Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2243 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2243 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18298/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’ indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME -intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ANCONA n. 811/2022 depositata il 21/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ai sensi dell’art. 447 -bis cod. proc. civ. il RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Ancona, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
LOCAZIONE COMMERCIALE.
R.G. 18298/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 10/12/2024
C.C. 14/4/2022
quest’ultimo in persona del suo amministratore di sostegno, affinché fosse riconosciuta l’esistenza del proprio diritto di prelazione urbana in relazione all’immobile, sito in Camerata Picena, di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME che questi ultimi avevano ceduto a titolo oneroso a NOME COGNOME.
A sostegno della domanda la società attrice espose, tra l’altro, di aver condotto in locazione per molti anni l’immobile in questione e che lo stesso era stato ceduto in violazione del suo diritto di prelazione di cui agli artt. 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale volta ad ottenere il rilascio dell’immobile e il pagamento di una somma a titolo di indennità di occupazione dello stesso.
Il Tribunale rigettò la domanda e condannò la società attrice al pagamento delle spese processuali.
La decisione è stata impugnata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 21 giugno 2022, ha rigettato il gravame, ha confermato la decisione del Tribunale e ha condannato la società appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale, innanzitutto, che non poteva essere accolta l’istanza, proposta dall’appellante RAGIONE_SOCIALE COGNOME, con la quale si era richiesta l’interruzione del processo a causa della morte dell’appellata NOME COGNOME. Secondo la Corte, infatti, la richiesta di interruzione proveniva «dalla parte non legittimata a proporla», posto che l’art. 300 cod. proc. civ. subordina l’effetto interruttivo alla dichiarazione formale proveniente dal procuratore della parte che è colpita dall’evento.
Ciò premesso, la sentenza ha rilevato che la domanda giudiziale proposta aveva ad oggetto la verifica dell’esistenza o meno delle condizioni di legge per esercitare il diritto di riscatto del
bene, posto che la mancanza di una denuntiatio aveva reso impossibile l’esercizio del diritto di prelazione.
Passando poi ad esaminare i motivi di appello, la Corte anconetana ha rilevato che nel giudizio di riscatto di cui all’art. 39 della legge n. 392 del 1978 l’alienante non è un litisconsorte necessario, perché l’azione del conduttore, avendo natura reale, è rivolta solo contro l’acquirente ed è finalizzata non a risolvere il contratto traslativo, quanto piuttosto a sostituire il titolare del diritto al terzo, con effetto ex tunc , nella stessa posizione che aveva il terzo acquirente.
Per poter esercitare il diritto di riscatto, è tuttavia necessario dimostrare innanzitutto l’esistenza di un contratto di locazione che, secondo la Corte d’appello, deve avere la forma scritta ad substantiam . Nel caso in esame, la società appellante non aveva assolto l’onere della prova, sulla stessa gravante, dell’esistenza di un contratto di locazione. Non poteva considerarsi strumento probatorio idoneo, al riguardo, il messaggio PEC del 9 dicembre 2019, proveniente dall’amministratore di sostegno di NOME COGNOME posto che in esso ci si limitava a dichiarare di voler trattenere le somme corrisposte dal RAGIONE_SOCIALE come acconto ‘sul maggior dovuto’, a titolo di indennità di occupazione. La società appellante, d’altra parte, aveva dichiarato, al fine di ottenere la fornitura del servizio idrico integrato, di essere proprietaria degli immobili dove si svolgeva l’attività di panetteria, salvo poi non riuscire a provare la circostanza e a subire l’interruzione della relativa utenza.
La Corte di merito ha quindi tratto la conclusione per cui, non essendovi prova dell’esistenza di un contratto di locazione, non si poteva riconoscere il diritto di riscatto a favore della parte appellante.
Quanto, infine, alle spese di lite, la sentenza ha rilevato che, pur avendo gli originari convenuti proposto una domanda
riconvenzionale rigettata, in considerazione del valore della domanda principale, doveva ritenersi che il RAGIONE_SOCIALE fosse la parte «prevalentemente soccombente», il che dava conto della correttezza della condanna alle spese disposta dal Tribunale, tanto più che si trattava di una condanna parziale, avendo il primo giudice disposto la compensazione nella misura della metà.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona propone ricorso il RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a cinque motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art.360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 300 cod. proc. civ. in relazione alla mancata interruzione del processo.
La società ricorrente osserva che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, anche i difensori di NOME COGNOME e di NOME COGNOME si erano associati alla richiesta di interruzione del processo a causa della morte di quest’ultima, per cui la sentenza avrebbe errato nel rigettare la richiesta di interruzione.
1.1. Il motivo è inammissibile, non essendo la parte ricorrente legittimata a dolersi della mancata interruzione del processo.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, correttamente applicata dalla Corte d’appello, è pacificamente orientata nel senso che, poiché le norme sull’interruzione del processo per morte od impedimento del procuratore sono rivolte a tutelare la parte nei cui confronti l’evento si è verificato, questa è la sola legittimata a valersi della mancata interruzione (così, tra le altre, le sentenze 11 maggio 1982, n. 2934, 24 settembre 1996, n. 8409, 7 agosto 1998, n. 7794; più di recente, v. pure la sentenza 24 gennaio 2020, n. 1574).
L’affermazione dell’odierna ricorrente secondo cui la richiesta di interruzione sarebbe stata avanzata anche dai difensori di NOME COGNOME e di NOME COGNOME appare, del resto, del tutto generica, non essendovi alcuna indicazione del quando e del come tale richiesta avrebbe avuto luogo.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 102 ovvero, in subordine, dell’art. 103 cod. proc. civ., in relazione al litisconsorzio necessario.
Secondo la parte ricorrente, i venditori NOME COGNOME e NOME COGNOME erano legittimati processualmente, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, posto che essi avevano alienato l’immobile. La loro partecipazione al giudizio, comunque, era da ritenere legittima in termini di litisconsorzio necessario o facoltativo.
2.1. Il motivo è inammissibile per mancanza di chiarezza.
Risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso che i due soggetti suindicati erano parti del processo e regolarmente costituiti, per cui non è dato comprendere quale sia il senso della censura proposta.
Se, in realtà, ciò che il ricorrente intende contestare è la mera affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui nel giudizio di riscatto l’alienante non è da considerare litisconsorte necessario, si tratta di un rilievo inesatto oltre che ininfluente, poiché è costante la giurisprudenza di questa Corte, sia in tema di riscatto nella locazione urbana che in tema di riscatto agrario, in base alla quale in simili giudizi l’alienante non è litisconsorte necessario (si vedano, tra le altre, le sentenze 27 marzo 2007, n. 7501, 22 gennaio 2004, n. 1103, 6 dicembre 2005, n. 26690 e 13 agosto 2015, n. 16824).
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un
fatto decisivo, per non avere la Corte d’appello valutato il contenuto del messaggio PEC del 9 dicembre 2019, proveniente da NOME COGNOME col quale si dava atto del pagamento dell’acconto a titolo di locazione.
La sentenza avrebbe ignorato questo punto, omettendo di trattare una questione essenziale.
3.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, posto che la sentenza impugnata ha tenuto conto del documento in questione e l’ha ritenuto insufficiente a dare la prova dell’esistenza di un contratto di locazione; il che di per sé esclude la sussistenza della prospettata omissione e mette in luce che la censura si risolve nell’indebito tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e ss. cod. proc. civ. e dei d.m. 6 luglio 2011, n. 145 e 4 agosto 2014, n. 139, sulle spese di mediazione.
La società ricorrente osserva che la condanna alle spese disposta in primo grado, nonostante il totale rigetto delle domande riconvenzionali e il rifiuto, da parte dei convenuti, di avviare un serio tentativo di mediazione, sarebbe in contrasto con le disposizioni suindicate, e tale vizio si estenderebbe anche alla decisione di appello. La condanna alle spese di mediazione, inoltre, sarebbe in contrasto con i decreti ministeriali suindicati, posto che tale normativa prevede la condanna alle spese solo in caso di rifiuto a partecipare alla mediazione.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Rileva la Corte, innanzitutto, che la sentenza impugnata ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la condanna alle spese di giudizio disposta dal Tribunale a carico dell’odierna ricorrente, con una valutazione di merito sulla quale questo Collegio non ha motivi di interloquire.
Quanto alle spese della fase di mediazione -in disparte l’evidente carenza del ricorso dal punto di vista della sua autosufficienza in ordine all’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. -la Corte si limita ad osservare che i due decreti invocati, che non sono stati prodotti, risultano essere stati successivamente abrogati, ragione per cui il motivo neppure illustra se ed entro quali limiti si tratterebbe di una normativa secondaria applicabile nella fattispecie ratione temporis .
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1325, primo comma, n. 4), cod. civ., in relazione al requisito della forma scritta del contratto.
In base alla disposizione richiamata, la forma scritta costituisce un requisito del contratto solo quando è prescritta dalla legge a pena di nullità. La mancanza della forma scritta in materia di contratto di locazione potrebbe dare luogo ad una «semplice irregolarità fiscale»; e si tratterebbe, ad ogni modo, di una nullità di protezione, tale che solo l’odierno ricorrente sarebbe legittimato a farla valere.
5.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Ed invero -fermo restando che l’obbligo di forma scritta è stato positivamente introdotto, per le sole locazioni abitative, dall’art. 1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 la Corte osserva che la sentenza impugnata non si è limitata ad affermare che sarebbe stata necessaria la forma scritta per provare l’esistenza del contratto in questione, ma ha anche compiuto una valutazione complessiva e globale delle prove a disposizione, arrivando a concludere nel senso che la prova dell’esistenza del contratto non era stata comunque fornita.
Consegue da tale accertamento che il motivo in esame si limita ad esaminare una sola parte della motivazione resa dalla
Corte d’appello, di modo che la censura risulta comunque inidonea a scalfirne la solidità.
6. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza