Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10731 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10731 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
Oggetto
PROPRIETÀ
Alloggio di edilizia residenziale pubblica -Locazione -Box pertinenziale Disciplina applicabile
R.G.N. 16788/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 26/11/2024
Adunanza camerale sul ricorso 16788-2020 proposto da:
COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME ma domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE MILANO, in persona del Direttore Generale reggente e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME ma domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore
come in atti, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 179/2020 d ella Corte d’appello di Milano, depositata in data 20/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 26/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 179/20, del 20 gennaio 2020, della Corte d’appello di Milano, che pronunciandosi quale giudice del rinvio, a seguito della sentenza di questa Corte del 9 marzo 2018, n. 5662 -ha così provveduto. Essa ha rigettato -riformando la sentenza n. 1282/14, del 30 gennaio 2014, resa dal Tribunale di Milano -tanto la domanda, proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE, di risoluzione del contratto di locazione di un box che essa assumeva di aver concluso con il Fermi, quanto, in riforma della pronuncia di prime cure, le riconvenzionali dell’odierno ricorrente, volte a conseguire il trasferimento della proprietà di tale immobile ex art. 2932 cod. civ., ovvero la declaratoria di nullità parziale del rogito di acquisto dell’appartamento del quale il box costituirebbe pertinenza, nonché, in via di ulteriore subordine, l’accertamento dell’avvenuto acquisto della proprietà di tale bene per intervenuta usucapione.
Riferisce, in punto di fatto , l’odierno ricorrente di essere stato destinatario -da parte dell’ALER Milano di intimazione di sfratto per asserita morosità, in relazione alla locazione di un box autorimessa, locale conseguito dal Fermi in forza di domanda del 4 ottobre 1989, con cui egli aveva chiesto di sostituirsi alla sorella
NOME nell’intestazione di tale bene, ad essa in precedenza assegnato.
L’intimato si costituiva, resistendo alla domanda, eccependo la nullità parziale dell’atto di compravendita del 29 novembre 1989, con il quale la predetta società gli aveva trasferito la proprietà di un alloggio rispetto al quale -egli assumeva -il box oggetto di causa costituirebbe pertinenza, alloggio anch’esso in origine assegnato a NOME COGNOME che aveva, però, rinunciato all’intestazione, in favore del fratello, già in data 16 giugno 1980.
Il ricorrente, pertanto, deduceva di essere subentrato alla propria sorella nell’intestazione effettuata ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 60 -dapprima dell’alloggio e poi del box (oggetto, ambedue, di un unico contratto di locazione, concluso da NOME COGNOME con l’allora IACP, il 13 luglio 1973), avendo ella rinunciato, in favore del fratello, dapprima all’uno, il 16 giugno 1980, e poi all’altro, il 28 settembre 1989.
Lamentava, dunque, il Fermi la nullità dell’ atto di compravendita, nella parte in cui escludeva dal trasferimento la predetta pertinenza, su tali basi richiedendo, in via riconvenzionale, l’emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ., previa determinazione del prezzo di cessione relativo al box oggetto di causa; in subordine, chiedeva accertarsi l’intervenuta usucapione, in suo favore, della proprietà del bene.
Il giudice di prime cure rigettava la domanda principale, accogliendo, invece, quella riconvenzionale ex art. 2932 cod. civ., condizionando il trasferimento del box, in capo al Fermi, al versamento del corrispettivo, fissato in € 1.897,88.
Interponevano gravame avverso detta sentenza, rispettivamente, l’RAGIONE_SOCIALE Milano, in INDIRIZZO, e il Fermi, in via incidentale.
In accoglimento del primo mezzo il giudice d’appello dichiarava risolto il contratto di locazione, che assumeva essere
intercorso tra le parti, per essersi reso il conduttore inadempiente rispetto all’obbligo di pagare il canone, condannandolo al rilascio del bene e al saldo della morosità accumulata, pari ad € 10.558,49.
Esperito dal Fermi ricorso per cassazione, questa Corte -con sentenza n. 5662 del 2018 -annullava tale decisione, accogliendo primo, secondo e terzo motivo d’impugnazione, dichiarando inammissibile il quarto e assorbiti il quinto e sesto, rinviando la causa alla Corte milanese, per un nuovo esame della fattispecie. In particolare, questa Cort e affermava l’erroneità della decisione cassata nella parte in cui aveva:
affermato la decadenza del Fermi dal diritto di proporre domande riconvenzionali, non considerando che esse erano state formulate già in primo grado;
-ravvisato l’esistenza di un contratto di locazione tra il medesimo e l’ALER Milano, e ciò in assenza della forma scritta prevista, a pena di nullità, per le negoziazioni con la P.A.;
-ritenuto opponibile al Fermi l’accertamento contenuto in una sentenza del Pretore di Milano del 1993, conclusiva di un giudizio del quale, però, erano state parti l’ALER Milano e NOME COGNOME esito cui il giudice di seconde cure era pervenuto sul presupposto che l’odierno ricorrente fosse l’avente causa d alla sorella, senza, tuttavia, considerare che, in quella controversia, non si era discusso della proprietà del box oggetto dell’odierno giudizio, bensì dell’esistenza e validità di un contratto di l ocazione relativo a tale bene, intercorso, appunto tra le parti contraenti, ovvero NOME COGNOME e l’ALER .
Ciò premesso, il giudice del rinvio, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato tanto la domanda di risoluzione del contratto di locazione proposta, in via principale, dall’ALER Milano, che quelle riconvenzionali del Fermi, compensando per intero le spese di tutti i gradi del giudizio.
Avverso la sentenza della Corte ambrosiana ha proposto ricorso per cassazione il Fermi, sulla base -come detto -di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 817, 818, 1175, 1322, 1325, 1339, 1374, 1375, 1376, 1419, 1470, 1477 e 2932 cod. civ., in relazione all’obbligo di integrazione del contratto di vendita dell’alloggio in base alle norme imperative di cui alla legge n. 60 del 1963, nonché difetto di motivazione per violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ.
Lamenta il ricorrente la mancata eterointegrazione del contratto di compravendita, il cui oggetto venne limitato al solo alloggio, con esclusione del box, sicché la sentenza impugnata, oltre a violare le norme richiamate in rubrica, avrebbe reso ‘una motivazione meramente apparente e priva di congruenza logicagiuridica, ponendosi in stridente contrasto con la giurisprudenza di legittimità in materia di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e di inscindibilità del vincolo di pertinenzialità’.
Si censura, in particolare, l’affermazione della Corte territoriale secondo cui sussisterebbe per l’Ente pubblico la facoltà di ‘regolare diversamente le sorti del box rispetto a quelle dell’alloggio principale’, senza, peraltro, ricorrere quanto al primo -ad un atto dotato della necessaria forma scritta ‘ ad substantiam ‘. Del pari, è censurato l’assunto del giudice del rinvio secondo cui, il suddetto vincolo pertinenziale, quand’anche fosse stato in origine esistente, non sarebbe destinato necessariamente a persistere nel tempo, dato che -si legge nella sentenza impugnata -‘una successiva e differente volontà delle parti può regolare diversamente le sorti di un bene, precedentemente considerato pertinenza’, traendo la Corte milanese da tale
premessa la conclusione che ‘dall’art. 2 della legge n. 60 del 1963’ non deriverebbe ‘alcun obbligo in capo all’ente di assegnare ai richiedenti i beni di cui avevano fatto richiesta’, trattandosi di ‘mera facoltà’, e ciò ‘dovendosi verificare la sussistenza in capo ai medesimi dei presupposti previsti dalla legge’.
Osserva, per contro, il ricorrente che, ‘una volta assolto’ da parte dell’assegnatario del bene ‘l’onere di trasmettere la domanda di riscatto ai sensi della legge n. 60 del 1963’ (nonché la relativa conferma, di cui alla legge 8 agosto 1977, n. 513), ‘non si vede quale ulteriore orpello sia possibile frapporre per denegare il corrispettivo obbligo imperativo’, in capo all’ente pubblico, ‘di adempiere al tempestivo trasferimento’, qui destinato ad interessare il box, non meno che l’alloggio, avendo essi formato oggetto, lo si ribadisce, di assegnazione unitaria. Tanto, per vero, sarebbe imposto ‘secondo gli obblighi imperativi promananti dalla legge’, atteso che quello dell’assegnatario è un vero e proprio diritto soggettivo perfetto (al quale, difatti, corrisponde un p rovvedimento vincolato, e non discrezionale, dell’Ente, in base a quella che si indica essere la costante giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite), oltre in forza dei ‘principi di buona fede’, di cui agli artt. 1175, 1375, 137 6, 1470 e 1477, comma 2, cod. civ.’, anche ‘in osservanza alle finalità istituzionali dell’ente’.
Ne consegue, pertanto, che -in forza di tali rilievi, e considerata l’esistenza, nella specie, di una domanda di trasferimento risalente all’11 agosto 1977, ovvero a ben dodici anni prima della conclusione del contatto di compravendita -‘l’ente gestore’ non aveva, secondo il ricorrente, ‘alcun potere di modificare né l’oggetto, né il prezzo, né le modalità della cessione, in quanto predeterminati in forza di leggi speciali’, imponendosi a carico dello stesso ‘l’obbligo di eterointegrazione del contratto, ex
art. 1419, comma 2, cod. civ., suscettibile di esecuzione in forma specifica, a norma dell’art. 2932 cod. civ.’.
D’altra parte, costituirebbe del pari ‘ ius receptum ‘ il principio secondo cui gli ‘accessori pertinenziali di un bene immobile devono ritenersi compresi nel suo trasferimento, anche nel caso di mancata indicazione nell’atto di compravendita, essendo necessaria un’espressa volontà contraria per escluderli’, donde la denunciata violazione pure degli artt. 817 e 818 cod. civ. da parte della Corte milanese. Essa, infatti, pur non negando l’esistenza in origine del vincolo pertinenziale tra alloggio e box (né la necessità che i contratti della P.A. rivestano forma scritta), avrebbe, però, incongruamente, sostenuto, ‘senza alcun idoneo riscontro logico argomentativo’, che ‘una successiva e differente volontà delle parti può regolare diversamente le sorti di un bene, precedentemente considerato pertinenza’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 818, 819, 1419 e 2932 cod. civ., nonché della legge n. 60 del 1963, oltre che delle leggi 17 agosto 1942, n. 1150 e 24 marzo 1989, n. 122 ‘in relazione ai vincoli di destinazione e a l derivante obbligo di cessione della pertinenza box’, nonché difetto di motivazione per violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ.
Ferme le doglianze oggetto del primo motivo, il ricorrente assume che la sentenza impugnata sarebbe caduta ‘in palese contraddizione logica e giuridica’. Difatti, essa ha dato atto della ‘presenza dei presupposti oggettivo e soggettivo’ per la costituzione del vincolo pertinenziale, affermando testualmente che il box poteva svolgere ‘la funzione di servizio rispetto all’appartamento, ponendosi in collegamento funzionale con questo’, precisando, altresì, che ‘vi era l’effettiva volontà delle
parti di destinare il bene accessorio a servizio del principale’, come desumibile ‘dal fatto che i due immobili erano stati locati congiuntamente’. Nondimeno, essa , in contrasto con le ‘inequivoche risultanze documentali e gli obblighi contrattuali’ , ha ritenuto ‘infondata l’ulteriore domanda proposta da Fermi di accertamento della nullità parziale dell’atto di vendita dell’alloggio per mancata inclusione del box, fondata sulla dedotta violazione della l. n. 60/63 e della legge urbanistica n. 1150/42 che im porrebbero all’Ente un obbligo legislativo di cedere il locale pertinenziale’. Esito al quale il giudice del rinvio è pervenuto assumendo che l’art. 2 della legge n. 60 del 1963 contemplerebbe ‘una mera facoltà dell’Ente di assegnare gli alloggi in caso di richiesta in tal senso dell’assegnatario’, e ciò ‘dovendosi verificare la sussistenza (…) dei presupposti previsti dalla legge’, concludendo, in maniera apodittica, che ‘un obbligo di vendita congiunta di appartamento e box non sussiste neppure in virtù della richiamata legge urbanistica n. 1150/1942 che prevede unicamente, per quanto qui rileva, che, nelle nuove costruzioni, siano riservati spazi per parcheggi (art. 41sexies )’.
Al di là della ‘assoluta assenza di motivazione’, sostiene il ricorrente, la sentenza sarebbe da censurare perché la citata disciplina legislativa stabilisce ‘un vincolo di pertinenzialità di natura pubblicistica inderogabile in termini di destinazione del bene, anche con riferimento alla sua circolazione’, nel senso che ‘la relazione pertinenziale determina automaticamente l’estensione alla pertinenza degli effetti degli atti e dei rapporti che concernono la cosa principale, salvo che il rapporto strumentale sia cessato anteriormente a quello concernente la cosa principale o che risulti da quest’ultimo la volontà di escludere la pertinenza’.
D’altra parte, sottolinea sempre il ricorrente, il contratto di compravendita con il quale il costruttore di un fabbricato,
alienando le singole unità immobiliari, riservi a sé la proprietà delle aree di parcheggio ‘ ex lege ‘ 6 agosto 1967, n. 765, sottraendole alla loro inderogabile destinazione, è affetto -in base alla giurisprudenza di questa Corte -da una nullità parziale, con conseguente necessità di operare un’integrazione negoziale ‘ ope legis ‘.
Analogamente, del resto, si è precisato che il suddetto art. 41sexies della legge n. 1150 del 1942 ‘pone un vincolo di destinazione pubblicistico che non può subire deroga negli atti privati di disposizione’ degli spazi destinati a parcheggio, sicché , ‘in caso di locazione’ , il ‘diritto del proprietario di un’unità immobiliare all’uso dell’area predisposta per il parcheggio degli autoveicoli deve essere necessariamente trasferito al conduttore’ . Ne consegue che , in mancanza, ‘tale trasferimento è affetto d a nullità parziale, determinandosi « ope legis » il trasferimento medesimo, attraverso la sostituzione di diritto della clausole difformi con la norma imperativa’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 817, 818, 1362 e ss., 1350 e 1418 e ss. cod. civ., in relazione agli artt. 3, comma 2, e 29 della legge n. 60 del 1963, oltre che all’art. 1, comma 1, n. 2), del d.P.R. 11 ottobre 1963, n. 1471, e agli artt. 18 della legge n. 765 del 1967 e 27 della legge n. 513 del 1977, nonché ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’interpretazione della volontà del le parti’.
Si censura la sentenza impugnata ‘per non avere la Corte di rinvio adeguatamente valutato la questione afferente l’interpretazione della volontà negoziale delle parti, espressa a mezzo del contratto di assegnazione del 13 luglio 1973 e degli ulteriori atti ad esso prodromici, tra cui il bando pubblico, il
regolamento attuativo e gli artt. 16 e 23 d.P.R. n. 1035 del 1972, che disciplinano l’iter della procedura , fino al trasferimento della proprietà dell’alloggio , comprese le pertinenze, in favore dell’assegnatario’. Essi, infatti, esclud erebbero ‘qualsiasi attività discrezionale della P.A. e interpretativa da parte del giudice’ e, con entrambe, la pretesa esistenza di una ‘ volontà comune ‘ delle parti a trattare in modo autonomo le due unità immobiliari, come, invece, erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata. Essa, pertanto, meriterebbe censura là dove afferma che, al momento della cessione, non potesse ‘ ritenersi provata la persistenza del vincolo pertinenziale tra l’alloggio e il box’, in contrasto, peraltro, con quanto accertato dalla stessa CTU espletata in giudizio. Viene lamentato, inoltre, che la Corte milanese, ‘aggirando il disposto di cui agli artt. 1362, comma 1, e 1350 cod. civ. ‘ , avrebbe operato un’indebita valutazione di singoli elementi del contratto, interpretando il complessivo comportamento delle parti, richiamato dal comma 2 dell’art. 1362’ cod. civ. ( mentre esso reca, in realtà, ‘ una norma meramente sussidiaria ‘, ragion per cui è fatto divieto al giudice di procedere in tal senso, quando il senso letterale è chiaro ed univoco), nonché omettendo di considerare che ‘nel caso di contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam , il criterio della valutazione del comportamento complessivo delle parti, non può evidenziare la formazione del contratto al di fuori dello scritto medesimo’.
Da quanto precede -conclude sul punto il ricorrente -‘deriva che gli elementi da cui la Corte di rinvio ha tratto il proprio erroneo convincimento sono del tutto avulsi dal rapporto sinallagmatico sopra individuato’, tali dovendo ritenersi ‘sia la raccomandata del 7 maggio 1980 ‘ , con la quale IACP fissò le modalità per il trasferimento della proprietà dell’alloggio, ‘ escludendo arbitrariamente la pertinenza box’, sia ‘la missiva del 16 giugno 1980, con la quale la Sig.ra COGNOME dichiarava di rinunciare
all’intestazione dell’appartamento in favore del fratello, sia ogni altra missiva inter partes relativa al box’, documenti, peraltro, dai quali non si evince la volontà espressa di escludere il vincolo pertinenziale tra i due beni.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 96, 99, 112, 115, 394 e 436 cod. proc. civ., nonché ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alle domande proposte in sede di rinvio’.
Si censura la sentenza impugnata in quanto essa, benché riconosca che oggetto del giudizio di rinvio sono le domande delle parti, e non già le censure alla sentenza di primo grado, avrebbe operato un indebito restringimento del ‘ thema decidendum ‘, in particolare ‘omettendo qualsiasi pronuncia sulla richiesta risarcitoria, derivante dagli illegittimi comportamenti tenuti prima da IACP e poi da ALER per ritardare ad oltranza il passaggio in proprietà dell’immobile assegnato’. Del pari, si censura l a sentenza impugnata per aver dichiarato una pretesa ‘inammissibilità della domanda riproposta in questa sede quale appello incidentale’, e ciò adducendo che sarebbe stato lo stesso odierno ricorrente ‘a chiedere di disporre in suo favore il trasferimento coattivo della proprietà del box, previa determinazione del prezzo di vendita effettivamente dovuto per legge’, cosi concludendo che deve considerarsi ‘domanda nuova quella di trasferimento coattivo della proprietà del box in suo favore, senza il pagamento di alcun s ovrapprezzo’.
Tuttavia, osserva il ricorrente, ‘per costante giurisprudenza è da escludersi che la domanda ex art. 96 cod. proc. civ. possa ritenersi tardiva o nuova’, potendo proporsi per la prima volta sia in appello che in cassazione.
Altrettanto infondata sarebbe la ‘ritenuta «novità» della domanda di trasferimento della proprietà del box senza il pagamento di alcun sovrapprezzo, in quanto da una più attenta lettura degli atti, anche tale domanda risulta così precisata sia in sede di operazioni peritali, sia in sede di precisazione delle conclusioni , come da memoria ex art. 426 cod. proc. civ.’, trattandosi, oltretutto, ‘di una mera « emendatio libelli »’.
Parimenti infondata, infine, dovrebbe ritenersi l’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale, già esclusa in occasione del primo giudizio di appello, donde l’esistenza, sul punto, di un giudicato.
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 2697 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata, là dove ha escluso l’avvenuto acquisto della proprietà del box per usucapione. Esito al quale essa è pervenuta sul rilievo che il Fermi, nell’ottobre 1989, ‘ha chiesto di subentrare nel contratto di locazione del box, con ciò riconoscendo la qualità di locatrice in capo ad RAGIONE_SOCIALE, ponendo in essere, anche in seguito, atti incompatibili con l’ animus possidendi uti dominus ‘, in particolare provvedendo, dal 1997, a corrispondere i canoni non erogati dalla sorella, ‘così riconosc endo l’esistenza dell’altrui diritto sul bene. La Corte ambrosiana, tuttavia, non avrebbe considerato che ‘il possesso continuato ultraventennale si deve intendere decorrere a far data dal 13 luglio 1973, data dell’immissione mediante contratto di assegnazione con patto di futura vendita e che la rinuncia della sorella e la richiesta di subentro, formulata nei giorni precedenti il rogito, erano finalizzate unicamente ad includere nella cessione anche la pertinenza box’.
Le conclusioni raggiunte dalla sentenza impugnata, inoltre, ‘mal si conciliano con le evidenze probatorie in atti e con quanto in precedenza affermato nella stessa sentenza di rinvio’, in particolare là dove essa dà atto che l’ALER Milano non ha formulato alcuna domanda di accertamento dell’occupazione ‘ sine titulo ‘ del box da parte del Fermi e di condanna dello stesso al risarcimento del danno per tale ragione. Inoltre, il giudice del rinvio, nel dare atto della domanda riconvenzionale formulata dall’odier no ricorrente, avrebbe da ciò dovuto ‘desumere l’assenza del preteso riconoscimento «circa l’esistenza dell’altrui diritto sul bene»’.
Infine, avendo il Fermi inoltrato sin dall’11 agosto 1977 richiesta di assegnazione dell’alloggio, deve ritenersi, ai fini dell’usucapione, che gli effetti del possesso retroagiscano dalla data della stipula -il 13 luglio 1973 -del contratto di assegnazione, e ciò in quanto, ai sensi degli artt. 2 e 3, commi 2 e 3, della legge n. 60 del 1963, ‘è previsto il riconoscimento dei canoni pagati per la locazione come versati agli effetti del riscatto’. Del resto, si assume, questa Corte ha affermato che gli alloggi di edilizia residenziale pubblica possono essere acquistati per usucapione ventennale, ‘qualora l’inquilino possegga l’immobile con l’intenzione di acquistarlo e non nella veste di semplice locatario’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso , l’ ALER Milano, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ., in origine innanzi alla Seconda Sezione civile di questa Corte. Essa, tuttavia, con ordinanza interlocutoria n. 18277/24, del 3 luglio 2024, ha disposto -dopo che la Prima
Presidente di questa Corte aveva rilevato la tardività, ex art. 376 cod. proc. civ., dell’istanza con cui il ricorrente aveva chiesto la rimessione delle questioni oggetto della proposta impugnazione innanzi alle Sezioni Unite -rinvio del ricorso a nuovo ruolo, con riassegnazione a questa Terza Sezione Civile competente tabellarmente a conoscere delle controversie in materia di locazione, e ciò in accoglimento della richiesta formulata, in via subordinata, dal Fermi.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo Sostituto, ha rassegnato conclusioni scritte, concludendo per il rigetto del ricorso.
Il ricorrente, dopo aver depositato memoria in vista dell’adunanza camerale svoltasi innanzi alla Seconda Sezione civile di questa Corte, ha depositato nuova memoria, in occasione della presente adunanza, reiterando l’istanza di rimettere alle Sezioni Unite la trattazione del presente ricorso, affinché siano esse a decidere sulle questioni di legittimità costituzionale e/o di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizi a dell’Unione europea in merito all’assenza di criteri discretivi che orientino questa Corte nella scelta di destinare la trattazione dei ricorsi a pubblica udienza o ad adunanza camerale.
Con provvedimento del Presidente Aggiunto di questa Corte, del 19 novembre 2024, anche tale nuova istanza è stata, tuttavia, rigettata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
‘ In limine ‘ , reputa questo Collegio di dover fugare i dubbi di costituzionalità (e di contrarietà al diritto dell’Unione europea) avanzati dal ricorrente -ancora, nell’ultima memoria depositata
in vista della presente adunanza camerale -in ordine alla ‘cameralizzazione’ del giudizio innanzi a questa Corte .
8.1. Al riguardo, invero, deve ribadirsi quanto già affermato da questa Corte in relazione al giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ.
Si è, infatti, ritenuto -per un verso -che il rito camerale di legittimità ‘non partecipato’, quale tendenziale procedimento ordinario per il contenzioso, per lo più, non connotato da valenza nomofilattica, sia ‘ispirato ad esigenze di semplificazione, snellimento e deflazione del contenzioso in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo ex artt. 111 Cost. e 6 CEDU, nonché di quello di effettività della tutela giurisdizionale’, precisandosi, oltretutto, che ‘il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU ed avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di «particolari ragioni giustificative», ove «obiettive e razionali» (Corte cost., sent. n. 80 del 2011), da ravvisarsi in relazione alla conformazione complessiva di tale procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non rivestenti peculiare complessità’ (Cass. Sez. 6-5, ord. 2 marzo 2017, n. 5371, Rv. 643480-01 e Rv. 643480-02). Per altro verso, poi, è stato affermato che la trattazione con il rito camerale è ‘pienamente rispettosa sia del diritto di difesa delle parti, le quali, tempestivamente avvisate entro un termine adeguato del giorno fissato per l’adunanza, possono esporre compiutamente i propri assunti, sia del principio del contraddittorio, anche nei confronti del Procuratore Generale, sulle cui conclusioni è sempre consentito svolgere osservazioni scritte’ (Cass. Sez. 1, ord. 5 aprile 2017, n. 8869, Rv. 64351602).
9. Tanto premesso, il ricorso è da rigettare.
9.1. Lo scrutinio dei cinque motivi in cui esso si articola richiede -secondo questo Collegio -una breve premessa, in ordine sia ai fatti oggetto di giudizio (da illustrare soprattutto nel loro sviluppo diacronico), sia al contenuto delle censure proposte dal Fermi, anche nella prospettiva di una loro ‘ reductio ad un unum ‘ , che ne agevoli la disamina.
9.1.1. Il 13 luglio 1973 NOME COGNOME concludeva, con lo IACP di Milano, un contratto di locazione, relativo tanto ad un alloggio di edilizia residenziale pubblica sito nel capoluogo lombardo in INDIRIZZO quanto ad un box/autorimessa, esistente nella stessa INDIRIZZO
In data 7 maggio 1980, veniva proposta -ai sensi ai sensi delle leggi 14 febbraio 1963, n. 60 e 8 agosto 1977, n. 513 -quella che il ricorrente indica come ‘domanda di trasferimento’ del bene. In relazione ad essa, lo IACP specificava le modalità in forza delle quali operare il trasferimento, per £ 30.000.000, con la precisazione espressa che tale prezzo era indicato ‘es cluso box’.
Con atto del 16 giugno 1980, la COGNOME dichiarava di rinunciare all’intestazione del (solo) appartamento, in favore del fratello NOME
Nell’anno 1987 lo IACP intimava a NOME COGNOME sfratto per morosità in relazione alla locazione del box/autorimessa, procedimento all’esito della quale (con sentenza n. 13351/1993 del Pretore di Milano) veniva dichiarato risolto tale contratto, per inadempimento della conduttrice.
Il 28 settembre 1989, NOME COGNOME dichiarava di rinunciare all’intestazione anche del box in favore del fratello NOMECOGNOME il quale, pochi giorni dopo -il 4 ottobre 1989 -presentava
domanda allo IACP ‘allo scopo di sostituirsi nell’intestazione contrattuale’ alla propria congiunta, domanda non accolta dall’Ente, stante la pendenza del giudizio di sfratto, relativo allo stesso bene, promossa nei confronti della sorella dell’odierno ricorrente.
In data 29 novembre 1989, NOME COGNOME acquistava dallo IACP la proprietà dell’appartamento.
Intervenuta nel 1993, come detto, la sentenza pretorile che dichiarava risolto il contratto di locazione del box/autorimessa, contratto concluso da NOME COGNOME e dallo IACP, nel corso della procedura di esecuzione per rilascio, NOME COGNOME -il 16 aprile 1997 -provvedeva al pagamento dei canoni dovuti dalla sorella NOME
Le trattative tra lo IACP e NOME COGNOME -iniziate a partire da una sua convocazione presso l’Ente, sempre nel 1993 per la conclusione, tra di essi, di un contratto di locazione del ridetto box/autorimessa non andavano a buon fine.
In data 24 gennaio 2011 l’ALER Milano (già IACP) intimava a NOME COGNOME sfratto per morosità, sul presupposto che con il medesimo fosse, ‘ de facto ‘ , intervenuto un contratto di locazione, tesi, però, smentita da questa Corte nella sentenza ‘rescindente’ che ha dato origine al giudizio di rinvio, sul presupposto che, trattandosi di contratto di una Pubblica Amministrazione, esso avrebbe dovuto rivestire, ‘ ad substantiam ‘, la forma scritta. Proprio su queste basi, dunque, oltre che sul rilievo che l’ALER Milano non ha mai proposto -in via di subordine -domanda di accertamento d ell’occupazione ‘ sine titulo ‘ del bene da parte del Fermi, il giudice del rinvio ha respinto le domande di rilascio del bene e di risarcimento del danno proposte dall’ALER .
9.1.2. Così inquadrati i fatti, le questioni che ancora residuano all’esame di questa Corte sono quelle -oggetto delle
riconvenzionali del Fermi -relative, da un lato, alla pretesa nullità parziale del contratto di compravendita del 29 novembre 1989, giacché esso avrebbe dovuto contemplare anche il box/autorimessa (donde la necessità di un’eterointegrazione del contenuto della pattuizione negoziale, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.), nonché, dall’altro, al supposto acquisto, comunque, ‘ ad usucapionem ‘, della proprietà del box/autorimessa.
Il primo di tali esiti, in particolare, sarebbe imposto -in ragione della natura ‘pertinenziale’ del box rispetto all’alloggio o dall’applicazione della normativa di cui alle citate leggi n. 60 del 1963 e n. 513 del 1977 (giacché il diritto da esse contemplato, di ‘convertire’ la locazione in compravendita, dovrebbe riguardare i due beni, visto che entrambi erano stati oggetto del contratto concluso nel lontano 1973 da NOME COGNOME nei diritti della quale il fratello è subentrato), o, quantomeno in ragione della disciplina ‘vincolistica’ di cui alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150, 6 agosto 1967, n. 765, e 24 marzo 1989, n. 122.
In alternativa, come detto, a tale duplice prospettazione (sulla quale insistono, rispettivamente, i motivi primo, secondo e terzo del ricorso), il ricorrente deduce, con il quinto motivo, l’ avvenuto acquisto almeno per usucapione del box/autorimessa. E ciò sul presupposto -diretto a contrastare l’affermazione della Corte ambrosiana, secondo cui NOME COGNOME, ‘saldando’ nel 1997 la morosità, non propria, ma della sorella NOME, ha riconosciuto l’esistenza dell’altrui ( di ALER Milano) diritto, così pon endo in essere un atto incompatibile rispetto al c.d. ‘ animus possidendi uti dominus ‘ -che il termine per l’usucapione dovrebbe farsi decorrere, retroattivamente, dall’assegnazione del bene conseguita dalla sorella, alla quale egli è subentrato. La locazione conclusa dalla stessa, infatti, era finalizzata a ‘riscattare’ la proprietà del bene (o meglio, a convertire la locazione in compravendita), ex artt. 2 e 3 legge n. 60 del 1963.
10. Ciò detto, deve rilevarsi -ancora , e per l’ultima volta, con notazione preliminare -che i motivi propongono, oltre quelle che di seguito specificamente si illustreranno, anche censure di ‘difetto di motivazione’ . Esse, però, risultano ‘ prima facie ‘ infondate, perché la motivazione è presente, è perfettamente intellegibile e si colloca ben al di sopra del minimo costituzionale (cfr. cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 62983001, nonché, ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01). La sentenza impugnata, dunque, risulta immune dal pur denunciato ‘difetto di motivazione’, ravvisabile, ormai -ovvero, nel testo dell’art. 360 cod. proc. civ. ‘novellato’ dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto -legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (testo applicabile ‘ ratione temporis ‘ al presente giudizio) solo nella ‘quadruplice’ ipotesi individuata dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit .), e cioè, allorché ricorra : ‘la «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico» e la «motivazione apparente»; il «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e la «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, al § 10.9, pag. 24).
10.1. Esaurita tale, doverosa, premessa, passando alla disamina dei motivi di ricorso, deve rilevarsi che il primo di essi non è fondato.
10.1.1. Esso pone una questione -quella relativa alla possibilità di estendere alle autorimesse, data la loro natura di bene pertinenziale, il diritto di ‘riscatto’ (o meglio, di conversione
della locazione in acquisto del bene) previsto, per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, dagli artt. 2 e 3 della legge n. 60 del 1963, come venutisi modificando in forza di sopravvenuti interventi normativi -che è sostanzialmente inedita nella giurisprudenza di questa Corte. Della stessa, infatti, si sono occupati solo marginalmente due arresti che si andranno, di seguito, a meglio illustrare (si tratta di Cass. Sez. 2, sent. 4 febbraio 2016, n. 2237 e Cass. Sez. 1, sent. 4 settembre 2017, n. 20720).
Al riguardo, la Corte ambrosiana ammette, in astratto, che -con il contratto del 1973 –NOME COGNOME e lo IACP, ‘individuando unitariamente le due unità immobiliari oggetto della locazione, ben potessero aver inteso destinare il box a servizio del bene principale, in presenza di entrambi i presupposti, oggettivo e soggettivo, per la costituzione del vincolo pertinen ziale’ , ma reputa, tuttavia, che essi ‘abbiano ritenuto non più persistente la destinazione pertinenziale del box e abbiano posto in essere atti finalizzati a regolare separatamente le sorti del box rispetto a quelle dell’alloggio principale’. Atti ravvisati, in particolare, nell’invio della raccomandata del 7 maggio 1980, con cui lo IACP indicava alla Fermi le modalità per trasferire la proprietà dell’alloggio, ed il relativo prezzo d’acquisto, ‘escluso box’, nonché nella missiva del successivo 16 giugno, con cui ella ‘aveva rinunciato all’intestazione del solo appartamento’; essi, infatti, nella prospettiva della sentenza impugnata, denoterebbero la volontà delle parti di ‘diversificare’ la destinazione dei due beni, atteso che la proprietà dell’alloggio sarebbe stata conseguibile dall’odierno ricorrente NOME COGNOME riservandosi, invece, la sorella NOME la disponibilità del box, conseguita in forza della già conclusa locazione.
Orbene, per contrastare tale impostazione -che, negando la sussistenza ( recte : la persistenza) del rapporto pertinenziale tra
alloggio e box, esclude la possibilità di affermare che la locazione unitaria dei due beni attribuisse all’intestataria (e poi, in virtù della sua rinuncia in favore del fratello, ad esso NOME COGNOME) il diritto di convertire la locazione in compravendita -parte ricorrente si affida, come si vedrà meglio, ai motivi di ricorso secondo e terzo. Infatti, con l’uno, il ricorrente deduce che il box deve intendersi alla stregua di una pertinenza ‘ ex lege ‘, in forza della disciplina -che assume ‘inderogabile’ dall’autonomia privata -di cui alle leggi n. 765 del 1967 e n. 122 del 1989. Con l’altro (proposto, nella sostanza, in via di subordine), contesta che il contratto di locazione del 1973 -in quanto destinato a rivestire la forma scritta ‘ ad substantiam ‘ -possa essere interpretato in forza del canone ermeneutico che attribuisce rilievo al comportamento successivo dei contraenti. Contegno dal quale la Corte ambrosiana -secondo la prospettazione (per vero, non limpidissima) del Fermi -avrebbe ricostruito la volontà dei contraenti di ritenere i due beni oggetto di pattuizioni ‘autonome’, ancorché inserite nel medesimo testo contratt uale.
‘A monte’, tuttavia, resta il tema come detto, oggetto del primo motivo di ricorso, che qui si esamina -relativo all’ambito applicativo della legge 60 del 1963, ovvero se il diritto da essa contemplato sia applicabile ai soli alloggi di edilizia residenziale pubblica, o, al contrario, si estenda alle loro pertinenze.
Nell’esaminarlo, deve muoversi dalla indiscutibile premessa che quello contemplato dalla legge suddetta è, a tutti gli effetti, un diritto soggettivo sottratto a qualsiasi valutazione discrezionale dell’amministrazione (così già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 1989, n. 1551, Rv. 462347-01; in senso conforme, Cass. Sez. Un., sent. 9 novembre 1992, n. 12072, Rv. 479407-01; Cass. Sez. 1, sent. 14 giugno 2000, n. 8101, Rv. 53758201), ‘con la conseguenza che l’attività propedeutica alla stipulazione del contratt o’ di compravendita -‘risulta totalmente vincolata, non
essendo lasciato all’amministrazione alcuno spazio di valutazione e ponderazione di interessi pubblici in ordine all’agire nel caso concreto’ (Cass. Sez. 1, sent. 2 ottobre 2003, n. 14698, Rv. 567311-01). Di conseguenza, tale diritto, ormai, è ritenuto tutelabile -a dispetto di qualche iniziale incertezza giurisprudenziale, che postulava il ricorso alla sola tutela risarcitoria (Cass. Sez. 2, sent. 14 luglio 1994, n. 6621, Rv. 487399-01) -anche ‘in forma specifica’, essendosi affermato che, qualora ‘il pr ocedimento attivato con la presentazione della domanda di riscatto si concluda con l’accettazione e la comunicazione del prezzo da parte dell’amministrazione, l’assegnatario in locazione, in mancanza di fatti impeditivi sopravvenuti (come la decadenza o la revoca dell ‘ assegnazione), diviene titolare di un diritto soggettivo alla stipula del contratto di compravendita, suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.’ (Cass. Sez. 1, sent. 20 marzo 2015, n. 5689, Rv. 634681-01; in senso conforme, Cass. Sez. 1, sent. 21 febbraio 2017, n. 4400, Rv. 643874-02; Cass. Sez. 1, sent. 10 febbraio 2021, n. 3280, Rv. 660507-01; Cass. Sez. 2, sent. 16 febbraio 2022, n. 5032, Rv. 663922-01).
Decisivo è, pertanto, stabilire se, già ai sensi della suddetta legge n. 60 del 1963 (come successivamente modificata e integrata, in particolare dalla legge n. 513 del 1977), i locali box/autorimesse, al pari degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, risultino ricompresi -secondo quella che è la prospettazione del primo motivo di ricorso -nel suddetto diritto, tutelabile ex art. 2932 cod. civ.
La questione, come si notava, è stata, in passato, solo ‘sfiorat a ‘ da questa Corte.
Essa, per vero, ha affrontato, più volte, una differente questione (ovvero, quella relativa al canone da corrispondersi per i locali, degli immobili di edilizia residenziale pubblica, non aventi
destinazione abitativa), dalla cui risoluzione, tuttavia, questo Collegio reputa di poter trarre decisivi elementi di valutazione per risolvere la questione oggetto del primo motivo del presente ricorso.
Difatti, nella giurisprudenza di questa Corte si trova ripetutamente affermato il principio secondo cui il c.d. ‘canone sociale’ previsto per tali immobili (in particolare, dagli artt. 22 e 23 della legge 513 del 1977), riguarda ‘solo gli alloggi e, cioè, gli immobili destinati ad abitazione, e non anche i locali con diversa destinazione’, i quali ‘restano estranei alla disciplina speciale stabilita da tale legge in tema di canoni minimi dell’edilizia residenziale’, cosicché gli Istituti Autonomi Case Popol ari, già sotto il vigore della legge n. 60 del 1963, ‘anche per quel che attiene alla determinazione del canone, si trovano nella situazione di qualsiasi altro locatore privato’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 24 aprile 1995, n. 4609, Rv. 492011-01, che richiama Cass. Sez. 1, sent. 27 gennaio 1986, n. 518, Rv. 444113-01 e Cass. Sez. 3, sent. 16 gennaio 1976, n. 152, Rv. 378790-01).
Si tratta di principio, tra l’altro, affermato dal l’arresto appena citato -proprio con specifico riferimento ai locali autorimesse, nonché in relazione ad un caso in cui esse risultavano ‘locate non successivamente all’assegnazione dell’alloggio e con separato contratto, bensì originariamente insieme all’abitazione, con unico contratto e canone unitario’ (come nella fattispecie oggetto del presente giudizio), essendosi precisato che per tali locali, ‘pur in presenza di un collegamento con gli alloggi, non sussistono finalità di carattere sociale tali da giustificare un trattamento speciale e privilegiato (così Cass. Sez. 3, sent. n. 4609 del 1995, cit .).
Sulla scorta, dunque, di tali considerazioni (e in particolare, dell’ultima, che sottolinea l’assenza di ‘finalità di carattere
sociale’, sottostanti alla locazione di un’autorimessa, pur ‘contestuale’ a quella di un alloggio di edilizia residenziale pubblica), si deve pervenire, secondo questo Collegio, alla conclusione secondo cui i locali con destinazione non abitativa restano sottratti al diritto soggettivo alla stipula del contratto di compravendita, invocato, invece, dal ricorrente in forza della legge n. 60 del 1963 e successive modificazioni.
Di tale questione, come detto, questa Corte era stata chiamata, in passato, ad occuparsi, senza, però, poterla definire nel merito. Detta pronuncia (si tratta di Cass. Sez. 2, sent. n. 2237 del 2016, cit .) ha, comunque, ribadito quanto in precedenza affermato a proposito del corrispettivo della locazione; ovvero, che ‘la normativa applicabile in materia di determinazione del canone sociale riguarda unicamente gli alloggi, cioè le case di abitazione, e non si estende ai locali aventi diversa destinazione, quali i box, rispetto ai quali RAGIONE_SOCIALE si trova nella situazione di qualsiasi altro locatore privato ai fini della determinazione del canone di locazione’, precisando che ‘il rapporto di pertinenzialità tra box ed appartamento assegnato non è di ostacolo alla p ossibilità di convenire, con l’assegnatario dell’alloggio, uno specifico canone per il godimento dell’autorimessa’ (in termini analoghi si veda pure Cass. Sez. 1, sent. 20720 del 2017, cit .).
In particolare, con la prima delle decisioni qui citate, questa Corte avrebbe dovuto vagliare, tra le altre, pure la pretesa avanzata da alcuni assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica, i quali -sul presupposto di aver esercitato il diritto di trasformare la locazione in compravendita -‘chiedevano, pertanto, che venisse dichiarato non più dovuto alcun canone di locazione per i boxes, da ritenersi come pertinenze e quindi ricompresi negli alloggi, dalla data di stipula dei relativi rogiti’. Nondimeno, questa Corte non ha avuto, allora, occasione di pronunciarsi sulla questione, essendosi limitata a ribadire quanto
statuito dalla sentenza resa in seconde cure, ovvero che la questione suddetta dovesse ritenersi inammissibile perché proposta ‘per la prima volta in appello’ (cfr . Cass. Sez. 2, sent. n. 2237 del 2016, cit ., in particolare pag. 18).
Pur in assenza, tuttavia, di precedenti specifici, questo Collegio, come detto, reputa di dover trarre dall’affermazione , ripetutamente presente nella giurisprudenza di questa Corte, che limita l’applicazione -quanto alla determinazione della misura del canone locatizio -della disciplina speciale di cui alla legge n. 60 del 1963, e successive modificazioni, unicamente alle locazioni degli alloggi (i soli immobili per i quali, come detto, sussistono finalità di carattere sociale, tali da giustificare un trattamento speciale e privilegiato), l’ espressione di un principio più generale. Ovvero, quello secondo cui esclusivamente tali beni -anche nella prospettiva, tracciata dall’art. 47 Cost., di favorire l’accesso alla proprietà dell’abitazione sono oggetto, pur in caso di contestuale locazione, con gli stessi, di altri locali, del diritto a convertire il contratto di locazione in compravendita, ai sensi della suddetta legge n. 60 del 1963 e successive modificazioni.
10.2. Anche il secondo motivo non è fondato.
10.2.1. Esso, come più volte sottolineato, mira ad affermare il diritto dell’assegnatario dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica -a conseguire l’acquisto in proprietà pure dell’autorimessa locata -in forza de lla disciplina ‘vincolisitica’ di cui alle leggi n. 1150 del 1942, n. 765 del 1967 e n. 122 del 1989.
Nell’esaminarlo, occorre muovere dalla costatazione che, secondo questa Corte, il vincolo di destinazione sancito dall ‘art. 18 della legge n. 765 del 1967, che ha introdotto, nel testo della legge 1150 del 1942, l’art. 41 -sexies (la sola norma, come si dirà, applicabile ‘ ratione temporis ‘ alla presente fattispecie) , ‘ è
indubbiamente di natura pubblicistica perché teso a realizzare l’interesse generale ad un corretto uso del suolo pubblico, ma incide sui rapporti privatistici, nel senso che non può ritenersi consentito che attraverso questi ultimi venga vanificata la real izzazione dell’interesse perseguito dalla norma’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 1992, n. 2337, Rv. 475940-01, con riferimento, in particolare, all’art. 18 della legge n. 765 del 1967, che, come noto, ha introdotto nel testo della le gge 1150 del 1942 l’art. 41 -sexies ).
Su tali basi, pertanto, si è ritenuto che ‘allorquando il proprietario cede il godimento della sua unità abitativa, in attuazione di un contratto di locazione, non può non cedere al conduttore anche l’uso dell’area di parcheggio, essendo questo riservato, in forza di norma inderogabile, a colui che occupa l’unità abitativa, a prescindere dal titolo reale o obbligatorio, che ne legittima il godimento’, di talché, qualora ‘il locatore escluda dalla locazione dell’unità abitativa la locazione dell’area di parc heggio ad essa inerente’, secondo il rapporto di pertinenzialità ‘stabilito dall’art. 18 della legge 765 -1967, non si ha tuttavia nullità dell’intero contratto per contrarietà a norme imperative, ma solo nullità parziale del contratto nella parte in cui ha escluso ovvero non ha previsto la locazione dell’area di parcheggio unitamente alla locazione dell’unità abitativa’, trovando, invece, ‘applicazione il secondo comma dell’articolo 1419 cod. civ. in relazione all’articolo 1374 dello stesso codice, dovendos i ritenere, per quanto sopra detto, che, per effetto dell’articolo 18 della l. n. 765 del 1967, conseguenza legale della locazione di unità abitativa sia il trasferimento al conduttore del diritto del proprietario locatore al godimento dell’area destinata a parcheggio realizzata nell’immobile in cui si trova la detta unità’ (così C ass. Sez. 3, sent. n. 2337 del 1992, cit .).
Tali principi, peraltro ribaditi anche da giurisprudenza successiva (Cass. Sez. 3, sent. 3 ottobre 2005, n. 19308, Rv. 584477-01, richiamata dal ricorrente), non giovano, tuttavia, alla tesi del Fermi.
La disciplina di cui all ‘art. 18 della legge n. 765 del 1967 (ma altrettanto è dirsi per quella di cui all’art. 28 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, la cui portata innovativa rispetto al suddetto art. 18 è stata esclusa da questa Corte; cfr., per tutte, Cass. Sez. Un., sent. 18 luglio 1989, n. 3363, Rv. 463405-01), non può essere invocata dal ricorrente a sostegno della sua tesi.
Come, infatti, correttamente osservato dal Procuratore Generale presso questa Corte, dalla normativa suddetta non deriva affatto un obbligo di alienazione congiunta dell’immobile e del l’autorimessa ad esso pertinenziale, dal momento, che su quest’ultima, il suddetto art. 41bis della l. n. 1150 del 1942 (introdotto, come detto, dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967) configura solo un diritto reale d’uso (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 4 febbraio 1999, n. 973, Rv. 522947-01; Cass. Sez. 2, sent. 7 giugno 2002, n. 8262, Rv. 554961-01; Cass. Sez. 2, sent. 1° agosto 2008, n. 21003, Rv. 605247-01; Cass. Sez. 2, sent. 11 febbraio 2009, n. 3393, Rv. 606780-01; Cass. Sez. 2, sent. 27 gennaio 2012, n. 1214, Rv. 621122-01; Cass. Sez. 6-2, ord- 5 giugno 2012, n. 9090, Rv. 622653-01; Cass. Sez. 2, sent. 21 novembre 2016, n. 23669, Rv. 641652-01; Cass. Sez. 2, sent. 4 luglio 2017, n. 16411, Rv. 644771-01; Cass. Sez. 2, ord. 15 gennaio 2024, n. 1436, Rv. 669973-01).
Coglie, dunque, nel segno il rilievo del Procuratore Generale, secondo cui, poiché il Fermi ha proposto, nel presente giudizio, una domanda volta a ottenere una pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ., relativa al trasferimento della proprietà del box, previa determinazione del prezzo di vendita, oppure una pronuncia dichiarativa della nullità parziale del contratto di
vendita dell’alloggio con eterointegrazione del suo contenuto, di modo da includervi, nuovamente, la proprietà dell’autorimessa, ma non una domanda di accertamento del diritto reale d’uso dell’area destinata a parcheggio condominiale ai sensi dell’art. 41 -sexies della legge 1150 del 1942 (nel testo novellato dall’art. 26 della legge 47 del 1985), non è ravvisabile, nella specie, la violazione della normativa recata da tale norma.
Né, d’altra parte, può ravvisarsi violazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 122 del 1989, esso sì idoneo ad impedire la separata circolazione della proprietà degli immobili e dei box ad essi pertinenziali e tale, dunque, da determinare la nullità (con conseguente sostituzione ‘ ope legis ‘ dalla norma imperativa, ai sensi dell’art. 1419, comma 2, cod. civ.) delle clausole dei contratti di vendita che dovessero diversamente disporre. Difatti, il box/autorimessa in questione risulta essere stato edificato prima dell’entrata in vigore della legge suddetta, la cui disciplina non è quindi applicabile, ‘ ratione temporis ‘ alla presente fattispecie.
In conclusione, deve segnalarsi, anche a fini nomofilattici, che il regime dei locali destinati a parcheggio (dei quali è stato, infine, ‘liberalizzato’ , senza però alcun effetto retroattivo, il trasferimento separato dagli immobili, in forza dell’inserzione -da parte dell’art. 12, comma 9, della legge 28 novembre 2005, n. 246 -di un comma 2 nel testo dell’art. 41 -sexies della legge 1150 del 1942, a mente del quale ‘g li spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d’uso a fav ore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse ‘) risulta essere disciplinato, nel tempo, nei termini di seguito meglio indicati.
Il susseguirsi, infatti, degli interventi legislativi suddetti ‘ ha determinato l ‘ esistenza di tre diverse tipologie di parcheggio,
assoggettate a regimi giuridici differenziati tra di loro: a) i parcheggi soggetti ad un vincolo pubblicistico di destinazione, produttivo di un diritto reale d’uso in favore dei condomini e di un vincolo pertinenziale « ex lege » che non ne esclude l ‘ alienabilità separatamente dall ‘ unità immobiliare, disciplinati dall ‘ art. 18 della legge n. 765 del 1967 (art. 41sexies della legge n. 1150 del 1942); b) i parcheggi soggetti al vincolo pubblicistico d ‘ inscindibilità con l ‘ unità immobiliare, introdotti dall ‘ art. 2 della l. n. 122 del 1989, assoggettati ad un regime di circolazione controllata e di utilizzazione vincolata e, conseguentemente non trasferibili autonomamente; c) i parcheggi non rientranti nelle due specie sopra illustrate, perché realizzati in eccedenza rispetto agli spazi minimi inderogabilmente richiesti dalla disciplina normativa pubblicistica, ad utilizzazione e a circolazione libera; d) i parcheggi disciplinati dall ‘ art. 12, comma 9, della l. n. 246 del 2005 di definitiva liberalizzazione del regime di circolazione e trasferimento delle aree destinate a parcheggio ma con esclusivo riferimento al futuro, ovvero alle costruzioni non ancora realizzate e a quelle per le quali non sia ancora intervenuta la stipulazione delle vendite delle singole unità immobiliari, al momento della sua entrata in vigore ‘ (così, Cass. Sez. 2, sent. n. 21003 del 2008, cit .; in senso conforme Cass. Sez. 2, sent. 28 gennaio 2019, n. 2265, Rv. 652351-01).
Nel caso di specie, come illustrato, è la disciplina di cui all’ art. 41sexies della legge n. 1150 del 1942 a trovare applicazione, donde la configurabilità, al più, di un diritto reale d’uso sul box oggetto di causa, diritto del quale il Fermi, tuttavia, non risulta aver chiesto il riconoscimento.
10.3. Il terzo motivo è, invece, inammissibile.
10.3.1. Esso, invero, pone questioni -relative al (supposto) non corretto impiego dei criteri dell’ermeneutica contrattuale, per ricostruire la portata del contratto concluso tra l’allora IACP e la dante causa dell’odierno ricorrente (ovvero, sua sorella NOME COGNOME) -che appaiono, per così dire, ‘eccentriche’ rispetto al ‘ thema decidendum ‘.
Nella specie, infatti, non si tratta di ‘interpretare’ la volontà delle parti che diedero vita a quella pattuizione contrattuale, bensì di stabilire se la necessità dell’inclusione del box/autorimessa nel contratto di compravendita dell’alloggio fosse un effetto ‘legale’ , derivante dall’applicazione della legge n. 60 del 1963 (e sue successive modificazioni), ovvero dal peculiare vincolo di destinazione pubblicistica che caratterizza tale bene e dalla disciplina ad esso relativa , nella specie da individuarsi nell’ art. 41sexies della legge n. 1150 del 1942.
Lo scrutinio del motivo, in altri termini, è fatalmente condizionato dall’esito cui ha condotto quello dei due che lo precedono, risultando sostanzialmente inidoneo ad incidere sull’affermazione della Corte territoriale, che ha escluso l’applicazione della normativa richiamata dal Fermi ancora in questa sede.
La sostanziale non attinenza, dunque, delle questioni oggetto del motivo in esame rispetto al ‘ thema decidendum ‘ del presente giudizio rende, per ciò solo, le stesse inammissibili (da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 9 aprile 2024, n. 9450, Rv. 670733-01).
10.4. Il quarto motivo, al pari di quello che lo precede, è inammissibile.
10.4.1. Esso , per un verso, non coglie la ‘ ratio decidendi ‘ della sentenza impugnata, mentre, per altro verso, non soddisfa il requisito di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
Deve, infatti, rilevarsi che la sentenza impugnata non ha affatto riferito alla domanda ex art. 96 cod. proc. civ. (come invece sostenuto dal ricorrente) la declaratoria di inammissibilità per novità; né, d’altra parte, ricorre alcuna ‘omessa pronuncia’ in ordine a tale domanda, ma piuttosto un rigetto implicito, esito discendente dalla constatazione che il comportamento dell’ALER sia stato del tutto legittimo. Ricorre, dunque, la fattispecie dell’assorbimento improprio, da ravvisare ‘quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni’, sicché ‘l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazion e della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa’ (Cass. Sez. 1, ord. 12 novembre 2018, n. 28995, Rv. 651580-01; in senso analogo Cass Sez. Lav., sent. 22 giugno 2020, n. 12193, Rv. 658099-01).
Quanto, poi, alla censura che investe la ritenuta novità della domanda di trasferimento coattivo del box/autorimessa senza alcun sovrapprezzo, il ricorrente assume che da ‘una più attenta lettura degli atti, anche tale domanda risulta così precisata sia in sede di operazioni peritali, sia in sede di p.c., come da memoria ex art. 426 cod. proc. civ.’, trattandosi, oltretutto, ‘di una mera « emendatio libelli »’. Il ricorrente, però, manca di riprodurre tali scritti defensionali nella misura necessaria a comprovare il suo assunto, donde l’inammissibilità della censura ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., non avendo provveduto a soddisfare quell’onere di ‘puntuale indicazione’ del documento o atto su cui si fonda il ricorso (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 18 marzo 2022, n.
8950, Rv. 664409-01), che è richiesto dalla suddetta norma del codice di rito civile, pur nell’interpretazione ‘non formalistica’ della stessa che -in base al testé citato arresto delle Sezioni Unite -s’impone alla luce della sentenza della Corte EDU Suc ci e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021. Il tutto, peraltro, non senza considerare che l’accoglimento di tale domanda di trasferimento coattivo, a prescindere dalla sua novità o meno, risulterebbe, comunque, precluso dall’impossibilità di applicare la no rmativa (richiamata dal Fermi nell’illustrazione dei primi due motivi di ricorso) che avrebbero impedito -nella sua erronea prospettiva -di disporre separatamente dell’alloggio e del box/autorimessa.
10.5. Il quinto motivo, infine, non è fondato.
10.5.1. È infatti, corretto l’assunto della Corte milanese, là dove ha ritenuto incompatibile con il c.d. ‘ aminus possidendi uti dominus ‘ il pagamento, da parte del Fermi, dei canoni dovuti dalla sorella, giacché equivale a riconoscimento che essa avesse una mera detenzione del bene ; né, d’altra parte, può sostenersi che la rinuncia di costei, in suo favore, all’intestazione del box, possa far ‘retroagire’ addirittura alla data della conclusione del contratto di locazione la consapevolezza di pagare i canoni per poi avvalersi del diritto di trasformare la locazione in compravendita. Né, infine, è conferente l’arresto (Cass. Sez. 2, sent. 7 luglio 2000, n. 9106, Rv. 538318-01) citato dal ricorrente a sostegno del motivo, che riguarda una fattispecie del tutto diversa, ovvero quella di preliminare di vendita ad effetti anticipati.
11. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti.
Invero, poiché la questione oggetto del primo motivo di ricorso risulta priva di precedente specifici, nella giurisprudenza di questa Corte, siffatta evenienza integra taluno di quei ‘giust i motivi ‘ che consentono la compensazione, ex art. 92, comma 2, cod. proc. civ.
Nella specie, infatti, la norma da ultimo citata trova applicazione, ‘ ratione temporis ‘, nel testo modificato dall’art. 58, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (il quale si limitava a prevedere che i ‘giusti motivi’ dovessero essere esplicitati in motivazione), e ciò essendo stato il primo grado della presente controversia instaurato con intimazione di sfratto per morosità, notificata il 24 novembre 2011.
13. A carico del ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulter iore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della