Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16452 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 16452 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/06/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9391/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato NOME
COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE MODENA n. 1868/2017 depositata il 25.10.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.6.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In data 2.10.2012 la RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi per brevità RAGIONE_SOCIALE) prestava soccorso stradale a COGNOME NOME, proprietario dell’autovettura Opel Corsa targata TARGA_VEICOLO, coperta da polizza RAGIONE_SOCIALE, che avendo riportato in un sinistro gravi danni alla parte latero -posteriore sinistra, risultava inutilizzabile, e veniva quindi condotta presso l’officina della RAGIONE_SOCIALE, ove veniva sottoposta a riparazioni sia per i danni derivati dall’incidente, sia per alcuni danni pregressi al paraurti anteriore di destra ed al parafanghi di destra.
Secondo l’assunto del COGNOME, una volta effettuato il recupero del mezzo incidentato, lo stesso era rimasto in deposito presso l’officina della RAGIONE_SOCIALE in attesa dell’evoluzione delle trattative del COGNOME con la sua compagnia assicuratrice RAGIONE_SOCIALE, che però pur avendo aperto la pratica per l’indennizzo, non aveva poi ritenuto di corrisponderlo, avendo la liquidatrice incaricata ritenuto il COGNOME responsabile del sinistro, per cui il COGNOME, a novembre 2012, si era recato presso l’officina della RAGIONE_SOCIALE per farsi restituire l’auto incidentata con gli oggetti che vi si trovavano all’interno, apprendendo solo in quella sede delle riparazioni sul mezzo che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe compiuto, di sua iniziativa, e vedendosi opposto dalla stessa il diritto di ritenzione.
Secondo l’assunto della RAGIONE_SOCIALE, invece, COGNOME NOME aveva ripetutamente richiesto verbalmente di procedere alla riparazione sia dei danni del veicolo derivati dall’incidente, sia di quelli pregressi, procurando anche personalmente un pezzo sostitutivo usato per quest’ultima riparazione, per cui dopo l’approvazione del preventivo dei danni derivati dal sinistro (per €3.150,00 oltre IVA) ad opera del perito della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, e l’accettazione del preventivo per i danni pregressi da parte del COGNOME (per €497,36 oltre IVA), la RAGIONE_SOCIALE aveva eseguito le riparazioni sul mezzo, ma avendo il COGNOME dichiarato di non disporre del denaro necessario per il pagamento, aveva esercitato il diritto di ritenzione.
Dopo uno scambio di corrispondenza tra i legali delle parti, che da un lato insistevano per la restituzione dell’autovettura e dall’altro per il pagamento delle riparazioni compiute sul mezzo con conseguente diritto di ritenzione fino al saldo, COGNOME NOME conveniva in giudizio nel 2013 la RAGIONE_SOCIALE davanti al Giudice di Pace di Modena, per ottenerne la condanna alla restituzione del veicolo con il libretto di circolazione, degli altri oggetti che in esso si trovavano ed al risarcimento dei danni subiti per non aver potuto disporre del mezzo.
RAGIONE_SOCIALE, per parte sua, si costituiva chiedendo il rigetto delle domande avversarie, anche sulla base del suo diritto di ritenzione del veicolo riparato, ed in via riconvenzionale, domandava la condanna di COGNOME NOME al pagamento del corrispettivo complessivo di € 3.647,36, oltre IVA, per le riparazioni eseguite, ed in subordine la condanna del COGNOME per arricchimento ingiustificato.
Effettuato l’interrogatorio formale delle parti, sentiti come testimoni COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, e ritenuto superfluo l’espletamento di CTU, il Giudice di Pace di Modena disattendeva la richiesta dell’attore di confronto fra i
testi COGNOME NOME e COGNOME NOME, ritenendo la causa non abbisognevole di ulteriore istruttoria, e con la sentenza n.1578/2016 del 10.11.2016, rigettava le domande del COGNOME di restituzione del veicolo con gli oggetti in esso contenuti e di risarcimento danni, ed in accoglimento della riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE, condannava il COGNOME al pagamento del corrispettivo delle riparazioni pattuito di €3.647,36 oltre IVA ed al pagamento delle spese processuali.
La sentenza di primo grado veniva appellata da COGNOME NOME, che riproponeva le sue domande non accolte dal Giudice di Pace, chiedendo il rigetto dell’avversa domanda di pagamento del corrispettivo delle riparazioni del mezzo perché non pattuito, ed insisteva nella richiesta di confronto tra i testi COGNOME NOME e COGNOME NOME, lamentando che fossero stati ritenuti attendibili i testi addotti dalla COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, e che non fosse stato attribuito peso probatorio ai testimoni da lui addotti.
Il Tribunale di Modena, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n.1868/2017 del 25.10.2017, rigettava l’appello, condannava il COGNOME al pagamento delle spese processuali di secondo grado, e dava atto della sussistenza a carico di lui dei presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo ex art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
In particolare, il Tribunale di Modena riteneva attendibile la testimonianza resa da COGNOME NOME, che aveva assistito alle riparazioni del veicolo e riferito che l’incarico per le stesse era stato dato alla RAGIONE_SOCIALE da COGNOME NOME insieme al padre COGNOME NOME. Considerava neutra, ai fini della sua attendibilità, la circostanza, allegata dalla RAGIONE_SOCIALE nella comparsa di risposta, che l’incarico di riparazione fosse stato conferito solo da parte dell’intestatario del veicolo COGNOME NOME, ed inverosimile l’effettuazione di lavorazioni comportanti l’impiego di tempo e risorse senza un preventivo accordo verbale sulla riparazione dei
danni derivati dall’incidente e di quelli pregressi. Circa il quantum si basava sulla testimonianza del perito della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, che aveva concordato sull’importo preventivato delle riparazioni, ritenuto congruo rispetto al valore commerciale del veicolo.
Sulla base della deposizione di COGNOME NOME la sentenza medesima riteneva, invece, inattendibile la testimonianza del padre di COGNOME NOME, COGNOME NOME. Avendo questi dato l’incarico delle riparazioni insieme al figlio, la NOME avrebbe potuto richiedergli il pagamento del corrispettivo in altro giudizio, di talché COGNOME NOME aveva tutto l’interesse a negare l’incarico per non essere chiamato a risponderne personalmente in separato giudizio, pur non essendo incapace di testimoniare per la mancata assunzione della qualità di parte in causa, ed in ragione di tale inattendibilità riteneva superfluo procedere al confronto richiesto da parte appellante.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso a questa Corte, notificato il 12/15.3.2018, COGNOME NOME, affidandosi a dieci motivi, e resiste con controricorso notificato il 20.4.2018 la RAGIONE_SOCIALE.
La Procura Generale ha concluso per la reiezione del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. e la causa è stata discussa e trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 6.6.2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di sinteticità degli atti processuali.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, ” il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera
vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto -forma stabiliti dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4 ” (Cass. n. 9365/2023; Cass. sez. un. n.37552/2021).
Nella specie, pur essendo il ricorso prolisso (48 pagine, delle quali le prime 29 relative all’esposizione del fatto e dello svolgimento del giudizio, e le restanti 16 destinate all’illustrazione dei motivi) e caratterizzato in alcuni punti dal richiamo testuale di precedenti atti non richiesto dal Protocollo d’Intesa col RAGIONE_SOCIALE Forense del 17.12.2015, la ricostruzione del fatto è comunque operata, i motivi fatti valere presentano i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla sentenza impugnata, e risulta rispettato il contenuto richiesto dall’art. 366 c.p.c., mentre la difformità rispetto al Protocollo non può costituire una causa d’inammissibilità non prevista dalla legge (vedi in tal senso Cass. 13.5.2024 n. 13010).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, il COGNOME col primo e col quinto motivo ha invocato la violazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., ossia il vizio dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, fatto identificato nella mancata verifica dell’attendibilità del teste COGNOME NOME.
Tali motivi sono inammissibili per due concomitanti ragioni.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., trattandosi qui di impugnazione di una sentenza pronunciata dopo l’entrata in vigore della L. 7.8.2012 n. 134, che ha convertito con
modificazioni il D.L. 22.6.2012 n. 83, il cui art. 54 comma primo lettera a) ha inserito la suddetta norma, in caso di c.d. doppia conforme nella valutazione del materiale probatorio e nell’accoglimento o rigetto delle domande delle parti, la pronuncia d’appello non è censurabile in base al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Nella specie, la pronuncia di secondo grado si differenzia dalla prima solo per una più compiuta illustrazione delle ragioni della ritenuta attendibilità del teste COGNOME NOME e dell’inattendibilità del teste COGNOME NOME, e della non necessità di effettuarne il confronto richiesto dall’appellante.
Il secondo luogo, va aggiunto che la verifica dell’attendibilità di un testimone, che peraltro anche se non condivisa dal ricorrente, è stata compiuta dal Tribunale di Modena, come sopra riportato (vedi pagina 3 capoverso di questa sentenza), non è un fatto storico ma un giudizio critico, come tale insuscettibile di formare oggetto di critica ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Modena abbia considerato attendibile la deposizione di COGNOME NOME, omettendo di riportarne il contenuto specifico, per avere riferito che l’incarico di riparazione del veicolo sarebbe stato dato alla RAGIONE_SOCIALE oltre che da COGNOME NOME, dal padre dello stesso, COGNOME NOME, circostanza non allegata dalla RAGIONE_SOCIALE nella sua prospettazione difensiva, reputando del tutto neutra tale circostanza.
Il secondo motivo è infondato.
La violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore
che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente, ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle sezioni unite di questa Corte fin dalle sentenze n. 8053 e 8054 del 2014 (vedi Cass. sez. un. 27.12.2019 n.34474; Cass. 19.6.2014 n. 13960; Cass. 20.12.2007 n. 26965), che nella specie non sono stati invocati.
Nel caso in esame, l’impugnata sentenza ha ricavato l’attendibilità del teste COGNOME oltre che dal profilo indicato, e dall’indifferenza di quel teste rispetto all’oggetto del contendere, al contrario del teste COGNOME NOME, padre dell’attore, che aveva interesse a negare la commissionata riparazione per non essere chiamato a risponderne in separato giudizio, dalla circostanza che lo stesso teste COGNOME aveva assistito personalmente alle riparazioni del veicolo e dal fatto che era verosimile che le stesse, richiedenti tempo e risorse per l’effettuazione, non fossero state compiute senza un preventivo accordo verbale col proprietario del veicolo.
Col terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 116 c.p.c. e 246 c.p.c. Deduce il ricorrente che l’impugnata sentenza abbia erroneamente ritenuto inattendibile la deposizione di COGNOME NOME sulla base di una motivazione che al più avrebbe potuto condurre ad una declaratoria d’incapacità del teste, che era stata inizialmente eccepita dalla RAGIONE_SOCIALE, ma che non era stata riproposta nelle conclusioni, con conseguente formazione del giudicato sul punto.
Col quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale di Modena sostanzialmente ritenuto incapace di deporre COGNOME NOME sulla base del suo interesse a non essere coinvolto nel pagamento delle riparazioni del veicolo anche da lui commissionate, benché tale incapacità non fosse stata fatta valere attraverso uno specifico motivo d’impugnazione dalla RAGIONE_SOCIALE, anziché valutare il contenuto oggettivo della di lui testimonianza.
Il terzo ed il quarto motivo, inerenti alla deposizione di COGNOME NOME, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili, per due consecutive ragioni.
In primo luogo, la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità (Cass. 5.3.2024 n.5898; Cass. 9.8.2019 ord. n.21239; Cass. 30.3.2010 n.7763; Cass. sez. lav. 21.8.2004 n. 16259). Valutazione, questa, che rientra nei poteri del solo giudice di merito, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., e che è insindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif.,
dalla l. n. 134 del 2012. (Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Ciò chiarito, va ricordato che qualora la parte abbia formulato l’eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell’articolo 157 c.p.c., l’interessato ha l’onere di eccepire subito dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità (Cass. Sez. un. n. 9456 del 6.4.2023).
Nel caso in esame, parte ricorrente: a ) non indica se, come e quando, nel rispetto dell’art. 157, secondo comma, c.p.c., abbia eccepito (non l’incapacità del teste, ma) la nullità della testimonianza resa da COGNOME NOME; pertanto, in assenza di tempestiva eccezione dopo l’assunzione della prova, l’ipotizzata incapacità del testimone, convertitasi in nullità dell’atto istruttorio, non poteva più essere fatta valere; b ) contesta un giudizio di attendibilità che è insuscettibile, per le ragioni anzi dette, di revisione in questa sede.
Col sesto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. la violazione degli articoli 116, 246 e 254 c.p.c.
Si duole il ricorrente che il giudice di secondo grado non abbia disposto il richiesto confronto tra le testimonianze contrastanti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, avendo ritenuto quest’ultimo inattendibile per cause che al più avrebbero potuto portare ad una sua non dedotta incapacità a testimoniare, ed il primo attendibile nonostante fosse un dipendente della RAGIONE_SOCIALE ed avesse fornito una versione dei fatti sulla richiesta delle riparazioni contrastante con la stessa tesi difensiva della RAGIONE_SOCIALE.
Il sesto motivo è inammissibile. Richiamato quanto già esposto sulle asserite violazioni degli articoli 116 e 246 c.p.c., non configurabili nella specie, va osservato che l’art. 254 c.p.c. attribuisce al giudice di merito una mera facoltà discrezionale di procedere al confronto tra testimoni, conferendogli, perciò, anche il potere di recedere dal disposto confronto per motivi sopravvenuti di qualsiasi genere (compresa l’opportunità di non ritardare ulteriormente la decisione della causa), senza che l’esercizio di siffatto potere possa formare oggetto di censura in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (Cass. sez. lav. 2.11.2021 n. 31064; Cass. n. 14538/2009), peraltro nella specie insussistente, in quanto il Tribunale di Modena ha motivato la mancata effettuazione del confronto tra i testi COGNOME NOME e COGNOME NOME esprimendo un motivato giudizio di inattendibilità nei confronti della deposizione di quest’ultimo.
Col settimo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione del combinato disposto degli articoli 324 c.p.c. e 346 c.p.c. per essere asseritamente intervenuto il giudicato interno di rigetto della domanda di accertamento della legittimità del diritto di ritenzione del veicolo di proprietà di COGNOME NOME da parte della RAGIONE_SOCIALE.
Con l’ottavo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c.
Assume il ricorrente che poiché la RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado aveva chiesto in via riconvenzionale di rigettare le domande di restituzione del veicolo e di risarcimento dei danni conseguentemente subiti avanzate da COGNOME NOME previo accertamento del diritto di ritenzione del veicolo riparato, di condannare il COGNOME al pagamento delle riparazioni da lui commissionate per complessivi € 3.647,36 oltre IVA, ed in subordine di arricchimento ingiustificato, vedendosi accolta solo la riconvenzionale di condanna al pagamento delle riparazioni
richiesto, e poiché la RAGIONE_SOCIALE non aveva proposto appello incidentale per vedersi riconosciuto il diritto di ritenzione, asseritamente respinto dal Giudice di Pace, doveva ritenersi intervenuto un giudicato negativo sul punto, ed il Tribunale di Modena non avrebbe potuto riconoscere d’ufficio il diritto di ritenzione della RAGIONE_SOCIALE.
Il settimo e l’ottavo motivo, inerenti entrambi al diritto di ritenzione del veicolo ex art. 2756 cod. civ. da parte della RAGIONE_SOCIALE fino al pagamento del prezzo delle riparazioni eseguite sul veicolo, vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.
Ed invero, la sentenza del Giudice di Pace di Modena n.1578/2016 del 10.11.2016, poi confermata dall’impugnata sentenza, ha condannato COGNOME NOME al pagamento del corrispettivo delle riparazioni eseguite, su suo incarico, dalla RAGIONE_SOCIALE, sull’autovettura Opel Corsa targata TARGA_VEICOLO, per l’importo da quella richiesto in via riconvenzionale di € 3.647,36 oltre IVA, e conseguentemente ha rigettato le contrapposte domande di restituzione del veicolo e di risarcimento dei danni avanzate in via principale dal COGNOME contro la RAGIONE_SOCIALE, che si basavano sull’asserita mancanza di un contratto verbale fra le parti per la riparazione del mezzo, implicitamente riconoscendo a favore della RAGIONE_SOCIALE, che ancora aveva il veicolo presso la sua officina, il diritto di ritenzione del mezzo fino al soddisfacimento del credito riconosciutole ex art. 2756 cod. civ. Avendo il COGNOME impugnato la sentenza di primo grado per avere respinto, in base al diritto di ritenzione della RAGIONE_SOCIALE, non ancora soddisfatta per il corrispettivo delle riparazioni eseguite, la domanda del COGNOME di restituzione della sua autovettura, la questione del diritto di ritenzione della RAGIONE_SOCIALE doveva ancora ritenersi controversa e non oggetto di giudicato interno, senza che quest’ultima fosse tenuta a riproporre l’eccezione in appello, sicché il Tribunale di Modena nel negare il rilievo della giurisprudenza della Suprema Corte richiamata
dall’appellante, che ha negato il diritto di ritenzione in caso di riparazioni non autorizzate, non è incorsa in alcuna violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Col nono ed il decimo motivo il ricorrente invoca, in ragione dell’auspicato accoglimento dei primi otto motivi, la riforma delle statuizioni dell’impugnata sentenza, di condanna a suo carico delle spese processuali di secondo grado e dell’attestazione della sussistenza a suo carico dei presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo unificato ex art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
Tali motivi sono inammissibili, perché non censurano un vizio proprio della sentenza, ma prospettano le conseguenze di un effetto espansivo interno, ex art. 336, primo comma, c.p.c., non verificato per le ragioni fin qui svolte.
In base alla soccombenza, il ricorrente va condannato al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
Ritiene la Corte che data la reiezione del ricorso, si debba dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore contributo da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna COGNOME NOME al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in €200,00 per spese vive ed € 2.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Visto l’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per 2.000,00 il versamento di un ulteriore contributo da parte del ricorrente.
sì deciso nella camera di consiglio del 6.6.2024
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME