d’appello ha applicato direttamente la norma sulle distanze (art. 907 c.c.) senza prima accertare se l’attrice avesse effettivamente un diritto di veduta legalmente valido. Ha dato per scontato un presupposto che, invece, doveva essere rigorosamente provato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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