Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8298 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8298 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
OGGETTO: scioglimento comunione ordinaria
R.G. 9550/2018
C.C. 5-3-2024
sul ricorso n. 9550/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma presso di lui, nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
COGNOME, c.f. CODICE_FISCALE,
intimata avverso la sentenza n. 1359/2017 della Corte d’appello di Roma pubblica in data 1-3-2017,
udita la relazione della causa svolta COGNOMEa camera di consiglio del 5-32024 dal consigliere NOME COGNOME, lette le conclusioni del Pubblico Ministero, COGNOMEa persona della AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
1.Il Tribunale di Velletri, con sentenza n.270/2009 pubblicata il 62-2009, decidendo COGNOMEa causa di scioglimento della comunione ordinaria proposta da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME
con atto di citazione notificato il 19-6-2001, ha assegnato a NOME COGNOME la proprietà esclusiva dell’immobile, relativo a unità immobiliare al piano primo, interno 3 nel fabbricato sito a INDIRIZZO INDIRIZZO, con relativo box, second o l’individuazione catastale specificata in sentenza; ha disposto che NOME COGNOME versasse a NOME COGNOME la somma di Euro 87.893,00 corrispondente al valore della quota di spettanza come determinato dal c.t.u. in Euro 93.250,00, decurtato di Euro 22.232,00 pari alla metà delle modifiche migliorative e maggiorato di Euro 16.875,00 pari alla metà del valore economico dell’indennità di occupazione dovuta dal convenuto in conseguenza dell’utilizzazione esclusiva dell’immobile da febbraio 2002 a ottobre 2005, con interessi dalla domanda, compensando le spese di lite.
2.Entrambe le parti hanno proposto appelli, riuniti e decisi dalla Corte d’appello di Roma con sentenza n. 13 59/2017 pubblicata il I-32017; in parziale accoglimento delle impugnazioni e in parziale riforma della sentenza impugnata, per il resto integralmente confermata, la Corte d’appello ha dichiarato l’obbligo dell’assegnatario dell’immobile NOME COGNOME di pagare il conguaglio di Euro 93.250,00 a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento della comunione, con gli interessi successivi; inoltre ha condannato NOME COGNOME a pagare a NOME COGNOME, a titolo della metà del valore dell’indennità di occupazione per il periodo da giugno 2001 a febbraio 2009, Euro 375,00 per ciascuna mensilità, con gli interessi legali da ciascuna scadenza al saldo; ha condannato NOME COGNOME a pagare a NOME COGNOME Euro 4.365,52 oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo, di cui Euro 2.569,70 pari alla metà degli esborsi dimostrati per opere migliorative dell’immobile ed Euro 2.065,82 pari alla metà delle spese notarili; ha compensato le spese del grado.
3.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
NOME COGNOME, alla quale il ricorso è stato ritualmente notificato a mezzo pec, con consegna del messaggio il 28-3-2018 al difensore domiciliatario all’indirizzo EMAIL, è rimasta intimata.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e con ordinanza interlocutoria n. 34674/2023 ne è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo in ragione della pendenza avanti le Sezioni Unite di questioni relative all’ingiustificato arricchimento che potevano in astratto interessare i motivi di ricorso dal secondo al quinto; nei termini di cui all’art. 380bis.1 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato le sue conclusioni scritte e il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 5-3-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo , rubricato ‘ in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. per la disapplicazione degli artt. 118 e 210 c.p.c. e la conseguente falsa ed erronea applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 184 (in vigore prima della sostituzione disposta dal citato decreto legge n. 35 del 2005 ed applicabile al caso de quo ratione temporis) ‘ , il ricorrente l amenta che la Corte d’appello abbia ritenuto di non poter considerare ai fini della decisione i documenti prodotti all’udienza del 14-3-2007 in primo grado, relativi agli estratti conto bancari, ritenendoli inammissibili in quanto prodotti tardivamente dopo il decorso del termine di cui all’art. 184 cod. proc. civ. all’epoca vigente; evidenzia che in questo modo la sentenza non ha considerato che, COGNOMEe note ex art. 184 cod. proc. civ. tempestivamente depositate, egli aveva richiesto l’emissione di ordine di esibizione a carico della Banca Nazionale del Lavoro, con riguardo alle distinte di richiesta di emissione di assegni circolari, alle distinte di versamento sul conto corrente
intestato a NOME COGNOME e agli estratti conto con tutte le operazioni; aggiunge che il giudice all’udienza del 5 -10-2005 aveva emesso l’ordine di esibizione a carico di Banca Nazionale del Lavoro , autorizzando il procuratore del convenuto a ricevere dagli Istituti bancari i documenti, così assolvendo gli stessi dall’ordine di esibizione e il 14-3-2007 era stato eseguito il deposito dei documenti, in adempimento dell’ordine di esibizione . Quindi sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare gli estratti conto al fine di trarne la prova dei pagamenti eseguiti da NOME COGNOME.
1.1.Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata (pag.4), in accoglimento delle censure di NOME COGNOME sul punto, ha dichiarato che la documentazione volta a dimostrare i pagamenti effettuati da NOME COGNOME per l’immobile comune ritualmente acquisita era solo quella depositata nel termine fissato ex art. 184 cod. proc. civ. all’epoca vigente per la produzione di documenti; ha dichiarato inammissibili i documenti prodotti dal convenuto all’udienza del 14 -3-2007, relativi agli estratti conto bancari, in quanto tardivamente prodotti, senza che potesse valere a renderli utilizzabili ai fini della decisione la mancanza di tempestive eccezioni della controparte.
In questo modo la sentenza ha implicitamente revocato l’ordine di esibizione al quale fa riferimento il ricorrente emesso dal giudice di primo grado, ritenendo che non ricorressero i presupposti per la sua emissione, o comunque non ha tenuto conto dei documenti prodotti sulla base di un ordine di esibizione del quale ha esattamente ritenuto non sussistere i presupposti. Infatti, il convenuto non avrebbe potuto chiedere l’ordine di esibizione con riguardo a documenti che, in quanto relativi al rapporto da lui stesso intrattenuto con la banca, avrebbe potuto personalmente procurarsi e produrre in giudizio nel termine fissato per la relativa produzione. E’ acquisito il principio secondo il
quale l’ordine di esibizione costituisce strumento istruttorio residuale, che può essere utilizzato solo in caso di impossibilità di acquisire la prova dei fatti con altri mezzi e non per supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’istante e che è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito (Cass. Sez. 2 3-11-2021 n. 31251 Rv. 662746-01, Cass. Sez. 2 29-10-2010 n. 22196 Rv. 614699-01).
2.Con il secondo motivo, formulato ‘in relazione all’art. 360, primo comma n. 4 c.p.c. per la violazione dell’art. 342 (in vigore prima della modifica portata D.L. 22 giugno 2012, n.83 ed applicabile al caso de quo ratione temporis) mancando lo specifico motivo di impugnazione’, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, pur in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione in tal senso, abbia riformato la sentenza di primo grado; sostiene che il Tribunale non avrebbe potuto considerare l’aumento di valore dei miglioramenti alla cosa comune apportati dal comproprietario NOME COGNOME a sua cura e spese, ma soltanto il rimborso degli oneri; rileva che, mancando una specifica deduzione e illustrazione del motivo e non avendo egli neppure potuto difendersi sul punto, la Corte d’appello non avrebbe potuto escludere il riconoscimento delle somme già riconosciute dal giudice di primo grado.
2.1.Il motivo è infondato.
Sulla base del contenuto del motivo di appello di NOME COGNOME riportato nel ricorso e COGNOMEa sentenza impugnata, il motivo aveva ad oggetto il fatto che le opere eseguite COGNOME‘immobile fossero state riconosciute per importo superiore a quello richiesto. La sentenza impugnata in primo luogo ha ritenuto il vizio di ultrapetizione, perché le opere migliorative erano state richieste dal comproprietario COGNOME per l’importo di Euro 18.075,99 oltre Euro 774,00 e invece la condanna era stata pronunciata dal giudice di primo grado a carico di COGNOME per
l’importo di Euro 22.232,00 . Di seguito la sentenza ha esaminato anche le contestazioni mosse dall’appellante COGNOME alla valutazione delle opere migliorative eseguite dal giudice di primo grado sulla base della consulenza tecnica d’ufficio che, ritenendo l’ammontare dei costi documentati non esaustivo dell ‘entità delle opere COGNOMEo stato da lui verificato al momento dell’accesso, ha valutato il plusvalore delle opere migliorative COGNOMEa valorizzazione massima di Euro 44.464,00; la sentenza ha dichiarato fondate le contestazioni, rilevando che al comproprietario che avesse eseguito miglioramenti non spettava indennità pari all’aumento di valore del bene per i miglioramenti, ma solo il rimborso degli oneri sostenuti; quindi, sulla base della produzione documentale ritualmente eseguita, ha riquantificato in diminuzione l’impo rto spettante a NOME COGNOME in Euro 5.139,00 complessivamente, posto a carico di COGNOME COGNOME‘importo della metà di Euro 2.569,70. In questo modo la Corte d’appello, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non ha pronunciato oltre i limiti del motivo di appello, ma ha esercitato il potere ad essa spettante di interpretare il motivo, in quanto la sentenza ha espressamente dichiarato che l’appellante aveva contestato la valutazione delle opere migliorative e ha dichiarato le contestazioni fondate. Il ricorrente non nega, né dimostra, che tale contestazione non fosse stata eseguita, ma fonda la sua tesi sul fatto che quella contestazione dovesse essere svolta COGNOME‘atto di appello; però, al fine di proporre motivo di appello ammissibile ex art.342 cod. proc. civ., era sufficiente che l’appellante censurasse la decisione con una parte volitiva e una parte argomentativa, senza che ciò precludesse alla Corte d’appello di esaminare le deduzioni svolte nel corso del giudizio di appello, in quanto ugualmente finalizzate a ottenere la riforma della sentenza impugnata sostenendo che fossero stati riconosciuti importi superiori a quelli spettanti per le opere eseguite. In altri termini, a fronte
dell’argomento svolto COGNOME‘atto di appello secondo il quale le opere non avrebbero potuto essere riconosciute per importo superiore a Euro 19.924,75 sulla base del contenuto della domanda, nonché a fronte dell’argomento pure svolto COGNOME‘atto di appello secondo il quale dovevano essere esaminati solo i documenti prodotti entro il termine a tal fine fissato, è stata devoluta alla cognizione del giudice d’appello la questione relativa alla quantificazione e alla documentazione dei lavori eseguiti; la Corte territoriale ha risolto tale questione riconoscendo soltanto i costi documentati delle opere eseguite, sulla base di argomentazioni che, in quanto svolte dall’appellante COGNOME nel corso del giudizio di appello, la controparte COGNOME ha potuto contestare.
3.Con il terzo motivo, ‘ in relazione all’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c. per la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.’ il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto fondato il motivo di appello con il quale NOME COGNOME aveva dedotto il vizio di ultrapetizione lamentando che la domanda per il rimborso delle spese sostenute per le migliorie fosse stato limitato in primo grado all’importo di Euro 18.075,99 oltre Euro 774,68; evidenzia che la domanda era stata formulata per l’importo complessivo ‘oltre interessi e rivalutazione dalla data degli esborsi’ e quindi, considerato che i lavori erano stati eseguiti tra il 1995 e il 1998, il riconoscimento delle migliorie posto dalla sentenza di primo grado a carico di COGNOME era nettamente inferiore alla somma richiesta a tale titolo.
3.1.Il rigetto del secondo motivo comporta che il terzo motivo sia inammissibile.
Secondo quanto già esposto, il motivo di appello formulato in modo ammissibile aveva devoluto alla cognizione del giudice di appello la questione della determinazione degli importi spettanti al comproprietario COGNOME per i lavori eseguiti. Il motivo è stato accolto non perché la pronuncia di primo grado fosse avvenuta ultrapetita, ma
perché erano stati erroneamente determinati gli importi spettanti per i lavori eseguiti , con riferimento all’aumento di valore dell’immobile anziché con riguardo agli esborsi eseguiti.
4.Con il quarto motivo, ‘in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. per violazione degli artt. 1298 e 1299 c.c.’, il ricorrente lamenta che sia stata rigettata la sua domanda volta a ottenere il rimborso di £.31.500.000 pari a quanto da lui pagato in più al momento dell’acquisto pro indiviso dell’immobile , acquistato in comproprietà al cinquanta per cento. Evidenzia che erroneamente la sentenza impugnata ha rigettato tale domanda sulla base del presupposto che non fosse stato specificato a che titolo fosse stata corrisposta una quota di prezzo superiore all’altra coobbligata; richiama gli artt. 1298 e 1299 cod. civ., secondo i quali nei rapporti interni l’obbligazione si divide tra i condebitori, si presume l’eguaglianza delle quote e il condebitore che paga in più ha diritto di regresso; quindi, era il condebitore al quale era stata chiesta la ripetizione che avrebbe dovuto dedurre e dimostrare il titolo che giustificasse i differenti importi dei pagamenti.
4.1.Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha riconosciuto che il giudice di primo grado aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale proposta da COGNOME al fine di ottenere la restituzione di £.31.500.000 da lui pagata in più rispetto a COGNOME per l’acquisto dell’immobile in comproprietà. Ha dichiarato che la domanda non poteva essere accolta, in quanto NOME COGNOME non aveva specificato a che titolo avesse corrisposto una parte di prezzo superiore all’altro acquirente , benché gli immobili fossero stati acquistati in comproprietà pro indiviso al cinquanta per cento, e perciò non aveva specificato il titolo (mutuo, indebito arricchimento) sottostante alla domanda di rimborso.
Diversamente, come già statuito da questa Corte, cfr. Cass. Sez. 2 18-10-2023 n. 28957 Rv. 669276-01 , con riguardo all’acquisto pro
indiviso di un bene immobile, le quote dei partecipanti alla comunione si presumono uguali, agli effetti dell’art. 1101 cod. civ., salvo che COGNOMEo stesso contratto costitutivo del diritto di comunione le rispettive partes dominicae non siano diversamente determinate dalle parti (Cass. Sez. 2 6-9-1967 n. 2145 Rv. 329287-01); gli acquirenti restano obbligati in solido ex artt. 1294 e 1115 cod. civ. al pagamento del prezzo e il comproprietario che ha pagato al venditore un importo maggiore rispetto alla parte di prezzo da lui dovuta ha diritto di regresso ex art. 1298 e 1999 cod. civ. Neppure in caso di acquisto pro indiviso di immobile eseguito da due conviventi more uxorio per quote uguali in difetto di diversa indicazione del titolo, stante la presunzione di cui all’art. 1101 cod. civ., il maggiore apporto fornito dal co -acquirente COGNOMEa corresponsione del prezzo può presumersi eseguito a titolo di liberalità con giustificazione COGNOMEa convivenza, senza che sia fornita prova dell’ animus donandi; quindi, in difetto di tale prova, il convivente che abbia sborsato una somma maggiore ha il diritto di ottenere dall’altro il rimborso della parte eccedente la sua quota (Cass. Sez. 2 14-7-2021 n. 20062 Rv. 662014-01).
5 .Con il quinto motivo, ‘ in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 1102 cod. civ.’ il ricorrente lamenta che sia stata riconosciuta alla comproprietaria indennità di occupazione, nonostante l’art. 1102 cod. civ. preveda che ciascun comproprietario può servirsi della cosa comune e NOME COGNOME avesse facoltà di utilizzare l’immobile al pari di NOME COGNOME; dichiara che l’immobile era abbastanza ampio per accogliere due persone e ciò sarebbe stato possibile anche in mancanza di convivenza more uxorio, condividendo gli spazi comuni e utilizzando una camera ciascuno; rileva che, qualora tale utilizzo diretto non fosse stato ritenuto conveniente da NOME COGNOME, ella avrebbe avuto l’onere di chiedere un diverso utilizzo COGNOMEe forme previste per l’amministrazione della cosa comune e sostiene che,
in mancanza, non vi sia titolo dal quale si possa ritenere sorta l’obbligazione di pagamento dell’indennità di occupazione.
5.1.Il motivo è infondato.
Deve darsi continuità al principio secondo il quale in materia di comunione del diritto di proprietà, allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto, tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune secondo quanto prescrive l’art.1102 cod. civ. , i comproprietari possono deliberarne l’uso indiretto. In mancanza di deliberazione, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo , senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili con decorrenza dalla data in cui allo stesso perviene manifestazione di volontà degli altri comproprietari di avere un uso turnario o comunque di godere per la loro parte del bene (Cass. Sez. 2 18-4-2023 n. 10264 Rv. 66763901; Cass. Sez. 2 20-1-2022 n. 1738 Rv. 663639-01, Cass. Sez. 2 9-22015 n. 2423 Rv. 634127-01). Non contengono principi di segno diverso i precedenti richiamati dal ricorrente COGNOMEa memoria illustrativa: sia Cass. Sez. 2 8-11-2023 n. 31105 Rv. 669376-01 sia Cass. Sez. 2 19-1-2024 n. 2047, i quali richiamano espressamente in motivazione Cass. 10264/2023 e altri precedenti analoghi, a loro volta confermano che il comproprietario che abbia utilizzato in via esclusiva il bene comune è tenuto al pagamento dei frutti, allorché sussista prova di sottrazione o impedimento assoluto all’esercizio delle facoltà di godimento spettanti agli altri comproprietari.
Nella fattispecie la sentenza impugnata, accogliendo parzialmente il motivo di appello di NOME COGNOME sull’indennità di occupazione, ha riconosciuto l’indennità di occupazione per il periodo compreso tra
la data della domanda giudiziale a giugno 2001, dichiarando espressamente che con la domanda per la prima volta la comproprietaria aveva manifestato il suo interesse a una utilizzazione quanto meno indiretta del bene ritraendone i frutti civili per la parte di sua spettanza; ha riconosciuto i frutti fino a febbraio 2009, data di pubblicazione della sentenza di primo grado, con la quale era stato pronunciato lo scioglimento della comunione. In questo modo la sentenza ha fatto applicazione del principio esposto, in quanto ha riconosciuto i frutti solo dal momento in cui la comproprietaria, con la proposizione della domanda giudiziale, ha manifestato la volontà di godimento dell’immobile.
Inoltre la sentenza, rigettando il motivo di appello incidentale di NOME COGNOME sull’indennità di occupazione, ha rilevato che lo stesso era stato l’unico ad abitare effettivamente COGNOME‘appartamento, che lo stesso vi si chiudeva dentro dall’interno per impedire l’accesso a terzi e ciò rendeva irrilevante il fatto che NOME COGNOME fosse rimasta in possesso delle chiavi, in quanto la stessa evidentemente non era interessata a una convivenza. In questo modo la Corte territoriale, svolgendo l’accertam ento di fatto a essa spettante, insindacabile in questa sede in quanto non censurato in modo ammissibile dal ricorrente, ha accertato che non era possibile ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. un godimento diretto con pari uso da parte dei comproprietari.
In conclusione la sentenza ha accertato l’esistenza di entrambi i requisiti per il riconoscimento dei frutti civili in caso di godimento esclusivo dell’immobile da parte di uno dei comproprietari, riferiti all’impossibilità del godimento diretto con pari uso da parte de i comproprietari e alla formulazione della richiesta di partecipazione al godimento.
6. All’esito della disamina di tutti i motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente al quarto motivo che viene accolto,
con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione per l’applicazione del seguente principio di diritto: «in caso di acquisto pro indiviso di bene immobile per quote uguali, il comproprietario che abbia pagato al venditore un importo maggiore rispetto alla parte di prezzo da lui dovuta ha diritto di regresso per la parte eccedente la sua quota verso l’altro condividente , il quale non dimostri l’ animus donandi ».
Il giudice del rinvio statuirà anche sulle spese del giudizio di legittimità ex art. 385 co. 3 cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione per la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, COGNOMEa camera di consiglio della seconda sezione