Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30133 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 30133 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/11/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 9027/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Lussemburgo, INDIRIZZO, in persona del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante AVV_NOTAIO, e RAGIONE_SOCIALE, con sede in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante NOME COGNOME, entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al ricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO.
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Bologna, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO
NOME COGNOME, ed RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Bologna, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al controricorso, dagli AVV_NOTAIO AVV_NOTAIOri NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultima (RAGIONE_SOCIALE) in Roma, alla INDIRIZZO.
–
contro
ricorrenti –
e
RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; MEDIOBANCA -BANCA DI CREDITO FINANZIARIO; COGNOME NOME.
–
intimate
–
al quale sono stati abbinati i ricorsi successivamente proposti, rispettivamente, da
RAGIONE_SOCIALE (anche nella qualità di successore a titolo particolare, ex art. 111 cod. proc. civ., di NOME COGNOME), con sede in Lussemburgo, INDIRIZZO, in persona dei legali rappresentanti NOME COGNOME e NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, con sede in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante NOME COGNOME, entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al ric orso, dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIONOME COGNOME e dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultimo in Roma, al INDIRIZZO.
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Bologna, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale dottAVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME, ed RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE), con sede in Bologna, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al controricorso, dagli AVV_NOTAIO AVV_NOTAIOri NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultima (RAGIONE_SOCIALE) in Roma, alla INDIRIZZO n. 43.
–
contro
ricorrenti –
e
RAGIONE_SOCIALE , con sede in Parigi, alla INDIRIZZO (e sede secondaria in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO), in persona dei procuratori speciali NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO.
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; MEDIOBANCA -BANCA DI CREDITO FINANZIARIO.
–
intimate – e da
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Lussemburgo, INDIRIZZO, in persona dei legali rappresentanti NOME COGNOME e NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, con sede in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO, in persona dell’ammi nistratore delegato e legale rappresentante NOME COGNOME, entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al ricorso, dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIONOME COGNOME e dall’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con cui elettivamente d omiciliano presso lo studio di quest’ultimo in Roma, al INDIRIZZO.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Bologna, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ed RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Bologna, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al controricorso, dagli AVV_NOTAIO AVV_NOTAIOri NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domiciliano presso lo studio di quest’ultima (RAGIONE_SOCIALE) in Roma, alla INDIRIZZO .
–
contro
ricorrenti –
e
RAGIONE_SOCIALE , con sede in Parigi, alla INDIRIZZO (e sede secondaria in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO), in persona dei procuratori speciali NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO.
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contro
ricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; MEDIOBANCA -BANCA DI CREDITO FINANZIARIO; COGNOME NOME.
–
intimate
–
avverso la sentenza, n. cron. 2534/2020, della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA, pubblicata in data 28/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 06/11/2025 dal AVV_NOTAIO;
udito il AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili tutti i motivi dei vari ricorsi, con applicazione, per la questione di importanza
nomofilattica, dell’art. 363, comma 3, cod. proc. civ. e con rettifica della sentenza di appello in punto spese legali di RAGIONE_SOCIALE In subordine, rigettarsi tutti i motivi di ciascun ricorso;
udito, per la ricorrente RAGIONE_SOCIALE, l’ AVV_NOTAIO che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
udito, per la ricorrente RAGIONE_SOCIALE, l’AVV_NOTAIO, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
udito, per la ricorrente RAGIONE_SOCIALE, l’ AVV_NOTAIO, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
uditi, per le controricorrenti RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, l’ AVV_NOTAIO e gli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno chiesto il rigetto dei ricorsi;
udita, per la controricorrente RAGIONE_SOCIALE, l’AVV_NOTAIO, per delega dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili o comunque rigettarsi tutti i ricorsi.
lette le memorie ex art. 378 cod. proc. civ. depositate dalle parti.
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato, RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche UGF) e RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) citarono NOME COGNOME e le società di diritto lussemburghese RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, oltre alla società fiduciaria RAGIONE_SOCIALE, innanzi al Tribunale di Bologna chiedendo: a ) dichiararsi la nullità e/o l’ invalidità delle dichiarazioni di recesso inviate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalle menzionate società di diritto lussemburghese (dichiarazioni di recesso tutte sottoscritte da RAGIONE_SOCIALE, intestataria fiduciaria delle partecipazioni) a RAGIONE_SOCIALE (di seguito semplicemente RAGIONE_SOCIALE); b ) accertarsi che a ciascuna delle convenute non spettava alcun diritto di recesso in conseguenza della
deliberazione di fusione tra RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, adottata dall’assemblea di quest’ultima in Bologna il 25 ottobre 2013, con l’ulteriore conseguenza che RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stata tenuta a liquidare ad alcuna delle medesime convenute le azioni di cui esse erano titolari in RAGIONE_SOCIALE.
A fondamento di tali domande esposero che: i ) il 29 gennaio 2012, RAGIONE_SOCIALE (società holding del gruppo RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da NOME COGNOME in qualità di presidente del consiglio di amministrazione ed amministratore delegato; la holding controllava la società di aRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e quest’ultima a sua volta controllava RAGIONE_SOCIALE) ed RAGIONE_SOCIALE (società holding del gruppo RAGIONE_SOCIALE) avevano siglato un RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALEimento al fine di risolvere la situazione di crisi nella quale versava il RAGIONE_SOCIALE. In tale ambito, era stata progettata l’integrazione, mediante fusione per incorporazione in RAGIONE_SOCIALE, di RAGIONE_SOCIALE, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE L’ RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALEimento prevedeva, infatti, un’operazione di rafforzamento patrimoniale del RAGIONE_SOCIALE da realizzarsi -in un contesto unitario ed inscindibile -mediante interventi di ripatrimonializzazione sia di RAGIONE_SOCIALE (quale beneficiaria di un aumento di capitale e di un piano di risanamento con connessa ristrutturazione del proprio indebitamento finanziario) che di RAGIONE_SOCIALE (quale beneficiaria di un aumento di capitale e della successiva fusione) ed una finale incorporazione in RAGIONE_SOCIALE delle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. In particolare, per RAGIONE_SOCIALE detti interventi erano funzionali a consentire il rispetto dei vincoli imposti dalla disciplina vigente in materia di margine di solvibilità delle società assicurative, così da scongiurare l’avvio di una procedura commissariale (e, poi, anche concorsuale) a carico della stessa e, al contempo, rispondere alle sempre più frequenti richieste formulate dall’RAGIONE_SOCIALE in ordine al necessario ed urgente ripristino del margine di solvibilità della società di assicurazione; oltreché, evidentemente, per risanare l’esposizione debitoria della capogruppo RAGIONE_SOCIALE; ii ) il controllo della famiglia COGNOME su RAGIONE_SOCIALE, e quindi su
RAGIONE_SOCIALE e su RAGIONE_SOCIALE, era stato esercitato, tra l’altro, tramite le società RAGIONE_SOCIALE (società di diritto lussemburghese, controllata da NOME COGNOME, la quale ne era pure legale rappresentante), RAGIONE_SOCIALE (società di diritto lussemburghese controllata da NOME COGNOME, la quale ne era pure legale rappresentante) e RAGIONE_SOCIALE (società di diritto lussemburghese controllata da NOME COGNOME, il quale ne era pure legale rappresentante), oltreché tramite altre società riferibili alla famiglia COGNOME, quali RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; iii ) RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e la stessa NOME COGNOME (in quanto titolare personalmente di azioni RAGIONE_SOCIALE) erano tra loro legate da un patto parasociale che raggruppava un numero di azioni superiore al 50% del capitale sociale di COGNOME avente diritto di voto; iv ) tutti g li amministratori di RAGIONE_SOCIALE venivano tratti dall’unica lista presentata da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, mentre NOMENOME NOME e NOME COGNOME erano pure titolari di incarichi apicali nel RAGIONE_SOCIALE: in particolare, NOME COGNOME era stata fino al 18 settembre 2012 presidente del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME era stata presidente del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE fino al 24 aprile 2012 e, poi, vicepresidente, NOME COGNOME era stato fino al 30 ottobre 2012 membro del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE e del comitato esecutivo. Tutti gli amministratori di RAGIONE_SOCIALE erano tratti da una lista presentata da RAGIONE_SOCIALE e tutti gli amministratori di RAGIONE_SOCIALE erano tratti da una lista presentata da RAGIONE_SOCIALE. Conseguentemente, tutti gli amministratori delle società del gruppo erano espressione di scelte riferibili alla famiglia COGNOME; v ) tutte le convenute, dunque, avevano rivestito posizioni soggettive e ruoli societari che avrebbero loro consentito di non avviare o comunque di bloccare il Progetto di Integrazione per Fusione da realizzarsi mediante incorporazione in RAGIONE_SOCIALE SAI di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE: Progetto di Integrazione per Fusione che era
inscindibilmente collegato al suddetto RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALEimento siglato il 29 gennaio 2012 tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Al contrario, esse, assumendo un atteggiamento evidentemente opportunistico, avevano prima concorso in modo determinante, tramite plurime azioni e condotte dirette ed indirette, all’assunzione, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di tutte le deliberazioni volte all’avvio ed alla realizzazione del Progetto di Integrazione per Fusione , e, poi, avevano cercato di dissociarsene non partecipando alla deliberazione assunta da RAGIONE_SOCIALE e con la quale, il 25 ottobre 2013, era stata approvata la Fusione , inviando, quindi, subito dopo le dichiarazioni di recesso; vi ) in altri termini, le convenute società e NOME COGNOME, dopo avere consentito l’ingresso di UGF nel capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE per ‘ salvare ‘ sia la stessa RAGIONE_SOCIALE, che la controllata RAGIONE_SOCIALE e, così, l’intero RAGIONE_SOCIALE, avevano cercato di dissociarsene immediatamente (al fine di precostituirsi un titolo formale per esercitare il diritto di recesso nel contesto della Fusione ), in violazione di qualsiasi principio di correttezza e buona fede, ponendosi nella situazione di un qualsiasi azionista di minoranza di RAGIONE_SOCIALE, costretto a ‘subire’ una decisione adottata dalla maggioranza, mentre essi appartenevano al nucleo di azionisti di riferimento della società che aveva assunto tutte le decisioni strategiche degli ultimi anni, permettendo e consentendo la realizzazione della Fusione ; vii ) le dichiarazioni pervenute in RAGIONE_SOCIALE il 6 novembre 2013, con le quali NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano esercitato il recesso da RAGIONE_SOCIALE dovevano ritenersi, in ogni caso, inammissibili, perché recanti vizi formali. In primo luogo, in quanto ad esse non erano state allegate le prescritte (dal TUF) attestazioni dell’intermediario relative alla titolarità delle azioni stesse. Infatti, le dichiarazioni allegate alle lettere di recesso avevano solo attestato la titolarità delle azioni in capo alla società fiduciaria e non anche in capo ai singoli soci recedenti, in contrasto con le stesse dichiarazioni di questi ultimi, i quali avevano affermato che la certificazione resa dall’intermediario avrebbe accertato la proprietà delle azioni in capo a NOME COGNOME, a RAGIONE_SOCIALE, ad RAGIONE_SOCIALE ed a RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE; inoltre, alcune delle attestazioni avevano riportato la data errata della delibera di fusione (il 28.10.2013 anziché il 25.10.2013); infine, le dichiarazioni di recesso non erano state incondizionate, risultando così inammissibili. In secondo luogo, ed in un’ ottica meno formale, il recesso esercitato dalle convenute, socie di RAGIONE_SOCIALE, doveva considerarsi comunque illegittimo, come evincibile dal dettato dell’art. 2437 cod. civ., che attribuisce il diritto di recesso ‘ ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni ….’, mentre, al contrario, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, per quanto sopra evidenziato, avevano concorso , ponendo in essere una pluralità di atti, direttamente ed indirettamente, alla deliberazione relativa alla Fusione per incorporazione. Ciò in quanto tale deliberazione aveva costituito il punto di approdo di un articolato procedimento che le convenute, nella loro qualità di socie di controllo di RAGIONE_SOCIALE, avevano contribuito ad attuare, svolgendo un ruolo essenziale sia nella decisione iniziale che nella successiva realizzazione del Progetto di Integrazione per Fusione e, quindi, nell’ambito dello stesso, della Fusione medesima, permettendo, prima di tutto, la sottoscrizione dell’ RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALEimento da parte di RAGIONE_SOCIALE: RAGIONE_SOCIALE in virtù del quale il Progetto di Integrazione costituiva un unicum inscindibile rispetto agli aumenti di capitale, e, quindi, all’assunzione di tutte le delibere (ivi incluse quelle di aumento dei capitale) strumentali alla Fusione , in particolare la delibera avente ad oggetto l’aumento di capitale RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Instauratosi il contraddittorio, si costituirono NOME COGNOME e le società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ciascuna di esse unitamente alla RAGIONE_SOCIALE, avente la titolarità fiduciaria delle azioni. Tutte le convenute contestarono le avverse pretese per quanto di rispettiva ragione e conclusero per il rigetto delle domande proposte nei loro confronti, con conseguente accertamento della legittimità dell’esercizio del diritto di recesso da esse esercitato. In via riconvenzionale, chiesero condannarsi le attrici al risarcimento del danno subito da ciascuna di loro. Ottennero, inoltre, preliminarmente,
l’autorizzazione a chiamare in causa RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE al fine di poter essere manlevate da queste ultime per l’ipotesi in cui il tribunale avesse ritenuto inidonee le certificazioni allegate alle dichiarazioni di recesso inoltrate dalle socie, avendo esse banche predisposto le dette certificazioni.
1.2. Si costituirono pure le terze chiamate in causa RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ciascuna chiedendo respingersi le domande proposte nei loro confronti da parte delle convenute.
1.3. Con sentenza del 3 ottobre 2017, n. 2085, l’adito Tribunale di Bologna così dispose: « Accerta e dichiara che a ciascuno dei convenuti non spetta il diritto di recesso in conseguenza della deliberazione di fusione tra RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) adottata dall’assemblea di quest’ultima in Bologna in data 25 ottobre 2013, e che, quindi, è valida e conforme a diritto la decisione di RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) di non consentire a ciascuno dei convenuti l’esercizio del recesso; Accerta e dichiara che RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) non è tenuta a liquidare ad alcuno dei convenuti le azioni di cui sono titolari in RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE); Rigetta tutte le domande riconvenzionali proposte dai convenuti; Rigetta le domande proposte dai convenuti nei confronti di BNP RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; Rigetta le domande proposte dai convenuti nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Condanna altresì i convenuti, in solido, a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in € 30.000,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e 15,00 % per spese generali; Condanna altresì i convenuti, in solido, a rimborsare alla parte terza chiamata BNP RAGIONE_SOCIALE le spese di lite, che si liquidano in € 15.000,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e 15,00 % per spese generali; Condanna altresì i convenuti,
in solido, a rimborsare alla parte terza chiamata RAGIONE_SOCIALE le spese di lite, che si liquidano in € 15.000,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e 15,00 % per spese generali ».
Pronunciando sui gravami autonomamente proposti, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, contro quella decisione, la Corte di appello di Bologna, previa loro riunione, li decise con sentenza del 28 settembre 2020, n. 2534, resa nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ed RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e nella contumacia di NOME COGNOME, con cui così dispose: « In parziale riforma della sentenza impugnata ed in parziale accoglimento dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, condanna le convenute in primo grado, ad eccezione di RAGIONE_SOCIALE, al pagamento delle spese di lite di BNP RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE come già rispettivamente liquidate dalla sentenza stessa; rigetta nel resto gli appelli di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e condanna le stesse appellanti al pagamento delle spese di lite in favore delle appellate, che si liquidano, per la parte RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, ed RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, in euro 55.000 di compensi, oltre spese generali 15% c.p. ed iva se dovuta; e, per le parti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in euro 25.000 di compensi per ciascuna, oltre spese generali 15% c.p. ed iva se dovuta ».
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte, dopo aver disatteso alcune eccezioni pregiudiziali: i ) esaminò, innanzitutto, la questione del significato da attribuire all’espressione del vigente testo dell’art. 2437, comma 1, cod. civ. (‘ i soci che non hanno concorso alle deliberazioni ‘, invece
che, come in quello previgente, i soli ‘ soci dissenzienti ‘, ma, si riteneva, ex art. 2437, comma 2, cod. civ. previgente, anche gli assenti, questi, però, fino a prova contraria) come a suo tempo novellato dalla riforma del diritto societario del 2003. Affermò, in proposito, che « ragioni testuali e logiche militano comunque per l’allargamento del ‘concorso alle deliberazioni’ oltre la platea dei soci che avessero espresso il loro finale voto favorevole in assemblea, e quindi in ragione di una valutazione non coincidente con il formale riscontro del loro essere ivi assenti, dissenzienti, astenuti ». Spiegò che il termine ‘ concorrere ‘ « ha di per sé un generale significato di contribuire, compartecipare, collaborare, cooperare; e se si fosse voluto limitarne a contrario il senso ai soli soci assenti, astenuti o dissenzienti si sarebbe potuto espressamente farlo, come avvenuto nell’art. 2377 c.c. per l’impugnazione delle delibere assembleari, pure potenzialmente lesive delle posizioni dei soci, norma in cui la cat egoria degli ‘astenuti’ è stata pure introdotta dalla riforma oltre a quella degli assenti e dissenzienti; ancora, non è identico il termine usato in tema di s.RAGIONE_SOCIALE. dagli artt. 2473, comma 1, e 2481 -bis c.c. (‘soci che non hanno consentito’, ovvero che non hanno dato il loro assenso), in effetti più preciso e circoscritto; infine neppure è identica l’espressione usata nel secondo comma del medesimo art. 2437 c.c., che specifica -per i casi derogabili da parte dell’autonomia privata tramite previsioni statutarie, in tesi, quindi, necessitanti di condizioni di esercizio legislativamente più puntuali -come il ‘concorso’ debba riguardare l’approvazione delle deliberazioni, ossia la formale adozione da parte dell’organo competente, dal che è lecito arguire che il ‘concorrere’ del pri mo comma, invece, non si leghi solamente a quest’ultimo elem ento. Dal punto di vista logico, poi, va osservato che sarebbe effettivamente in contrasto con le finalità della legge (tutela delle minoranze, facoltà di smobilizzo per tutelare il valore dell’investimento, ecc.) consentire a soci di controllo di contribu ire con apporto causale determinante nell’ambito di un’operazione in più fasi tra loro come si dirà inscindibilmente connesse -, alla delibera conclusiva, per poi dissociarsi da questa per motivi non inerenti al contenuto dell’operazione
stessa. Sotto il regime previgente (soli ‘dissenzienti’) si era del resto precisato che (Cass. 15957/2007) ‘il presupposto del recesso è costituito dal dissenso rispetto alla delibera che riguardi le cosiddette basi essenziali della società e che solo in questo senso il diritto di recesso è collegato al diritto di voto, in quanto il recesso è negato a chi ha votato a favore della delibera’, diritto di recesso collegato ‘non alla partecipazione all’assemblea e al voto, ma al dissenso rispetto alla delibera’. Non sono pertinenti, al riguardo, gli argRAGIONE_SOCIALE che le appellanti sembrano voler trarre dalla possibilità ora riconosciuta di un recesso parziale: in relazione al quale ‘posto che la nuova disciplina delle sRAGIONE_SOCIALE tende a porre al suo centro l’azione, piuttosto che la persona del socio, si è ritenuto di consentire il recesso per una parte della partecipazione, ritenendo coerente che, mutato il quadro dell’operazione, il socio voglia rischiare di meno, ma continuare ad essere socio.’ (Rel. governativa cit.), con il corollario, prospettato da taluni, che se si era espresso un voto parzialmente favorevole, almeno per questa parte di azioni il recesso non spetterebbe: in realtà, altro è il tema della legittimazione (spettante alla persona fisica o giuridica del socio), altro quello dell’aspetto ‘quantitativo’ del diritto (riguardante l’oggetto e non il soggetto del recesso). Ecco, allora, che va scrutinato se il comportamento dei soci recedenti -al fine della spettanza del diritto di recesso – costituisse fattivo, inequivocabile e consapevole contributo alla delibera di fusione, pur infine assunta in loro assenza »; ii ) ritenne che NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE avevano concorso alla delibera di Fusione , traendo tale conclusione: ii-a ) sia dal voto espresso a favore della delibera di Aumento di Capitale Riservato RAGIONE_SOCIALE , inscindibile rispetto alla Fusione , che aveva permesso ad UGF di assumere il controllo di diritto di RAGIONE_SOCIALE (UGF era divenuta titolare addirit tura dell’81% circa del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE) e che aveva costituito il presupposto essenziale ed inscindibile della Fusione : senza l’ Aumento di Capitale Riservato RAGIONE_SOCIALE , infatti, era certo (e pacifico) che non vi sarebbe stata la Fusione ; ii-b ) sia da plurime condotte -funzionali e prodromiche all’ Aumento di Capitale Riservato RAGIONE_SOCIALE ed alla Fusione –
poste in essere personalmente da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME che, all’epoca dei fatti di causa, erano membri dei consigli di amministrazione, a seconda dei casi, di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, nel contempo, legali rappresentanti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e delle quali erano stati -e lo erano ancora -anche i soci di controllo (il restante capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE s.a. era, all’epoca dei fatti di causa, di proprietà di NOME COGNOME, padre di NOME, NOME e NOME COGNOME); iii ) opinò, infine, che l’esercizio del diritto di recesso era stato illegittimo, perché avvenuto in contrasto con la clausola generale di buona fede ed il divieto di venire contra factum proprium . I soci di controllo di RAGIONE_SOCIALE, dopo avere consentito l’ingresso di UGF nel capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE come socio di maggioranza per ‘salvare’ la stessa RAGIONE_SOCIALE, la controllata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’intero RAGIONE_SOCIALE, avevano cercato, infatti, ma invano, di prenderne le distanze immediatamente dopo, in violazione di qualsiasi principio di correttezza e buona fede.
3. Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto separati ricorsi: a ) RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a tre motivi, cui hanno resistito, con unico controricorso, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ed RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE). Sono rimaste solo intimate le altre parti destinatarie della notificazione di tale ricorso; b ) RAGIONE_SOCIALE, anche in qualità di successore a titolo particolare di NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a tre motivi, cui hanno resistito, con unico controricorso, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ed RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), e, con altro controricorso, BNP RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Sono rimaste solo intimate le altre parti destinatarie della notificazione di questo ricorso; c ) RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a tre motivi, cui hanno resistito, con unico controricorso, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE) ed RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), e, con altro controricorso, BNP RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Sono rimaste solo intimate le altre parti destinatarie della notificazione di questo ricorso.
3.1. Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
3.2. La Prima Sezione civile di questa Corte, investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 17/27 aprile 2025, n. 11047, ha ritenuto che « La questione di diritto complessivamente posta dal primo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e dal secondo motivo di ciascuno dei ricorsi di RAGIONE_SOCIALE (anche quale successore a titolo particolare di NOME COGNOME), e RAGIONE_SOCIALE, e di NOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (concernente la corretta interpretazione dell’art. 2437, comma 1, cod. civ., rubricato Diritto di recesso , nella parte in cui dispone che ‘Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: ‘), attesane la particolare complessità e rilevanza (cfr. Cass., S.U., n. 14437 del 2018), l’assenza di specifici precedenti di legittimità ed il chiaro valore nomofilattico, -rende opportuna la rimessione della causa alla pubblica udienza, impregiudicata ogni valutazione sulle eccezioni pregiudiziali formulate, con riferimento a ciascuno di detti ricorsi, dalle controricorrenti RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, altresì rimarcandosi che quella da queste ultime sollevata con riferimento al primo di quei ricorsi incrocia la seguente questione, tuttora pendente (e di cui, pertanto, è necessario attendere la decisione) innanzi alle Sezioni Unite di questa Corte: ‘Sussistenza, o meno, d el potere del giudice dell’impugnazione (d’appello o di cassazione) di rilevare d’ufficio la questione pregiudiziale di rito non rilevata nel precedente grado, nel quale la domanda è stata rigettata nel merito, e in mancanza di impugnazione incidentale della parte vittoriosa. 1. Questione collegata: Rilevanza dell’ordine delle questioni (di rito e di merito) ed eventuale portata invalidante della violazione dell’ordine ex art. 276, comma
2, c.p.c. anche rispetto all’ambito di rilevabilità; 2. Questione collegata: Se il principio della ragione più liquida coinvolga non solo le questioni di merito, ma anche quelle di rito (su cui va tenuto presente l’arresto di Cass. Sez. U. n. 26242 del 2014 in materia di nullità negoziali) ».
Pertanto, ha disposto in conformità e rinviato la causa nuovo ruolo.
3.3 . Successivamente è stata fissata l’odierna pubblica udienza, nell’imminenza della quale il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato requisitoria scritta e le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Premessa. I ricorsi autonomamente proposti da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, da RAGIONE_SOCIALE, anche quale successore a titolo particolare di NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, nonché da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Bologna n. 2534 del 2020 sono stati considerati già riuniti con l’ordinanza interlocutoria n. 11047 del 2025 . In quest’ultima, peraltro , si è pure spiegato che: i ) come ancora ribadito da Cass. n. 5375 del 2024 (con richiamo ivi a Cass. n. 7829 del 2023, Cass. n. 394 del 2021 e Cass. n. 15582 del 2020), per giurisprudenza consolidata, e qui condivisa, di questa Corte ( cfr. , tra le altre, Cass. n. 33809 del 2019; Cass. n. 28259 del 2019; Cass. n. 5695 del 2015), « il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia, quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta ed ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi »; ii ) in ordine
cronologico, il primo degli odierni ricorsi (notificato il 25 marzo 2021), deve essere individuato in quello promosso da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, convertendosi quello di RAGIONE_SOCIALE, anche in qualità di successore a titolo particolare di NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, e quello di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (entrambi tempestivi perché notificati, rispettivamente, il 26/29 marzo ed il 29 marzo, nell’osservanza, quindi, del termine predetto) in ricorsi incidentali.
Fermo quanto precede, il Collegio ritiene che, per intuitive finalità di maggiore chiarezza e specificità di questa esposizione, appare opportuno esaminare, innanzitutto, le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità di ogni ricorso come sollevate dalle rispettive controricorrenti. Successivamente si procederà allo scrutinio dei motivi di ognuno di questi, trattando congiuntamente, peraltro, quelle doglianze di ciascun ricorso caratterizzate da evidente identità o analogia delle questioni da esse poste.
2. -Le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità di ciascun ricorso come sollevate dalle rispettive parti controricorrenti. RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, anche RAGIONE_SOCIALE) ed RAGIONE_SOCIALE hanno rimarcato che sia la sentenza del Tribunale di Bologna n. 2085 del 2017, sia, successivamente, quella della corte di appello della medesima città n. 2534 del 2020, impugnata in questa sede, hanno negato che, a seguito della fusione intervenuta tra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti, anche, breviter , RAGIONE_SOCIALE) e le sue controllate, dirette ed indirette, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, le società di diritto lussemburghese RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché NOME COGNOME (tutte socie di controllo della prima, legate da un patto di sindacato, e che nominavano tutti gli amministratori) potessero recedere da RAGIONE_SOCIALE. Ciò in ragione di due distinte ed autonome rationes decidendi : i ) NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE avevano concorso alla delibera di fusione, atteso che avevano votato a favore della delibera di aumento di capitale di RAGIONE_SOCIALE
riservato ad UGF (con esclusione del diritto di opzione), prodromica ed inscindibile rispetto alla fusione stessa (e mediante la quale UGF aveva assunto il controllo di diritto di RAGIONE_SOCIALE) e che aveva costituito il presupposto essenziale ed inscindibile della fusione medesima, come accertato dalla corte territoriale. C’erano state, peraltro, plurime condotte funzionali e prodromiche all’ aumento di capitale ed alla fusione predetti poste in essere personalmente da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (che, all’epoca dei fatti di causa, erano membri dei consigli di amministrazione, a seconda dei casi, di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, nel contempo, legali rappresentanti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e delle quali erano anche i soci di controllo); ii ) l’esercizio del diritto di recesso era stato illegittimo, essendo avvenuto in violazione della clausola generale di buona fede ed in contrasto con il divieto di venire contra factum proprium. Le società lussemburghesi oggi ricorrenti (socie di controllo di RAGIONE_SOCIALE legati da un patto di sindacato), dopo avere consentito l’ingresso di UGF nel capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE come socio di maggioranza per salvare la stessa RAGIONE_SOCIALE e l’intero RAGIONE_SOCIALE mediante , appunto, l’ aumento di capitale suddetto, con esclusione del diritto di opzione, e la f usione (unica operazione ideona a ristabilire l’adeguata patrimonializzazione), avevano cercato di prenderne le distanze immediatamente dopo, in violazione di qualsiasi principio di correttezza e buona fede, tentando di esercitare il diritto di recesso per spogliare patrimonialmente la società.
Muovendo da tale presupposto, le menzionate controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità dei tre ricorsi, in primis , perché, con riferimento al secondo dei descritti argRAGIONE_SOCIALE (assenza di buona fede/violazione del divieto di venire contra factum proprium ): i ) RAGIONE_SOCIALE non aveva formulato motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, -che, quindi, doveva considerarsi essere passata in giudicato -ma solo, tardivamente, un motivo di cassazione relativo all’assenza di buona fede); ii ) RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, invece, non avevano proposto motivi di ricorso per
cassazione avverso la sentenza di secondo grado, benché avessero formulato uno specifico motivo di gravame avverso il relativo capo della sentenza di primo grado.
Pertanto, l ‘inammissibilità del ricorso di RAGIONE_SOCIALE discendeva dall’essersi formato il giudicato sul capo della sentenza di primo grado che aveva statuito che il recesso era stato esercitato in spregio al divieto di venire contra factum proprium ed al dovere di agire in buona fede. I motivi di ricorso di RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, invece, erano inammissibili per difetto di interesse ad agire, perché, se anche fossero stati tutti od in parte accolti, non avrebbero potuto scalfire il capo della sentenza (che aveva accertato l’esclusione del diritto d i recesso, per assenza di buona fede e divieto di venire contra factum proprium ) asseritamente non sottoposto a censura dinnanzi a questa Corte.
2.1. Queste eccezioni non meritano seguito.
Invero, la violazione della buona fede ed il preteso venire contra factum proprium sono stati espressamente impugnati da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, come agevolmente emerge dalla lettura, rispettivamente, delle pagine 23 e 21 dei loro ricorsi.
Nemmeno può configurarsi, poi, il prospettato giudicato interno di primo grado (comunque rilevabile in questa sede giusta la recente Cass., SU, n. 24172 del 2025, trattandosi, evidentemente di ‘ questione fondante ‘ secondo la ricostruzione ivi effettuata) quanto al ricorso di RAGIONE_SOCIALE, sia perché in sede di ‘ progetto di sentenza ‘ dell’atto di appello ( cfr . pag. 38) si era affermata la correttezza, dal punto di vista della buona fede, del comportamento del recedente (passaggio argomentativo che solo un’interpretazione eccessivamente formalistica dell’atto di gravame escluderebbe dalla parte volitiva), sia per una ragione più profonda e che riguarda i motivi, rinvenibili in ciascuno degli odierni ricorsi, riguardanti l’interpretazione da attribuirsi all’art. 2437, comma 1, cod. civ., nel testo, qui applicabile ratione temporis , novellato dal d.lgs. n. 6 del 2003 (e che spiega pure perché nei ricorsi di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
questione della buona fede è stata inserita proprio alla fine della censura riguardante tale articolo). Il fatto storico rilevante ai fini della violazione della buona fede, infatti, è lo stesso oggetto anche della valutazione di illegittimità del recesso, e cioè il comportamento pregresso rispetto alla deliberazione di fusione del 25 ottobre 2013 (per la corte d’appello ci sarebbe stata violazione della buona fede per la violazione del divieto di venire contra factum proprium ): la rilevanza giuridica di tale comportamento pregresso (che rende il fatto storico fatto giuridico) risiederebbe nel suo costituire concorso alla deliberazione ed in tale guisa renderebbe illegittimo il recesso (compiuto contra factum proprium ). Tuttavia, osserva il Collegio che, nel momento in cui, secondo l ‘ interpretazione dell’art. 2437, comma 1, cod. civ. propugnata dalle odierne parti ricorrenti, si intende scindere la legittimazione al recesso dal comportamento antecedente il procedimento deliberativo, evidentemente cade pure la rilevanza giuridica di tale comportamento ai fini dell’integrazione della violazione della buona fede. Costituisce, così, censura dell’affermata violazione della buona fede l’assunto , presente in tutti e tre i ricorsi, che il diritto di recesso sorge esclusivamente a seguito del procedimento deliberativo: una tale affermazione, dunque, vuole negare la rilevanza giuridica del comportamento precedente a detto procedimento e tende ad escludere la configurabilità di un recesso come esercitato contra factum proprium ( alteris verbis : se non rileva la condotta pregressa alla deliberazione, il recesso mai può essere escluso per un fatto contrario che non sia proprio il consenso prestato alla deliberazione). Sotto questo aspetto, in definitiva, le censure contenute nei tre ricorsi e, quindi, anche in quello di RAGIONE_SOCIALE, aggrediscono la qualificazione del recesso come violazione della buona fede.
2.2. Posto, infine, che ciascun ricorso, per come concretamente argomentato, rispetta tutti i requisiti di cui all’art. 366, comma 1, cod. proc. civ., si darà conto di eventuali ulteriori ragioni di pretesa inammissibilità dei loro motivi, ove effettivamente configurabili, nel corso dello scrutinio degli stessi.
I formulati motivi di ciascun ricorso .
I formulati motivi del ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione o falsa applicazione dell’art. 2437 cod. civ.; violazione degli artt. 1175, 1337, 1375, 2043 cod. civ.; omesso esame di un punto decisivo (art. 360, n. 2, c.p.c. Così testualmente la rubrica . Ndr ) ». Si contesta alla corte distrettuale di avere ritenuto che, nella specie, il diritto di recesso non competeva al socio che si era astenuto nell’approvazione della delibera di fusione del 25 ottobre 2013. Erroneamente, inoltre, la medesima corte aveva tratto da comportamenti anteriori a tale data, peraltro nemmeno ascrivibili a RAGIONE_SOCIALE, il convincimento dell’avere quest’ultima concorso alla deliberazione suddetta;
II) « Violazione o falsa applicazione degli artt. 13 e 2247 cod. civ.; omesso esame di un punto decisivo (art. 360, n. 2 c.p.c. Così ancora testualmente la rubrica . Ndr ) », censurandosi la decisione impugnata per non avere la stessa distinto gli atti ed i comportamenti di una società da quelli (presunti) del suo socio di riferimento, così violando le norme sulla personalità giuridica della società medesima;
III) « Violazione dell’art. 112 c.p.c. per essere stato pronunciato, in materia di spese di lite, al di là delle domande proposte dalle parti ». Si ascrive alla corte felsinea di aver condannato RAGIONE_SOCIALE alla refusione delle spese di appello sostenute da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, benché queste ultime non lo avessero chiesto e malgrado l’accoglimento del motivo di gravame della medesima odierna ricorrente con cui la stessa era stata dichiarata non tenuta al pagamento delle spese di primo grado delle menzionate banche chiamate in causa.
B) I formulati motivi del ricorso (da qualificarsi come incidentale tempestivo) di RAGIONE_SOCIALE, anche quale successore a titolo particolare di NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione di legge, violazione dell’art. 2331 cod. civ., delle norme che attribuiscono alle società di capitali personalità giuridica distinta dai soci e dai propri amministratori e delle disposizioni (artt. 1388 e 2384 cod. civ.) sulla rappresentanza delle persone giuridiche (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) ». Si assume, tra l’altro, che « la sentenza impugnata non collega il superamento della distinta personalità giuridica di RAGIONE_SOCIALE ad un abuso della sua socia di controllo, ma al fatto stesso che NOME COGNOME ne fosse il socio di controllo e uno degli amministratori. Anzi, il fatto che ella fosse solo uno degli amministratori di RAGIONE_SOCIALE viene slealmente sottaciuto, mentre era stato evidenziato negli atti di parte. . Se invece avesse s eguito l’insegnamento di Codesta Corte, il Giudice di merito non avrebbe potuto che prendere atto che in nessun momento RAGIONE_SOCIALE ha espresso il suo consenso alla fusione, neppure se essa fosse stata elemento essenziale dell’RAGIONE_SOCIALE di Salvataggio: RAGIONE_SOCIALE di Salvataggio che, del resto, RAGIONE_SOCIALE non ha mai firmato in proprio, tramite un suo rappresentante a ciò abilitato secondo le procedure organizzative che sarebbe stato necessario seguire e che sono sempre state seguite in precedenza in tutte le circostanze in cui un amministratore della società avrebbe avuto necessità di sottoscrivere un atto di tale importanza. Sta di fatto che la sentenza incorre in un secondo errore di diritto, allorché sostiene che NOME COGNOME avrebbe sottoscritto l’RAGIONE_SOCIALE di Sal vataggio anche in proprio (oltre che come rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE) e, anzi, che lo avrebbe addirittura firmato anche in rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE. Di fronte alla contestazione in fatto della circostanza, la Corte territoriale ha omesso alcun accertamento, e si è limitata a dichiarare la questione irrilevante in quanto, a suo dire, oggetto di una riserva mentale. . È chiaro, tuttavia, che il ricorso alla figura della riserva mentale sarebbe legittimo solo dando già per accertato che il documento RAGIONE_SOCIALE di Salvataggio sia imputabile non alla persona giuridica (RAGIONE_SOCIALE) di cui era speso pacificamente il nome, ma alla persona fisica (NOME COGNOME) che aveva firmato spendendo il nome di tale società; e, anzi, non solo alla persona fisica, ma, addirittura, anche alla distinta persona giuridica (COGNOME) di cui la
suddetta persona fisica era socia di maggioranza e co-amministratrice , senza che, però, di tale seconda persona giuridica (RAGIONE_SOCIALE) sia mai stato speso il nome. In ciò la sentenza impugnata incorre, tuttavia, in un ulteriore errore di diritto . Essa, inf atti, erroneamente assume che la dichiarazione del rappresentante (NOME COGNOME), che spende il nome del rappresentato (COGNOME), non si imputi al solo rappresentato, ma anche allo stesso rappresentante, che sarebbe personalmente vincolato. Ciò, però, è testualmente escluso dalla norma vigente (art. 1388 c.c.), che non è in alcun modo derogata dall’art. 2384 c.c. Altrettanto smentito dalle disposizioni di legge è che la dichiarazione di una persona fisica (NOME COGNOME), che rivestiva la qualità di componente del consiglio di amministrazione di una persona giuridica (RAGIONE_SOCIALE) si imputino direttamente a quest’ultima anche se non ne sia speso il nome »;
II) « Violazione di legge, violazione dell’art. 2437 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) ». Si contesta alla corte distrettuale di avere ritenuto che, nella specie, il diritto di recesso non competeva ad un socio (RAGIONE_SOCIALE ) che nemmeno aveva partecipato all’assemblea che aveva deliberato la fusione;
III) « Violazione di legge, violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 , c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.). Nullità della sentenza per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili nella misura in cui la sentenza, da un lato, ha definito l’esenzione dall’OPA a carico di UGF come una ‘condizione sospensiva’ dell’intera operazione (dall’aumento di capitale riservato, alla fusione) e, dall’altro lato, ha ritenuto che il recesso di RAGIONE_SOCIALE/CFN (e di NOME COGNOME) successivo alla fusione avrebbe fatto venire meno l’esenzione dall’OPA, come se questa fosse una ‘condizione risolutiva’ dell’intera operazione (art. 360, primo comma, n. 4 , c.p.c.) ». Si assume che « La sentenza di appello contiene affermazioni palesemente inconciliabili e fra di loro in irriducibile contrasto, tali da non consentire un effettivo controllo sulla logicità del ragionamento del giudice di merito ».
I formulati motivi del ricorso (parimenti da qualificarsi come incidentale tempestivo) di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avuto riguardo all’art. 2331 cod. civ. ed alle norme che attribuiscono alle società di capitali personalità giuridica distinta dai soci e dai propri amministratori non ché all’art. 1372 c.c. ». Il contenuto della censura è praticamente analogo a quello di cui al primo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE;
II) « Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto , ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. avuto riguardo alla norma di cui all’art. 2437 c.c. ». Il contenuto della doglianza è sostanzialmente analogo a quello di cui al secondo motivo di RAGIONE_SOCIALE;
III) « Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto , ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. di legge, avuto riguardo all’art. 132, n. 4, c.p.c., per nullità della sentenza impugnata ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ». Il contenuto della censura è praticamente lo stesso di quello di cui al terzo motivo di RAGIONE_SOCIALE
4.Il diritto del socio di recedere da una sRAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE giusta l’art. 2437, comma 1, cod. civ., come novellato dal d.lgs. n. 6 del 2003. Il primo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, il secondo motivo di quello di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ed il secondo motivo di quello RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sono scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi. Tutti, infatti, pongono, complessivamente, la questione di diritto concernente la corretta interpretazione dell’art. 2437, comma 1, cod. civ., rubricato Diritto di recesso , nella parte in cui dispone che ‘ Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: ‘) : questione su cui, attesane la particolare complessità e rilevanza ( cfr . Cass., S.U., n. 14437 del 2018), l’assenza di specifici precedenti di legittimità ed il chiaro valore
nomofilattico, l’ordinanza interlocutoria del 17/27 aprile 2025, n. 11047, ha ritenuto opportuno disporre la trattazione della causa in pubblica udienza.
4.1 Alcuni cenni storici relativi al diritto di recesso . Analizzando storicamente l’istituto del recesso , è possibile notare come esso fosse già presente, benché in maniera implicita, all’interno del codice del commercio del 1865 nel quale l’allora art. 163 prevedeva che ‘ tutte le società devono risultare da espressa dichiarazione o deliberazione dei soci e devono essere depositati, trascritti, affissi e pubblicati, a norma degli artt. 158 e 161, la mutazione, il recesso e l’esclusione dei soci ‘. È soltanto nel codice del commercio del 1882, però, che si trova una più marcata ed evidente formulazione del diritto di recesso in caso di ‘ fusione, reintegrazione o aumento del capitale, cambiamento dell’oggetto sociale e salva diversa altra previsione statutaria -proroga della durata della società ‘. Rispetto alla formulazione previgente, dunque, nel 1882 il legislatore introdusse alcune cause legittimanti il recesso per così dire ‘ indisponibili ‘ ed una causa, la proroga della durata della società, che i soci avrebbero potuto anche eliminare direttamente per mezzo dello statuto societario. La sua introduzione fu contestuale all’istituzione del principio maggioritario per le variazioni dei contratti sociali, vera e propria deroga alla disciplina generale dei contratti che prevedeva il consenso di tutti i contraenti per apportare eventuali modifiche rispetto a quanto pattuito in origine.
In seguito, a partire dal 1915, l’approvata ‘ legislazione speciale di guerra ‘ soppresse quasi integralmente il diritto di recesso escludendolo prima nel caso di fusione e di aumento di capitale e, successivamente, anche nel caso di cambiamento dell’oggetto sociale (disposizione contenuta all’interno del r.d.l. n. 1434 del 13 novembre 1931).
Arrivando ad un passato più prossimo ai giorni nostri, all’interno dell’articolato originario del codice civile del 1942 all’istituto del recesso del socio di società per azioni (o, più in generale, delle società di capitali) si riservò un ruolo di assoluta marginalità riducendone la possibilità di utilizzo alle situazioni previste dalla legge. L’allora art. 2437 c.c. stabilì, infatti, che
‘ 1. I soci dissenzienti dalle deliberazioni riguardanti il cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, o il trasferimento della sede sociale all’estero hanno il diritto di recedere dalla società e di ottenere il rimborso delle proprie azioni, secondo il pr ezzo medio dell’ultimo semestre, se queste sono quotate in borsa, o, in caso contrario, in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio . 2. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata con raccomandata dai soci non intervenuti non oltre i quindici giorni dalla data dell’iscrizione della delibera nel registro delle imprese. 3. È nullo ogni patto che esclude il diritto di recesso o ne rende più gravoso l’esercizio ‘.
Da un lato, quindi, si fissò un elenco tassativo di cause legittimanti l’esercizio del diritto di recesso da parte del socio di società per azioni; dall’altro, nello stabilire le modalità di liquidazione delle azioni non quotate in borsa, la norma fece esplicito riferimento al ‘ patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio ‘.
La disciplina fortemente penalizzante per il diritto del socio a recedere, riconducibile all’esigenza di tutelare i creditori delle società dall’eventuale riduzione di patrimonio conseguente al rimborso del valore delle azioni al socio recedente, si tradusse nel raro accesso a tale istituto nella pratica societaria ed in una mancanza di particolare interesse dimostrata anche da parte della dottrina.
A partire dagli anni settanta, il legislatore italiano iniziò un ambizioso percorso di riforma del diritto privato (in special modo del diritto civilecommerciale-societario), del diritto penale e del diritto processuale; ratio del percorso trentennale di riforma fu, tra l’altro, l’adeguamento dei nostri ordinamenti risalenti a periodi antecedenti al secondo conflitto mondiale alle mutate condizioni politico-economico-sociali: per centrare gli obiettivi di crescita, il tessuto economico doveva essere maggiormente competitivo per potersi misurare con le economie concorrenti estere. La formalizzazione e la rigidità tipiche degli ordinamenti ‘ istituzionalisti ‘ dovevano lasciare spazio a ordinamenti più dinamici e lasciati liberi alla volontà negoziale delle parti (per
questo denominati ‘ contrattualisti ‘), tipici delle economie anglosassoni. Di qui anche l’intervento della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 che, con riferimento alle società di per azioni, affidò al Governo la revisione della ‘ disciplina del recesso, prevedendo che lo statuto possa introdurre ulteriori fattispecie di recesso a tutela del socio dissenziente, anche per il caso di proroga della durata della società; individuare in proposito criteri di calcolo del valore di rimborso adeguati alla tutela del recedente, salvaguardando in ogni caso l’integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori sociali ‘. Il mandato parlamentare, dunque, era chiaro, ovvero dotare il diritto societario italiano di una disciplina in tema recesso di stampo misto ‘ istituzionale e contrattualista ‘ con riguardo particolare alla tutela degli interessi propri del socio recedente.
Si è giunti, così, con il d.lgs. n. 6 del 2003, ad una nuova formulazione dell’art. 2437 cod. civ., ancora rubricato Diritto di recesso , che oggi così dispone: ‘ I. Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: a) la modifica della clausola dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società; b) la trasformazione della società; c) ; d) la revoca dello stato di liquidazione; e) l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto; f) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso; g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione. II. Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso all’approvazione delle deliberazioni riguardanti: a) la proroga del termine; b) l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari. III. Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno. IV. Lo statuto
delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso. V. Restano salve le disposizioni dettate in tema di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento. VI. È nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma del presente articolo ‘ .
In estrema sintesi, la riforma del 2003 ha introdotto, con riguardo alle società per azioni: i ) un ampliamento della legittimazione ad esercitare il recesso, estesa a chiunque non abbia concorso alla deliberazione ; ii ) un incremento delle cause legali di recesso, alcune delle quali derogabili dallo statuto, con conseguente flessibilità, in parte, della disciplina; iii ) la facoltà, nelle società «chiuse», di introdurre fattispecie di recesso per via statutaria; iv ) una scomposizione dell’assetto del diritto di recesso nelle società per azioni, dal momento che il recesso è diversamente disciplinato a seconda si tratti di società per azioni quotate in mercati regolamentati, società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio ed altre società per azioni: secondo un orientamento che pare evidentemente volto a consentire il recesso con tanta maggiore facilità, quanto più difficile risulti disinvestimento attraverso la cessione a terzi della partecipazione; v ) criteri non penalizzanti di liquidazione della partecipazione del socio recedente.
Considerando, allora, le principali fattispecie di recesso contemplate nel diritto delle società azionarie, risulta che, come ricordato, in motivazione, da Cass. n. 2629 del 2024: i ) a tutela del socio assente, dissenziente o astenuto, i commi 1 e 2 dell’art. 2437 c od. civ. attribuiscono il diritto di recesso ai soci che non abbiano concorso con il loro voto alla deliberazione: qui, l’ exit serve a tutelare il mancato consenso, quale contrappeso al ridotto potere del socio di minoranza di influire sulle scelte societarie, destinate ad avere un particolare impatto sulla vita sociale (modifica dell’oggetto sociale, trasformazione, revoca dello stato di liquidazione, eliminazione di cause di recesso e modifica dei criteri di liquidazione delle azioni, modifiche dei diritti di voto o di partecipazione), peraltro ammettendone la deroga, con
l’esclusione della facoltà di recedere, in talune ipotesi (proroga del termine, vincoli alla circolazione delle azioni); ii ) a tutela dei rapporti di gruppo, il comma 5 dell’art. 2437 c od. civ. opera rinvio alle disposizioni dettate in tema di recesso per le società soggette all’attività di direzione e coordinamento, ossia all’art. 2497 -quater cod. civ., che attribuisce la facoltà di recesso al socio della società eterodiretta in talune evenienze (società capogruppo che si trasformi mutando lo scopo sociale, modifica dell’oggetto sociale alterando in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della eterodiretta; disposta condanna giudiziale ex art. 2497 cod. civ.; inizio e cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, per le non quotate, se ne deriva un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e non venga promossa un’opa); iii ) a tutela della libertà del socio da vincoli perpetui, il comma 3 dell’art. 2437 c od. civ. prevede, per le società non quotate costituite a tempo indeterminato, il diritto di recesso con preavviso di almeno centottanta giorni (mentre per le quotate, dove la scelta di disinvestimento è agevole, il legislatore non ha previsto analoga facoltà di recesso); iv ) a tutela della libertà del socio nelle società chiuse, lo statuto può prevedere « ulteriori cause di recesso ».
4.2 -La ratio del sistema del recesso nelle s.p.a. È opinione condivisa, fra gli interpreti, come ancora ricordato dalla già menzionata Cass. n. 2629 del 2024, che la riforma del diritto societario del 2003 abbia superato i due principî che in precedenza connotavano l’art. 2437 c od. civ.: ossia, da un lato, la tassatività delle cause di recesso e, dall’altro lato, la preferenza per l’interesse all’integrità del patrimonio sociale ed alla prosecuzione dell’impresa, con la conseguente liquidazione ‘punitiva’ per il socio uscente.
Con la riforma del 2003, tale prospettiva è mutata. Il termine exit , mutuato dal linguaggio economico, accomuna il recesso e l’alienazione delle partecipazioni sociali, i quali, pur in sé assai diversi, appunto sul piano economico hanno una certa somiglianza. Se l’intento centrale della riforma del diritto societario del 2003 fu quello di favorire la competitività delle imprese tramite l’accesso delle società al mercato dei capitali, uno dei mezzi
per conseguire tale intento fu l’ampliamento delle ipotesi di recesso, essendo un dato acquisito che la propensione all’investimento tanto più aumenta, quanto più l’investitore sia certo della possibilità di un rapido disinvestimento. Accanto alla limitazione della responsabilità dei soci al solo conferimento, proprio la possibilità di un agevole disinvestimento costituisce, infatti, come è stato convincentemente rilevato dalla dottrina, uno dei caratteri di favor per le società di capitali. In particolare, la riforma delle società di capitali del 2003 ha notevolmente ampliato le ipotesi in cui il recesso è consentito. Da un lato, sono stati arricchiti i casi legali di recesso; ma, dall’altro lato, ancor più di rilievo sul piano sistematico si palesa il fatto che il legislatore abbia assicurato al socio, al momento dell’ingresso in società, che le possibilità di exit non possano essere ridotte durante societate , senza che allo stesso sia consentito di uscire dalla società ad un prezzo tendenzialmente corrispondente al valore di mercato delle azioni o della quota ( cfr . lett. e] ed f] dell’art. 2437, comma 1, cod. civ .). Un portato di rilievo della nuova disciplina dell’istituto dopo la riforma sta appunto nell’aver superato l’idea di un recesso fondato esclusivamente sulla reazione del socio avverso alcune deliberazioni decise dalla maggioranza; invece, l’istituto ten de ora ad assecondare la scelta dell’investitore, che decida di vendere i propri titoli per ragioni anche diverse ed indipendenti dalle altrui decisioni non condivise.
Naturalmente, questo connota il recesso come finalizzato non soltanto all’uscita dalla società, ma anche ad ottenere al suo interno un maggior ascolto del socio, pure di minoranza. Si ricordano, inoltre, le seguenti fattispecie: il recesso parziale, nel quale è permesso al socio di recedere per tutte o per una parte delle azioni, dunque con la più ampia gamma di possibili opzioni circa un eventuale disinvestimento, consentendogli di mantenere in società almeno una parte del patrimonio conferito; il recesso dei soci assenti ed astenuti; il recesso nei gruppi ex art. 2497quater , comma 1, lett. a) e c) , cod. civ., dove già il dato testuale palesa il riferimento alla modificazione delle condizioni di rischio dell’investimento; il recesso, anche parziale, dalle società costituite a tempo indeterminato, permettendosi al socio di mutare la
destinazione del suo investimento per una scelta che può ben essere del tutto indipendente da eventuali deliberazioni dell’ente collettivo da lui avversate.
Il legislatore, quindi, ha tenuto in considerazione primaria le esigenze del socio-investitore e non più solo quelle del socio interessato alla gestione della società, per il quale il recesso costituirebbe la massima espressione del suo dissenso da una scelta della maggioranza. Tutto ciò palesa che la logica sottesa dal complessivo sistema normativo in tema di recesso dalle società azionarie è tutt’altra rispetto al mero dissenso da scelte della vita societaria ed assembleare; ed, anzi, tale logica è tanto più frequentemente indipendente dalla tutela del socio dissenziente rispetto a specifiche decisioni societarie, onde costituisce piuttosto una tutela della scelta di disinvestire dall’impresa economica, quanto più egli reputi non più conveniente tale partecipazione (dell’alterazione delle condizioni di rischio del proprio investimento espressamente l’art. 2497 -quater cod. civ., per ben due volte, fa menzione).
In definitiva, la scelta compiuta dal legislatore della riforma del 2003 è stata indirizzata ad una valorizzazione della funzione del diritto di recesso che mira a conciliare le esigenze di flessibilità strutturale richieste dallo svolgimento dell’attività d’impresa con l’interesse di ciascun socio a disporre di una possibilità di disinvestimento conveniente, una “rete di sicurezza” di carattere patrimoniale, nel momento in cui vengano modificate alcune delle originarie condizioni in base alle quali egli ha deciso di partecipare (investire) nella società. Difatti, la regola decisionale maggioritaria accompagnata dal “diritto di recesso” si presenta come una formula che, pur riconoscendo il dominio della maggioranza, impone a quest’ultima di prendere in considerazione, “internalizzare”, le conseguenze delle proprie decisioni rispetto a specifici interessi dei soci in minoranza, agendo in tal modo da stimolo alla dialettica tra le componenti della compagine sociale. Così facendo, la possibilità di disinvestimento offerta dal diritto di recesso determina ex ante una maggiore propensione all’investimento nel capitale di rischio della società e, quindi, una riduzione del costo del capitale a beneficio
di tutti i soci, senza compromettere le possibilità di adattamento della struttura societaria alle mutevoli condizioni in cui la stessa opera. Come è stato efficacemente osservato, seppur con riferimento ad altro contesto, « la garanzia del disinvestimento … si traduce così in garanzia dell’investimento; si investe perché si è certi di poter disinvestire (in termini sufficientemente proficui) nel caso che lo si ritenga utile o necessario ».
Ne consegue, allora, che certamente non è più sostenibile l’assunto secondo cui il recesso societario costituisce un istituto avente carattere eccezionale.
4.3 -L’interpretazione dell’art. 2437, comma 1, cod. civ. Come si è già anticipato, l’art. 2437, comma 1, cod. civ., come novellato dal d.lgs. n. 6 del 2003, prevede che ‘ Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: ‘ .
È evidente, dunque, la differenza rispetto al testo -anch’esso già riportato -ante riforma di questo stesso articolo, che legittimava al recesso, espressamente ( cfr . comma 1), i ” soci dissenzienti ” dalle deliberazioni ivi indicate e, implicitamente ( cfr . comma 2), i soci ” non intervenuti ” in assemblea. Dal silenzio della norma la dottrina aveva tratto conclusioni divergenti circa la possibilità di ritenere compresi in una delle due categorie testé indicate (” soci dissenzienti ” e ” soci non intervenuti “) i soci astenuti ed i soci privi del diritto di voto in quanto titolari di azioni di risparmio. Le incertezze interpretative, tuttavia, sono state eliminate, oggi, dall’attuale art. 2437, comma 1, cod. civ. che adotta una formula più ampia e riconosce il diritto di recesso ai ” soci che non hanno concorso alle deliberazioni “, così rimuovendo le obiezioni di carattere letterale alla legittimazione dei soci assenti astenuti (sia nel caso di astensione volontaria sia in quello di astensione obbligatoria) e di quelli privi del diritto di voto. Peraltro, nemmeno sono riproponibili, alla stregua di quanto si è già riferito e della disciplina dettata dagli artt. 2437 e ss. cod. civ., le argomentazioni fondate sulla natura eccezionale dell’istituto e sulla conseguente necessità di un’interpretazione restrittiva della disciplina dettata dall’art. 2437 previgente.
In questa prospettiva, dunque, nessun altro approfondimento appare necessario, ad avviso di questo Collegio, al fine di giungere ad una prima conclusione nel senso che la locuzione ‘ non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti ‘ di cui al novellato comma 1 dell’art. 2437 cod. civ. certamente deve riferirsi alle fattispecie in cui la ‘ deliberazione ‘ abbia costituito un avvenimento considerato in sé stesso, cioè un fatto puntuale nel tempo, verificatosi in un preciso momento storico, a tal fine rilevando, evidentemente, la sola posizione assunta in assemblea, senza che possa attribuirsi rilievo alcuno a dichiarazioni eventualmente fatte in sede extraassembleare. Pertanto, sia i soci assenti all’assemblea che ha adottato una deliberazione ricomprese tra quelle di cui al comma 1 dell’art. 2437 cod. civ., sia i soci presenti a detta assemblea ma dissenzienti rispetto al contenuto di tale deliberazione, sia, infine, i soci astenutisi in quella sede, non hanno concorso alla deliberazione stessa, sicché ad essi va riconosciuto il diritto di recesso.
Occorre, però, domandarsi se questa sia l’unica ipotesi cui deve intendersi riferita la disposizione in esame oppure se la norma suddetta, stante il venir meno, per le ragioni già spiegate, della natura eccezionale del recesso del socio, possa trovare concreta applicazione, in virtù di una sua interpretazione estensiva, anche in un’altra fattispecie.
Invero, già sotto la vigenza dell’art. 2437 cod. civ. ante riforma del 2003, una parte della dottrina asseriva che il diritto di recesso non spettasse a quei soci che, sebbene non intervenuti in assemblea, avevano manifestato fuori dall’assemblea stessa il loro consenso alla deliberazione legittimante il recesso. Opinione, tuttavia, contestata da chi, invece, considerava che l’assemblea soltanto fosse il luogo dove poteva validamente essere manifestato dal socio l’assenso alla deliberazione o il dissenso da essa ; non certo comportamenti e atteggiamenti magari anche di gran lunga anteriori al solenne momento assembleare.
Bisogna chiedersi, però, oggi, alla luce del riformulato art. 2437, comma 1, cod. civ., se possa ancora effettivamente escludersi a priori che un
eventuale assenso preventivo al realizzarsi di una delle vicende di cui alle lett. da a) a g) del novellato art. 2437, comma 1, cod. civ. da parte di un socio che, successivamente, non intervenga alla corrispondente assemblea deliberativa, sia qualificabile -per il comportamento in concreto assunto dal medesimo socio -come ” concorso nell’adozione della deliberazione ” ai sensi della citata disposizione e precluda, dunque, l’esercizio del diritto di recesso.
Orbene, è innegabile che plurime tesi dottrinali continuano a ritenere che la risposta al quesito suddetto debba restare invariata, nel senso che ancora oggi, anche se il ‘dissenso’ non può assumere più la stessa valenza sistematica di un tempo, il ‘concorso’ all’adozione del deliberato debba essere espresso definitivamente nelle forme tipiche del procedimento decisionale. Perciò le mere dichiarazioni di intenti, comunque formulate, ed anche i voti dati all’interno di un complesso procedimento deliberativo, ove il socio possa, però, ancora revocare il voto dato, ed esprimere una volontà ‘finale’ difforme, non costituiranno ostacolo al recesso .
Si è sostenuto, in proposito, tra l’altro, che: i ) la legittimazione al recesso è ora attribuita in via generale a tutti i soci ‘ che non hanno concorso ‘ all’approvazione della delibera la cui approvazione, appunto, dà diritto di recesso. Questa formula -che, per la verità, osserva il Collegio, è quella dell’art. 2437, comma 2, cod. civ., non del suo precedente comma 1 , dove, invece, non si fa riferimento all’ approvazione -comprende sia i soci assenti, sia i soci presenti ma dissenzienti, sia i soci astenuti. Conta solo, evidentemente, la posizione assunta in assemblea e non assumono rilievo dichiarazioni eventualmente fatte in sede extra-assembleare; ii ) la novella ha sostituito l’espressione ‘ soci dissenzienti ‘ con quella di ‘ soci che non hanno concorso alle deliberazioni ‘, indipendentemente dal fatto che siano assenti, dissenzienti o astenuti. Superando un tradizionale dubbio sull’ampiezza della legittimazione, si recepiscono, in sostanza, gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che ritenevano, ai fini dell’applicazione dell’art. 2437, ‘ dissenzienti ‘ anche i soci assenti, e talora gli astenuti o coloro che avevano ottenuto l’annullamento del proprio voto; iii ) anche da un punto di vista
testuale, l’art. 2437 c od. civ. pare riferirsi unicamente al comportamento tenuto in seno all’assemblea generale che, modificando lo statuto, legittima il recesso, come indica anche la collocazione ‘topografica’ della disposizione . Da ciò discende pure che non pare condivisibile la tesi secondo la quale non potrebbero recedere i soci che, pur assenti, dissenzienti o astenuti, abbiano manifestato il proprio consenso in modo univoco, atteso che l’unico comportamento al quale la legge attribuisce rilievo è quello di non aver concorso all’approvazione della deliberazione, concorso che si può giuridicamente manifestare solo con il voto: la diversa soluzione richiamata determinerebbe gravi incertezze in merito a quando si possa ritenere che un socio abbia manifestato il proprio consenso in modo univoco al di fuori dell’unico contesto appropriato, ossia l’assemblea dei soci ; iv ) la facoltà di recesso viene attribuita, sia nelle RAGIONE_SOCIALE che nelle RAGIONE_SOCIALE, non più solo ai soci dissenzienti (com’era prima della riforma del 2003) ma anche agli assenti e agli astenuti, a soggetti, cioè, che, per ipotesi, potrebbero non avere nulla in contrario o addirittura condividere la decisione presa dalla società legittimante il recesso, e che, però, potrebbero aver deciso di non votare a favore perché decisi ad abbandonare la società per calcoli che prescindano completamente dal modo di gestione della società. È questa, dunque, un’altra ipotesi in cui il legislatore non ha legato il recesso ad un’espressione di dissenso nei confronti della maggioranza, privilegiando le esigenze del socioinvestitore.
Ad avviso del Collegio, tuttavia, questi argRAGIONE_SOCIALE non persuadono del tutto.
Invero, è utile rimarcare, in primo luogo, la differenza testuale esistente tra i commi 1 e 2 del novellato (dal d.lgs. n. 6 del 2003) art. 2437 cod. civ. Giusta il primo, ‘ Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: ‘; alla stregua del secondo, invece, ‘ Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso all’approvazione delle deliberazioni riguardanti: ‘.
È indubbio che le locuzioni ‘ non hanno concorso alle deliberazioni ‘ (comma 1) e ‘ non hanno concorso all’approvazione delle deliberazioni ‘ (comma 2) rivestano una portata diversa, la prima evidentemente più ampia della seconda: in altri termini, l ‘ espressione di cui al comma 1, stante la sua genericità (‘ concorso alle deliberazioni ‘) include anche l’assente, mentre , ragionevolmente, quella di cui al comma 2 è limitata al dissenziente e al l’astenuto, partecipando solo questi ultimi al procedimento sfociato nell’ approvazione (dissentendo o astenendosi) della deliberazione. La ratio della descritta distinzione semantica, del resto, ben può rinvenirsi nel carattere dispositivo della norma di cui al comma 2 dell’articolo in esame (‘ Salvo che lo statuto non disponga diversamente ‘), cui è coerente la limitazione dell’esercizio del recesso al socio dissenziente ed a quello astenuto.
Non è affatto irragionevole, poi, affermare che il termine ‘ concorso ‘ all’adozione di una deliberazione assembleare assuma, necessariamente, una portata diversa (e, ancora una volta, più ampia) rispetto a quella di ‘ votare ‘ a favore di una determinata deliberazione. Nella semantica del codice civile, infatti, una norma quale l’art. 1227 c od. civ . (‘ concorso del fatto colposo del creditore ‘) chiarisce come il ‘ concorrere ‘ sia da riferire al ‘ cagionare ‘. Nel significato di ‘ concorrere ‘ , pertanto, devono essere comprese anche quelle attività propedeutiche che si siano risolte in un decisivo apporto causale rispetto alla successiva deliberazione, perché essenziali ed inscindibilmente legate a quest’ultima , come acclarato, nel caso di specie, dalla corte distrettuale con accertamento fattuale, sindacabile in questa sede solo per vizio motivazionale, nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo -qui applicabile ratione temporis essendo stata impugnata una sentenza pubblicata il 28 settembre 2020 -successivo alla modifica apportatagli dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n. 134 del 2012), peraltro, nemmeno ammissibile in questo procedimento essendosi al cospetto di una cd. doppia conforme sul punto e tenuto conto di quanto sancito dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ., nel testo, qui
applicabile ratione temporis , anteriore alla sua soppressione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022.
In altri termini, in presenza di una norma -qual è quella contenuta nel novellato art. 2437, comma 1, cod. civ. -che riconosce il diritto di recesso, per tutte o parte delle loro azioni, ai ‘ soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti: ‘ , deve ritenersi, affatto ragionevolmente, che, laddove si sia al cospetto di fattispecie più complesse -in cui, cioè, la deliberazione costituisca o abbia costituito solo l’ultimo atto di una operazione ben più articolata, perché composta da una serie di fatti e/o avvenimenti succedutisi nel tempo ma tra loro inscindibilmente collegati, nel senso che ognuno costituisca, o abbia costituito, il necessario presupposto per il passaggio a quello successivo fino a raggiungere la deliberazione finale il cui oggetto, ab origine , risultava individuato come risultato che quella complessa operazione deve o avrebbe dovuto realizzare -il giudice di merito, per stabilire se sussista, o non, quel ‘ concorso alla deliberazione ‘ , deve tenere conto, appunto, della peculiarità e complessità (nel senso precedentemente precisato) della fattispecie sottoposta al suo esame, così valutando se, ed in quali termini, ciascuno dei singoli avvenimenti e/o atti che ne costituiscono la complessiva articolazione debba considerarsi, o meno, effettivamente e necessariamente inserito, causalmente, in una operazione più ampia, all’interno della quale, ognuno di essi costituisca una condicio sine qua non rispetto alla deliberazione il cui oggetto realizzi l’esito finale dell’operazione stessa come ab origine programmato e già conosciuto, appunto fin dall’inizio, dal socio.
Allorquando, cioè, la deliberazione riguardante una delle vicende di cui alle lettere da a) a g) del comma 1 del novellato art. 2437 cod. civ. costituisca il programmato risultato finale , fin dall’origine conosciuto dal socio, di una più complessa operazione composta da una pluralità di atti e/o avvenimenti, coevi o succedutisi nel tempo, il giudice di merito deve accertare se tutti quegli atti e/o avvenimenti abbiano uguale valore causale, senza distinzione tra cause mediate ed immediate, dirette ed indirette, precedenti e successive,
dovendo a ciascuno di essi riconoscersi un’efficienza causale decisiva rispetto all’adozione, da ultimo, della deliberazione concernente una delle vicende suddette e se, nella loro concatenazione, quegli stessi atti e/o avvenimenti abbiano determinato una situazione tale che la menzionata deliberazione avvenuta in sede assembleare, non si sarebbe verificata. Ancora più chiaramente, nella misura in cui la deliberazione sia avvinta da un nesso di causalità con il fatto (in senso lato) del socio che, poi, abbia inteso recedere, quella deliberazione è causalmente determinata dal voto della maggioranza che l’abbia adottata, ma si tratta di causa meramente concorrente , ai sensi del primo comma dell’art. 41 cod . pen. (norma che regola, come è noto, la causalità civile. Cfr . Cass., SU, n. 576 del 2008), non potendosi considerare causa anomala ed eccezionale, interruttiva del nesso eziologico, l’adozione della deliberazione, rispetto al risultato della complessiva operazione originariamente programmato e conosciuto dal socio medesimo. Ci si trova, in definitiva, al cospetto di una fattispecie in cui la deliberazione della maggioranza concorre con il fatto (in senso ampio) pregresso di quest’ultimo che ha causalmente contribuito al concreto realizzarsi di quel risultato. Si tratta, quindi, di un ‘concorso’ che incide direttamente sulla causa dell’operazione complessivamente stabilita ab origine e successivamente compiuta, risolvendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi atti e/o avvenimenti, in cui quella operazione si è articolata, rivolta a realizzare una finalità pratica unitaria. Si è di fronte, dunque, ad un meccanismo attraverso il quale tutti i soggetti coinvolti intendono perseguire un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo atto ma attraverso una pluralità coordinata di atti e/o avvenimenti, i quali, ove pure ciascuno con una propria finalità autonoma, sono tutti volti al raggiungimento dell’unico, e stabilito ab initio , risultato ritenuto satisfattivo degli interessi di tutti quegli stessi soggetti.
Il tutto con la precisazione che la valutazione effettuata dal giudice di merito costituisce accertamento fattuale a lui riservato e, come tale, sindacabile in sede di legittimità solo per vizio motivazionale, sempre che,
peraltro, concretamente proponibile (ciò non riscontrandosi, invece, in presenza di una cd. doppia conforme stante la preclusione di cui all’art. 348 -ter , comma 5 cod. proc. civ., ove ratione temporis applicabile, o, successivamente alla sua abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022, di cui all’art. 360, comma 4, cod. proc. civ. introdotto dal medesimo d.lgs. ed applicabile ai ricorsi per cassazione notificati a decorrere dall’1 gennaio 2023 ) e, comunque, nei limiti in cui ancora lo consente l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
Tanto premesso, la sentenza oggi impugnata si rivela, in parte qua , affatto coerente con le suesposte riflessioni.
Invero, la corte distrettuale, muovendo dal rilievo che « va scrutinato se il comportamento dei soci recedenti -al fine della spettanza del diritto di recesso -costituisse fattivo, inequivocabile e consapevole contributo alla delibera di fusione, pur infine assunta in loro assenza » ( cfr . pag. 25 della menzionata sentenza):
i ) ha rimarcato che « Le parti hanno ampiamente ricostruito i fatti posti a base delle rispettive argomentazioni, e da questi si evince, da un lato, la finalità e complessità dell ‘ iter che ha portato alla fusione stessa, dall’altro l’inscindibilità dei passaggi intermedi e finali, come risultanti dall’RAGIONE_SOCIALE del 29.12.2012 tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, stante la crisi palese della prima e di RAGIONE_SOCIALE SAI , passaggi volti a realizzare ‘nell’ottica di salvaguardare la solvibilità attuale e futura di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e delle sue controllate … in esecuzione di un piano di risanamento di RAGIONE_SOCIALE, un complessivo progetto di integrazione per fusione di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE al quale viene invitata a partecipare anche RAGIONE_SOCIALE ‘. Il Progetto di Integrazione prevedeva, come già esposto nella sentenza impugnata, una serie di passaggi indicati come fra loro ‘inscindibili fasi’, consistenti in un piano di risanamento attestato ex art. 67 l.f., di RAGIONE_SOCIALE; un suo aumento di capitale riservato ad UGF di massimo 400 mln di euro col quale si sarebbe aumentato il capitale anche della controllata RAGIONE_SOCIALE; la fusione come sopra . Il Progetto di Integrazione mirava ‘a
realizzare un’operazione di salvataggio diretta al rafforzamento patrimoniale di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e, anche grazie alle sinergie industriali che si realizzerebbero eventualmente anche con RAGIONE_SOCIALE, alla creazione di un operatore nazionale di primario rilievo nel settore delle imprese di assicurazione, in grado di competere efficacemente con i principali concorrenti nazionali ed europei e di creare valore per tutti i propri azionisti. Nell’RAGIONE_SOCIALE erano previste numerose condizioni sospensive, fra cui le più rilevanti qui: il consenso scritto dei creditori nell’ambito del piano di risanamento a tutti i passaggi di cui sopra sino alla fusione, e la conferma dell’esenzione da OPA – evidentemente in radice alternativa ad un aumento di capitale riservato – da parte di Consob ex artt. 106 TUF e 49 Reg. Emittenti in ragione dello stato di crisi delle dette società, attestato da richieste di un’autorità di vigilanza (come RAGIONE_SOCIALE aveva qualche gi orno prima già evidenziato) » ( cfr . pag. 25-27 della menzionata sentenza);
ii ) ha ritenuto, quanto alla inscindibilità delle fasi di cui alla articolata e complessa operazione suddetta che, la stessa doveva essere valutata in concreto: « da un lato, l’RAGIONE_SOCIALE 29.1.2012 va letto nella sua interezza, e comunque riconoscendo l’ovvia, ma essenziale, circostanza per la quale , nel momento in cui si prevede un aumento di capitale della holding del gruppo (per farla uscire dalla pacifica situazione di crisi) con esclusione del diritto d opzione e riservato al partner contrattuale UGF, in modo da farne acquisire il controllo e al fine di utilizzarlo per l’aumento di capitale di RAGIONE_SOCIALE (ugualmente per farla uscire dalla pacifica situazione di crisi), si accetta anche che il nuovo soggetto controllante porti avanti l’integrazione (fusione) ugualmente prevista come passo successivo e finale, con le proprie precedenti controllate, delle società di cui viene ad acquisire il controllo. Tutto l’RAGIONE_SOCIALE è , del resto, chiaramente pervaso dall’intento di operare sì il salvataggio del gruppo RAGIONE_SOCIALE, ma unicamente attraverso il controllo integrazione col gruppo RAGIONE_SOCIALE, di cui la fusione è elemento finale ed essenziale, sia nell’esplicita intenzione di procedere ‘alla creazione di un operatore nazionale di primario rilievo nel settore delle imprese di
assicurazione, in grado di competere efficacemente con i principali concorrenti nazionali ed europei’, sia nell’oggettiva scansione delle fasi come sopra indicate. Ne sono palese conferma le condizioni sospensive volte ad ottenere: il ‘consenso scritto a termini e condizioni approvati da UGF – da parte dei RAGIONE_SOCIALEri’, nell’ambito del piano attestato di risanamento, all’aumento di capitale, all’acquisto del controllo, ‘alla Fusione e al connesso Progetto di Integrazione’ (art. 3.1. (v)); il rilascio di un provvedimento Consob di conferma dell’esenzione da OPA sulle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE ex artt. 106 TUF, 49 e 45 Reg. Emittenti (art. 3.1. (ii)). Quest’ultima condizione era volta evidentemente non solo ad un risparmio di spesa (se l’OPA doveva essere totalitaria), ma anche a sottrarre all’alea del mercato l’intera operazione, ossia al rischio che il controllo -finalizzato alla fusione -non si fosse potuto raggiungere nella misura sperata, per un qualsivoglia motivo, nelle more o ad esito dell’OPA stessa. Va inoltre sottolineato che l’RAGIONE_SOCIALE prevedeva anche una clausola di esclusiva (art. 4) con cui RAGIONE_SOCIALE si impegnava affinché le sue controllate definissero e attuassero il progetto di integrazione, e a non discutere o negoziare con terzi operazioni con esso incompatibili: il che conferma che possibili ‘soluzioni alternative’ con altri dovevano ritenersi contrattualmente precluse almeno fino alla scadenza del termine previsto per l’avveramento delle condizioni (20.7.2012) . Consegue dal complesso degli elementi di cui sopra -anche oltre le pur chiare espressioni letterali -che le fasi erano soggettivamente ritenute ed oggettivamente concatenate nel senso della loro inscindibilità: non si vede perché, altrimenti, UGF avrebbe dovuto impegnare le proprie risorse finanziarie e COGNOME accettare un aumento di capitale riservato e una fusione assentita dai suoi creditori ex art. 67 l.f. » ( cfr . pag. 28-29 della menzionata sentenza);
iii ) opinò, quanto al ‘ concorso ‘ delle appellanti alla deliberazione di fusione che, il relativo aspetto « non può prescindere dall’esame dei rapporti tra le stesse, le persone fisiche dei figli di NOME COGNOME (NOME, NOME e NOME) e gli organi amministrativi delle società dello stesso gruppo RAGIONE_SOCIALE.
Come già sopra accennato, e come esposto nella sentenza impugnata e negli atti delle appellate, al di là delle diverse formali vesti assunte dalle persone fisiche, è pacifico e documentato che: -le stesse persone fisiche erano rispettivamente soci controllanti e l.r. delle lussemburghesi RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME era anche azionista in proprio di RAGIONE_SOCIALE); che queste erano, a loro volta, soci di riferimento e, tramite il patto di sindacato di cui infra , congiuntamente controllanti (insieme ad altre due società dei COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) con oltre il 50% delle azioni, di RAGIONE_SOCIALE, holding e controllante di RAGIONE_SOCIALE e indirettamente di RAGIONE_SOCIALE (doc. 4,5 e 6 appellate) ; -vi era un patto parasociale di sindacato e di voto (prorogato sino al 2014) tra i detti soci di riferimento di RAGIONE_SOCIALE (con oltre il 54% delle azioni) ; –NOME, NOME e NOME COGNOME avevano incarichi apicali in RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE: in RAGIONE_SOCIALE ‘Gli amministratori sono stati tratti dall’unica lista presentata da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in qualità di aderenti al Patto.’ (doc. 5 appellate, p. 15) ; –NOME COGNOME, in particolare, è stata presidente e amministratore delegato del cda di RAGIONE_SOCIALE fino al 18.9.2012 (doc. 4 e 5 appellate); NOME COGNOME è stata presidente del CDA di RAGIONE_SOCIALE sino al 24.4.2012, poi vicepresidente sino al 30.10.2012, e componente del cda di RAGIONE_SOCIALE fino al 17.5.2012; NOME COGNOME era componente del cda e del comitato esecutivo di RAGIONE_SOCIALE fino al 30.10.2012; componente del cda e vicepresidente di RAGIONE_SOCIALE fino al 24.6.2012, in prorogatio fino al 10.7.2012 (doc. 6 e 7 appellate). Vi è quindi coincidenza di soggetti fra controllo e rappresentanza delle società controllanti le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, i cui amministratori a loro volta coincidevano coi rappresentanti e controllanti delle controllanti. Tali identità soggettive rendono già di per sé palesemente inattendibili, come notano le appellate, la tesi delle appellanti volta a scindere e a far apparire tra loro contrastanti le manifestazioni di volontà dei rappresentati da quelle dei rappresentanti sulla base della formale distinzione tra le diverse soggettività
giuridiche e le vesti indossate e le cariche rivestite di volta in volta dai protagonisti della vicenda, senza necessità alcuna di ricorrere alle categorie dello ‘schermo’ e dell”abuso’ della personalità giuridica, o dell’interposizione fittizia di persona. In altre parole, non è possibile argomentare che la medesima persona fisica abbia, da un lato, espresso positivamente o per facta concludentia il suo assenso o prestata la sua fattiva collaborazione, determinante dal punto di vista causale, all’attuazione dell’RAGIONE_SOCIALE, composto da più fasi intenzionalmente ed obiettivamente inscindibili, solo in quanto componente del cda di RAGIONE_SOCIALE, e, dall’altro, con riserva mentale e dissociazione nel foro interno, abbia invece avuto motivo di dissentirne in quanto persona fisica (NOME COGNOME) o l.r. dei soci di maggioranza a loro volta controllati dal medesimo l.r., e/o abbia per questo manifestato in altra veste la sua contrarietà prima, e infine ‘non concorso’ alla deliberazione di fusione rimanendo assente all’ assemblea » ( cfr . pag. 32-34 della medesima sentenza).
Si è in presenza, dunque, in relazione a tali aspetti (fondanti, poi, la pronuncia in diritto che ha riguardato la fornita interpretazione dell’art. 2437, comma 1, cod. civ.), di accertamenti di carattere evidentemente fattuali, nemmeno sindacabili in questa sede per vizio motivazionale ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., (essendosi al cospetto di una cd. doppia conforme sul punto, né, peraltro RAGIONE_SOCIALE, unica ad aver formulato il proprio primo motivo invocando anche un preteso ‘ omesso esame di un punto decisivo ‘ , ha rispettato le modalità di deduzione di un siffatto vizio come sancite da Cass., SU, n. 8053 del 2014 e dalla costante giurisprudenza di legittimità seguita a tale pronuncia), rispetto ai quali va solo aggiunto che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408,
5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423 e 27328 del 2024; Cass. nn. 1166, 8671 e 20895 del 2025).
A quanto fin qui esposto ed alle conclusioni cui si è giunti non ostano, poi, gli assunti delle parti ricorrenti (ribaditi pure nel corso della discussione orale) circa la impossibilità di una rinuncia preventiva al diritto di recesso per le ipotesi di cui al novellato art. 2437, comma 1, cod. civ. (evincibile dall’ultimo comma del medesimo articolo) oppure ( cfr . pag. 10 del ricorso di RAGIONE_SOCIALE) del nascere, in capo ad un ipotetico acquirente di tutte o parti delle azioni di una delle appellanti che aveva già ‘ concorso ‘ alla complessiva operazione di cui si è detto con atti posti in essere anteriormente alla deliberazione finale di fusione, di un diritto ‘ monco ‘ (privo, cioè, dei poteri e delle facoltà che la legge riconosce a quell’acquirente, individualmente, come azionista).
Circa il primo aspetto, infatti, ed in via assolutamente dirimente, non vi è chi non veda che un ‘ ipotetica rinuncia preventiva al diritto di recesso è qualcosa di totalmente diverso, anche logicamente, dal fatto della non insorgenza di tale diritto perché impedito da un comportamento causalmente significativo, in modo decisivo, rispetto all’esito, ab origine già conosciuto dal socio, cui era finalizzata la complessiva operazione in cui quel suo comportamento si è scientemente inserito.
Quanto, invece, al secondo, e rimanendo nel l’ esempio utilizzato da RAGIONE_SOCIALE, basta rimarcare che l’acquirente, in realtà, subentra nella medesima posizione giuridica sostanziale cedutagli dall’alienante, diviene, cioè, titolare di un diritto nella stessa misura in cui quest’ultimo glielo trasferisce. Pertanto, se informato, o legalmente posto in condizione di farlo, di tutto quanto accaduto prima di detto trasferimento e della relativa incidenza sul diritto da lui successivamente acquistato, le eventuali conseguenze riguarderanno, al più, il rapporto interno tra i due contraenti. Diversamente, in assenza, cioè, di una tale preventiva conoscenza o legale
conoscibilità, il problema concernente il rapporto tra lui e la società di cui abbia acquistato le azioni, se, cioè, egli possa/debba considerarsi, o non, titolare di un diritto di recesso ex art. 2437, comma 1, cod. civ., certamente non autorizzerebbe la conclusione della permanenza di quello stesso diritto in capo all’alienante in ragione di tutto quanto si è detto in precedenza. Conseguentemente, nemmeno rileva discutere ulteriormente di detto problema, essendo lo stesso estraneo all’odierno, concreto thema decidendum , non risultando documentato, nella specie, il verificarsi della corrispondente circostanza fattuale che ne costituirebbe il presupposto.
Alla stregua delle complessive argomentazioni fin qui esposte, dunque, il primo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, il secondo motivo di quello di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ed il secondo motivo di quello di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE devono essere respinti, assorbite le altre eccezioni pregiudiziali di loro inammissibilità formulate dalle rispettive controricorrenti, contestualmente enunciandosi i seguenti principi di diritto:
« In tema di società di capitali, la previsione de ll’art. 2437, comma 1, cod. civ., come novellato dal d.lgs. n. 6 del 2003, secondo cui ‘Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti ‘, deve intendersi riferita sia alla fattispecie in cui la ‘deliberazione’ assembleare abbia costituito un avvenimento considerato in sé stesso, cioè un fatto puntuale nel tempo, verificatosi in un preciso momento storico, sia all’ipotesi in cui l a medesima ‘deliberazione’ abbia costituito l’ultimo atto di una operazione più complessa, composta da una serie di fatti e/o avvenimenti succedutisi nel tempo, ma tra loro inscindibilmente e causalmente collegati nel senso che ognuno costituisca il necessario precedente per il passaggio a quello successivo fino a raggiungere, appunto, la deliberazione finale il cui oggetto costituisce l’esito, conosciuto ab origine dai soci, che quella complessa operazione avrebbe dovuto realizzare »;
« In tema di società per azioni, allorquando la ‘deliberazione’ assembleare di cui all’art. 2437, comma 1, cod. civ., come novellato dal d.lgs. n. 6 del 2003, abbia costituito un avvenimento considerato in sé stesso, cioè un fatto puntuale nel tempo, verificatosi in un preciso momento storico, il diritto di recesso di cui alla citata norma spetterà ai soci assenti all’assemblea che ha adottato la delibera ed a quelli ivi presenti ma dissenzienti o astenuti. Ove, invece, la medesima ‘deliberazione’ abbia costituito l’ultimo atto di una operazione più complessa, composta da una serie di fatti e/o avvenimenti succedutisi nel tempo, ma tra loro inscindibilmente e causalmente collegati nel senso che ognuno costituisca il necessario precedente per il passaggio a quello successivo fino a raggiungere, appunto, la deliberazione finale il cui oggetto costituisce l’esito, conosciuto ab origine dai soci, che quella complessa operazione avrebbe dovuto realizzare, il consenso manifestato da un socio ad uno dei fatti e/o degli avvenimenti suddetti preclude il sorgere, in capo al socio medesimo, del diritto di recesso suddetto » .
5. -L’esame congiunto del secondo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, del primo di quelli di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e del primo di quello RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Questi motivi, scrutinabili unitariamente perché evidentemente connessi, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento, atteso che travisano la chiara ratio decidendi , sul punto, della sentenza impugnata.
La corte distrettuale, invero, -come peraltro condivisibilmente opinato anche dalle difese delle controricorrenti -lungi dall’avere ritenuto che la condotta di NOME, NOME e NOME COGNOME (proprietari e legali rappresentanti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE ) ‘ fosse ‘ la condotta, rispettivamente, di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, imputandola direttamente a queste e violando lo schermo della personalità giuridica e le norme sul funzionamento delle società (e fermo restando che né l’art. 13 c od. civ . né l’art. 2247 c od. civ. -le uniche due norme che ad avviso di RAGIONE_SOCIALE sarebbero state violate –
contengono dei principi in merito alla imputabilità degli atti di un individuo ad una persona giuridica), molto più semplicemente, con un apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che (a prescindere dal, già di per sé, dirimente concorso alla fusione integrato dai voti espressi a favore dell’ aumento di capitale riservato RAGIONE_SOCIALE in sede assembleare. Cfr . pag. 34 della sentenza impugnata dove si è specificamente rimarcato, tra l’altro, che l’aumenti di capitale RAGIONE_SOCIALE era stato approvato, nel corso dell’assemblea di quest’ultima del 12 giugno 2012, successiva, dunque, all’ RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALEimento intercorso il 29 gennaio 2012, tra RAGIONE_SOCIALE, holding del RAGIONE_SOCIALE, ed RAGIONE_SOCIALE, holding del RAGIONE_SOCIALE -« con voto favorevole di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE , e alla presenza dell’intera famiglia COGNOME, con informazioni molto dettagliate sul progetto » ) valessero come ulteriori indici di concorso nella fusione e di assenza di buona fede (quindi come ulteriori ragioni che avrebbero legittimato il diniego del recesso) anche le plurime condotte poste in essere, rispettivamente, da NOME, NOME e NOME COGNOME (nel contempo legali rappresentanti e soci di controllo di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) quali membri del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che avevano assunto fondamentali delibere funzionali alla fusione (ricordandosi che NOME COGNOME era presidente ed amministratrice delegata di RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME, amministratore di RAGIONE_SOCIALE, e membro del comitato esecutivo, nonché vice-presidente di RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME, presidente di RAGIONE_SOCIALE, e membro del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE). Condotte ritenute dalla corte felsinea determinanti, essenziali, senza le quali, dunque, non si sarebbe avuta la delibera finale di fusione.
In ogni caso, nemmeno appaiono decisive le censure de quibus laddove imputano alla corte felsinea: i ) di avere opinato erroneamente, perché in
contrasto con l’art. 1384 cod. civ., in nessun modo derogato dall’art. 2384 cod. civ., che la dichiarazione di un rappresentante (NOME COGNOME), che spenda il nome del rappresentato (COGNOME), non si imputi al solo rappresentato, ma anche allo stesso rappresentante, che sarebbe personalmente vincolato; ii ) di avere ritenuto, altrettanto erroneamente, che la dichiarazione di una persona fisica (NOME COGNOME), che rivesta la qualità di componente del consiglio di amministrazione di una persona giuridica (RAGIONE_SOCIALE) si imputi direttamente a quest’ultima anche se non ne sia speso il nome.
In proposito, infatti, ed in via assolutamente dirimente (a prescindere, dunque, dalla fondatezza, o non, di dette censure), deve essere sottolineato che, come accertato dalla corte distrettuale, tutte le socie di RAGIONE_SOCIALE (tra cui RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) hanno certamente votato ed approvato l’aumento di capitale di quest’ultima ( cfr . il già richiamato verbale assembleare di RAGIONE_SOCIALE del 12 giugno 2012), atto prodromico e decisivo -secondo quanto affermato dalla medesima corte, con valutazione qui non ulteriormente sindacabile, attesane la natura evidentemente fattuale -rispetto a tutta la complessiva operazione di cui oggi si discute, alla quale, pertanto, esse hanno ‘ concorso ‘ , in ragione del principio di causalità di cui si è ampiamente riferito in precedenza, anche alla deliberazione di fusione , costituente l’esito finale, programmato ab origine e conosciuto da tutti i soci di RAGIONE_SOCIALE, della complessiva operazione suddetta.
Tanto si rivela, allora, assolutamente cruciale ed assorbente ogni altra questione.
5.1. Resta solo da ribadire, allora, che, come si è già detto in precedenza, il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . l’ampia rassegna giurisp rudenziale già riportata, sul punto, nel paragrafo precedente). In effetti, come puntualizzato, in motivazione, da
Cass. n. 7612 del 2022, Cass. n. 8671 del 2025 e Cass. n. 20895 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
6. -L’esame congiunto del terzo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e del terzo motivo di quello di quello RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Questi motivi, scrutinabili unitariamente perché evidentemente connessi, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento, atteso che, sostanzialmente, -pure volendosi prescindere dalla evidente carenza di sufficienza che li caratterizza nella misura in cui nemmeno riportano lo specifico contenuto delle clausole contrattuali in essi richiamate -si risolvono in censure dell’esito interpretativo dei contratti intercorsi tra le parti .
È sufficiente ricordare, allora, che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8671 del 2025; Cass. nn. 18079, 13621, 10786 e 2607 del 2024; Cass. nn. 30878, 13408, 13005 e 7978 del 2023; Cass. nn. 35787, 35041, 29860, 19146 e 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. n. 25470 del 2019; Cass. n. 14938 del 2018), il sindacato di legittimità
sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023; Cass. nn. 2607, 10786, 13621 e 18079 del 2024; Cass. n. 8671 del 2025).
In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).
La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ( cfr. Cass. n. 8671 del 2025; Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).
Nel quadro dei riportati principi, risulta chiaro che i motivi in esame si risolvono in una sostanziale, inammissibile, rivisitazione del merito, attraverso la proposizione di una interpretazione di clausole contrattuali, in senso favorevole agli istanti, diversa da quella, da essi contestata, preferita dalla corte distrettuale.
-L’esame del terzo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Questo motivo si rivela fondato.
Appare affatto singolare, invero, oltre che assolutamente ingiustificato, che la corte di appello, da un lato, abbia accolto il quinto motivo di gravame di RAGIONE_SOCIALE sul presupposto che quest’ultima, non avendo svolto domande nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, non dovesse sopportare il pagamento delle spese processuali di primo grado d i dette banche e, dall’altro, abbia posto, poi, a carico della medesima appellante, le spese di queste ultime relative al grado di appello.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere riformata esclusivamente in quest’ultima sua parte e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa, nel merito, su questo specifico punto, disponendosi la compensazione delle spese di secondo grado riguardanti i rapporti processuali tra RAGIONE_SOCIALE e le banche suddette, stanti la
complessità e parziale novità delle questioni ivi affrontate, confermandosi, per il resto, la menzionata sentenza.
8.- Conclusioni e regime delle spese. In conclusione, dunque: i ) il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE deve essere accolto limitatamente al suo terzo motivo, dichiarandosene infondati gli altri. La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione al solo motivo accolto e la causa va decisa nel merito nei sensi appena esposti alla fine del paragrafo precedente; ii ) il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE deve essere respinto; iii ) il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE deve essere respinto.
Le spese di questo giudizio di legittimità possono essere interamente compensate tra tutte le parti, stanti la complessità delle questioni trattate e la novità di quella concernente l’interpretazione dell’art. 2437, comma 1, cod. civ. come novellato dal d.lgs. n. 6 del 2003.
Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro, nonché di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, parimenti in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE limitatamente al suo terzo motivo, respingendone gli altri.
Rigetta il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE
Rigetta il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE
Cassa la sentenza impugnata in relazione al solo motivo accolto e, decidendo nel merito, compensa le spese di secondo grado concernenti i rapporti processuali tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Compensa interamente tra tutte le parti costituite le spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro, nonché di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, parimenti in via solidale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 6 novembre 2025.
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME