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Diritto di veduta: chi ha l’onere della prova?

Analisi di una decisione della Cassazione sul diritto di veduta. Una proprietaria fa causa alla vicina per una costruzione troppo vicina a una finestra. La Corte Suprema stabilisce che chi lamenta la violazione del diritto di veduta ha l’onere di provare l’esistenza di un titolo legale (es. contratto o usucapione) che lo costituisce, non essendo sufficiente la mera esistenza dell’apertura.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto di Veduta: la Prova del Titolo è a Carico di Chi lo Reclama

L’esistenza di una finestra che si affaccia sulla proprietà del vicino non garantisce automaticamente un diritto di veduta tutelabile per legge. Questo è il principio fondamentale ribadito dalla Corte di Cassazione con una recente ordinanza. La Suprema Corte ha chiarito un aspetto cruciale in materia di distanze tra costruzioni: l’onere di dimostrare l’esistenza di un valido titolo costitutivo della servitù di veduta spetta interamente a chi sostiene di esserne titolare e ne lamenta la violazione.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da una controversia tra due proprietarie di immobili confinanti. Una di esse citava in giudizio la vicina, lamentando che quest’ultima aveva realizzato un torrino scala a una distanza inferiore a quella legale dalla sua finestra, compromettendo il suo diritto di veduta. Chiedeva quindi la demolizione o l’arretramento della nuova costruzione e il risarcimento dei danni.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello davano ragione all’attrice, condannando la vicina ad arretrare la costruzione per ripristinare la distanza di tre metri. La Corte d’Appello, in particolare, aveva ritenuto che la legittimità del diritto di veduta non fosse stata contestata dalla convenuta e che, pertanto, dovesse considerarsi un fatto acquisito al processo.

La Questione del Diritto di Veduta e l’Onere della Prova

Insoddisfatta della decisione, la proprietaria del torrino scala ha proposto ricorso per Cassazione. Il motivo principale del ricorso, accolto dalla Suprema Corte, si basava sulla violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulle distanze per l’apertura di vedute (art. 907 c.c.).

La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non richiedere alla sua vicina di dimostrare di essere effettivamente titolare di un diritto di veduta, che è un diritto reale (una servitù) e non una mera situazione di fatto. In altre parole, non basta avere una finestra per pretendere che il vicino rispetti determinate distanze; è necessario dimostrare di aver acquisito tale diritto tramite un titolo idoneo, come un contratto, un testamento o per usucapione.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha sposato in pieno questa tesi, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. I giudici hanno affermato che la titolarità del diritto di veduta è una condizione indispensabile dell’azione legale e deve essere accertata dal giudice, anche d’ufficio.

L’errore della Corte d’Appello è stato quello di accontentarsi della mancata contestazione da parte della convenuta. La Cassazione ha precisato che l’onere di contestazione a carico del convenuto sorge solo in risposta a una puntuale e specifica allegazione dei fatti da parte dell’attore. In questo caso, l’attrice avrebbe dovuto non solo affermare di avere un diritto di veduta, ma anche specificare il titolo (contratto, usucapione, ecc.) in base al quale tale diritto era stato acquisito. In assenza di questa allegazione e della relativa prova, il convenuto è esonerato dall’onere di una contestazione dettagliata.

In sostanza, la Corte ha ribadito che una situazione di mero fatto – l’esistenza di un’apertura che consente di guardare nel fondo del vicino – non è di per sé sufficiente a garantire una tutela legale. Per pretendere il rispetto delle distanze previste dall’art. 907 c.c., è necessario essere titolari di una vera e propria servitù di veduta, e l’onere di provarne l’esistenza grava su chi agisce in giudizio.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per tutti i proprietari di immobili. Chi intende agire in giudizio per tutelare una veduta da una nuova costruzione del vicino deve essere preparato a dimostrare, con prove concrete, il fondamento giuridico del proprio diritto. Non è sufficiente indicare la presenza di una finestra. È indispensabile provare l’esistenza di un titolo valido che abbia costituito una servitù di veduta a carico del fondo confinante. La decisione rafforza un principio cardine del nostro ordinamento: chi vanta un diritto ha l’onere di provarne i fatti costitutivi.

Chi deve dimostrare l’esistenza di un diritto di veduta in una causa?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta interamente alla parte che agisce in giudizio (l’attore) per lamentare la violazione del proprio diritto di veduta. Deve dimostrare di essere titolare di tale diritto in base a un titolo specifico, come un contratto o l’usucapione.

Avere una finestra che affaccia sul fondo del vicino crea automaticamente un diritto di veduta tutelabile?
No. La mera esistenza di una finestra è una situazione di fatto e non costituisce di per sé un diritto reale di veduta. Per essere tutelato legalmente, questo diritto deve derivare da un titolo idoneo che lo abbia costituito come servitù a carico del fondo vicino.

Cosa succede se il vicino convenuto in giudizio non contesta esplicitamente il diritto di veduta dell’attore?
La mancata contestazione da parte del convenuto non è sufficiente a far considerare provato il diritto dell’attore. L’onere di contestazione sorge solo se l’attore ha prima compiuto una specifica e dettagliata allegazione dei fatti e del titolo su cui basa la sua pretesa. In assenza di tale allegazione, la mancata contestazione non ha valore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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