Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12885 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12885 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14499/2020 R.G. proposto da : NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME difese dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 2414/2019 depositata il 18/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME con atto di citazione del 15/11/1999 innanzi al Tribunale di Cosenza, sezione distaccata di San Marco Argentano, domandando la demolizione di un manufatto realizzato da quest’ultimo in aderenza al pro prio fabbricato, il ripristino dello stato dei luoghi e il risarcimento dei danni. Deduceva che l’opera consisteva in una sopraelevazione
eseguita nel gennaio 1997 sul lastrico solare dell’immobile confinante, con innalzamento del muro fino a m. 4,00, attiguo alla terrazza del primo piano e al balcone del secondo piano della propria abitazione, determinando la perdita di luce, aria e vista panoramica verso INDIRIZZO e violando le distanze previste dall’art. 907 c.c.
Il convenuto si costituiva contestando la domanda, affermando la conformità dei lavori alla concessione edilizia n. 51 del 22/11/1996 rilasciata dal Comune di Roggiano Gravina e l’assenza di pregiudizio per la proprietà dell’attrice. Negava che le opere vi olassero le distanze e, in particolare, sosteneva che il balcone fosse preesistente e che si era limitato a installarvi una ringhiera. Il Tribunale, previa c.t.u., rigettava la domanda con sentenza n. 412/2002.
La NOME proponeva appello con atto del 29/01/2004, domandando la riforma della sentenza di primo grado e la condanna del Luciano alla demolizione delle opere ovvero, in subordine, al risarcimento dei danni da diminuzione di valore del proprio immobile, oltre interessi e rivalutazione. Il convenuto si costituiva sostenendo la legittimità delle opere, l’assenza di vedute lecit e sul proprio fondo e la possibilità di costruzione in aderenza per effetto dell’art. 877 c.c. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 234/2010, dichiarava la nullità della sentenza di primo grado per difetto del contraddittorio, rilevando che la proprietà del fabbricato costruito era in comunione tra NOME e la moglie NOME COGNOME e che sull’immobile dell’attrice insisteva l’usufrutto di NOME COGNOME e la nuda proprietà della figlia NOME COGNOME.
Il giudizio veniva riassunto con atto di citazione del 03/09/2010 nei confronti dei coniugi NOMECOGNOMECOGNOME. La NOME e la COGNOME domandavano la demolizione delle opere per contrasto con le norme urbanistiche e civilistiche sulle distanze e vedute, per la violazione della normativa antisismica e per il risarcimento dei danni. I convenuti si costituivano opponendosi alla c.t.u., sostenendo la
legittimità delle opere per effetto della concessione edilizia e l’assenza di pregiudizio alle attrici. Disposta ed espletata nuova c.t.u., il Tribunale di Cosenza, con sentenza n. 7/2013, accoglieva la domanda, condannando i convenuti alla demolizione delle opere, al ripristino dello stato dei luoghi e al pagamento di € 2.438,00 .
NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello con atto del 28/05/2013, censurando l’erroneità della sentenza per avere trascurato la validità della concessione edilizia, omesso di considerare la conformità delle opere al progetto, disatteso la precedente c.t.u., e pronunciato ultra petitum in ordine al risarcimento dei danni. Contestavano, inoltre, la violazione dell’art. 907 c.c., sostenendo che, trattandosi di costruzione in aderenza, trovasse applicazione l’art. 905 c.c. e non fosse invocabile i l principio della prevenzione. Le appellate si costituivano insistendo sulla violazione delle distanze legali, del piano di recupero del centro storico, della legge antisismica e dell’art. 907 c.c., e rivendicando la preesistenza delle vedute oggetto di lesione sin dal 1974. Chiedevano la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 2414/2019 pubblicata il 18/12/2019, accoglieva l’appello, riformava la decisione impugnata e rigettava sia la domanda principale di demolizione sia quella subordinata di risarcimento danni. La Corte negava la violazione del diritto di veduta, sulla premessa che il principio della prevenzione non si applica alla distanza di cui all’art. 905 c.c., la quale deve essere rispettata anche dal primo costruttore. Verificava che le attrici non avevano acquisito il diritto di veduta, avendo realizzato il proprio balcone a una distanza inferiore a m. 1,50 dal confine.
Ricorrono le attrici con tre motivi, illustrati da memoria. Rimangono intimati i convenuti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Si antepone l’esposizi one di tutti e tre i motivi che sono tra di loro strettamente collegati, anche per ciò che si argomenterà all’inizio del paragrafo n. 3 nel pronunciarsi su di loro.
– Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 873, 875, 900, 907 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. Si afferma che la costruzione realizzata dai convenuti costituisce una nuova costruzione, trattandosi di sopraelevazione su fabbricato preesistente e completato da tempo, e che pertanto è soggetta al rispetto della distanza legale di tre metri prevista dall’art. 873 c.c. Si censura la sentenza della Corte di appello per avere applicato erroneamente il principio della prevenzione e l’art. 875 c.c., legittimando l’edificazione in aderenza, mentre secondo giurisprudenza consolidata la prevenzione non si applica alle sopraelevazioni, che sono da considerarsi nuove costruzioni, e impongono il rispetto delle distanze. Si aggiunge che la Corte ha applicato la prevenzione alla distanza tra costruzioni ma non alla distanza delle vedute, determinando un’incongruenza logicogiuridica. Inoltre, si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte pronunciato su una questione (l’illiceità della veduta) che non era mai stata oggetto di domanda riconvenzionale. Infine, si deduce che la Corte non ha tenuto conto del possesso ultraventennale della veduta esercitata dal balcone e dal terrazzo, la cui esistenza sin dal 1974 è provata dagli atti (nota di trascrizione, perizia c.t.u., comportamento delle parti) e che avrebbe potuto determinare l’acquisto per usucapione del diritto di veduta. La Corte avrebbe così violato gli artt. 900 e 907 c.c., trascurando che la nuova costruzione ha occluso una veduta esistente, posta a distanza inferiore a m. 1,50, ma consolidata per effetto del tempo e mai impugnata.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 112 c.p.c., 2697 c.c., 9 n. 2 e 25 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444. Si censura la sentenza per non aver esaminato la questione della violazione della normativa antisismica, in particolare dell’art. 25 del d. m. 1444/1968
in tema di giunto tecnico obbligatorio nelle costruzioni in aderenza. Si assume che tale doglianza era stata dedotta già nell’atto di citazione in riassunzione e nella comparsa conclusionale, e che la Corte avrebbe dovuto esaminarla autonomamente anche se la domanda principale era stata rigettata. Si contesta inoltre l’omesso esame della violazione dell’art. 9 n. 2 del medesimo decreto, che impone il rispetto di una distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate, rilevante nel caso di specie perché la costruzione convenuta fronteggia una parete con balconi e terrazze.
Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 5 e 7 delle norme tecniche di attuazione del piano di recupero e del piano regolatore generale del Comune di Roggiano Gravina, nonché dell’art. 872 c.c. Si contesta che la Corte di appello, pur avendo accertato che le opere realizzate dai convenuti violavano le norme urbanistiche applicabili, abbia rigettato anche la domanda subordinata di risarcimento del danno. Si afferma che la sentenza contiene una contraddizione logica tra la motivazione, dove si dichiara assorbito il motivo relativo all’ultrapetizione, e il dispositivo, che rigetta anche la domanda subordinata. Si deduce che la Corte avrebbe dovuto invece accogliere tale domanda in applicazione dell’art. 872 c.c., che prevede la tutela risarcitoria in caso di costruzione contra legem anche indipendentemente dalla domanda di demolizione. Si richiama la giurisprudenza secondo cui la violazione delle norme urbanistiche legittima il terzo danneggiato a ottenere il risarcimento per la diminuzione del valore del l’immobile.
3.1. -Sui tre motivi di ricorso è necessario pronunciarsi contestualmente. La ragione di ciò coincide con la ragione per la quale il ricorso è da disattendere in ciascuno dei profili fatti valere nei tre motivi di ricorso.
Infatti, la denuncia di errores in procedendo svolta nel primo e nel secondo motivo, sotto il pro filo della violazione dell’art. 112 c.p.c., è sufficientemente circostanziata da consentire l’accesso al fascicolo di
causa, a partire dell’atto di citazione or iginario del 15/11/1999 innanzi al Tribunale di Cosenza, sezione distaccata di San Marco Argentano ove causa petendi e petitum, una volta narrati i fatti, sono delimitati esattamente in questi termini: la sopraelevazione « ha avuto come conseguenza non solo la riduzione dell’aria, della luce naturale e la privazione della vista che prima si godeva dalla terrazza verso INDIRIZZO di Roggiano Gravina, ma anche la violazione delle distanze ai sensi dell’art. 90 7 c.c. dal balcone del secondo piano; che, pertanto, con la costruzione del nuovo muro, il convenuto, come da perizia stragiudiziale di parte, ha causato un danno stimato in £. 5.544.000. Tanto premesso il sottoscritto, come in atti, cita NOME COGNOME per sentir accogliere le seguenti conclusioni: voglia il Tribunale, previo accertamento con c.t.u. di quanto lamentato dalla istante per la costruzione di cui in premessa ed eseguita dal convenuto, condannare il convenuto medesimo alla demolizione del muro contiguo, ripristinando la situazione quo ante, o, quanto meno, condannarlo al pagamento dei danni, quantificati in lire 5.544.000, maggiori o minori, in conseguenza della diminuzione di valore del fabbricato della istante per la arbitraria costruzione contra legem del convenuto, con rivalutazione monetaria e spese ». Corrispondente al chiesto è il pronunciato del Tribunale con sentenza n. 412/2002: « Conclusivamente, la domanda non può essere accolta perché la sopraelevazione della Cristiano è del tutto abusiva, perché è stata la prima a costruire sul confine, per cui, ai sensi dell’art. 877 c.c., non poteva impedire al Luciano la costruzione in aderenza e perché nessuna veduta aveva il fabbricato della Cristiano sulla INDIRIZZO, in relazione al primo piano; per quanto concerne la veduta dal piano superiore, pur prescindendo dall’abuso urbanistico, il balcone ricavato al posto della finestra non ha rispettato le distanze previste per le vedute dirette ».
Diritto fatto valere in giudizio e, quindi, oggetto del processo è esclusivamente il diritto di avere vedute ex art. 907 c.c. Né a ciò si
potrebbe obiettare che il thema decidendum si sarebbe allargato all’accertamento della difformità della sopraelevazione realizzata da NOME rispetto a « tutti i precetti normativi vigenti in materia »: come si trova scritto nel l’atto di riassunzione del 3/9/2010 dinanzi al giudice di primo grado, dopo la rimessione della causa ad opera della Corte di appello, per integrare il contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari pretermessi. A parte la genericità assoluta di una tale espressione, l’ operazione costituirebbe un inammissibile mutamento dell’oggetto del processo rispetto a quello dell’originario giudizio di primo grado.
Ne seguono una serie di conseguenze stringenti con riferimento ai motivi di ricorso.
Quanto al primo motivo, la parte della sentenza censurata, riportata di seguito, resiste a tutti i profili di censura fatti valere: « Coerentemente a quanto più volte statuito dalla giurisprudenza di legittimità, mentre nel caso delle distanze tra costruzioni è applicabile il principio della prevenzione – in base al quale il proprietario del fondo che costruisce per primo può ubicare la costruzione rispetto al confine nel modo ritenuto più opportuno – tale criterio (della prevenzione) non è utilizzabile nell’ipotesi prevista dall’art. 905 c.c. che disciplina la distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi, dovendo comunque il proprietario che costruisce per primo tenere le vedute dirette a distanza non minore di un metro e mezzo dal confine, anche del vicino fondo che sia inedificato . L’acquisto del diritto di avere vedute dirette verso il fondo contiguo previsto dall’art. 907 c.c. si verifica allorché le stesse vengano realizzate a distanza non inferiore a metri 1,50 con la conseguenza che avveratasi tale situazione il vicino è tenuto a rispettare la distanza dalla preesistente apertura dalla quale viene esercitata la veduta diretta nella costruzione da lui successivamente eseguita sul suo terreno . Nella vicenda che occupa le appellate, oltre ad aver realizzato la propria costruzione in difformità al progetto così
come assentito dal Comune di Roggiano in data 21 maggio 1974, non hanno neppure acquistato il diritto di veduta poiché, per come emerge dalla relazione peritale (pag. 19), la parte preveniente (NOME COGNOME) che avrebbe dovuto mantenere la veduta (balcone realizzato al secondo piano) ad una distanza non inferiore ad m. 1,50 dal confine, ha invece realizzato la veduta a circa cm 75 dalla proprietà degli appellanti; sicché, non essendo questi ultimi tenuti a rispettare il limite dei tre metri, il Collegio ritiene che non vi sia stata alcuna violazione da parte degli appellanti né delle norme sulle distanze né del diritto di veduta in danno delle appellate e che quindi la censura sollevata sia fondata e vada accolta. Consegue, pertanto, in assenza di violazione sulle distanze di legge in materia di vedute, il rigetto della domanda principale, volta alla demolizione delle opere ed al ripristino dello stato dei luoghi » .
La pronuncia è coerente la giurisprudenza di questa Corte, cfr. tra le altre Cass. n. 15070/2018, che opera una netta distinzione tra normativa sulle distanze e normativa sulle vedute, evidenziando come l’art. 905 c.c. – che salvaguarda il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante l’apertura di vedute negli edifici vicini al fine di proteggere interessi esclusivamente privati – non abbia correlazione alcuna con l’art. 873 c.c., il quale è diretto a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza negli abitati e consente agli enti locali di stabilire distanze maggiori secondo una valutazione particolare dei detti interessi collettivi. In conseguenza, non vi è spazio per una integrazione della previsione dell’art. 905 c.c. con quelle eventuali più restrittive in tema di distanze tra costruzioni contenute nei regolamenti locali (deponendo in tal senso anche l’assenza nel testo d i tale norma di un rinvio -che è, invece, contemplato nell’art. 873 c.c. -a tali regolamenti). Cfr. inoltre Cass. 21798/2024, secondo cui «l’osservanza da parte del vicino delle distanze di cui all’art. 907 c.c. va accertata anche d’ufficio dal giudice, salvo che da parte del convenuto vi sia stata ammissione,
esplicita o implicita, purché inequivoca, della sussistenza di tale diritto». Cfr. infine Cass. 25342/2016, ove si è ritenuto che la titolarità del diritto reale di veduta costituisca presupposto per esigere l’osservanza da parte del vicino delle distanze di cui all’art. 907 c.c., sicché la parte convenuta per l’eliminazione di vedute poste a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 905 c.c., la quale affermi il diritto a mante nerle, ha l’onere di provare l’avvenuto acquisto, a titolo negoziale od originario, della relativa servitù, a nulla rilevando la mera preesistenza di fatto di tali aperture. Nello stesso senso, da ultimo, Cass. 21819/2024.
Tutti gli ulteriori profili fatti valere dal motivo di ricorso, a partire dalla questione dell’usuc apione del diritto di veduta, fuoriescono dal thema decidendum così come definitivamente delimitato nell’originario giudizio di primo primo.
Il primo motivo è rigettato.
3.2. -Per la ragione indicata alla fine del paragrafo precedente, sono inammissibili il secondo e il terzo motivo con il quale si fanno valere questioni nuove o comunque tardive rispetto al thema decidendum nel presente processo.
Il secondo e il terzo motivo sono rigettati.
-La Corte rigetta il ricorso, senza statuizione sulle spese, poiché la controparte non ha svolto attività difensiva in questo giudizio.
A i sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19/03/2025.