Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12853 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12853 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5913 R.G. anno 2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME controricorrente avverso la sentenza n. 3273 del 2020 depositat a l’11 dicembre 2020 della Corte di appello di Milano.
Udita la relazione svolta alla camera di consiglio del 28 marzo 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE socia della società consortile RAGIONE_SOCIALE
ha convenuto in giudizio quest’ultima chiedendo in via principale l’accertamento della legittimità del proprio recesso, comunicato in data 27 luglio 2017 a norma dell’art. 2437, comma 1, lett. a), c.c. e fondato sulla « modifica della clausola dell’oggetto sociale quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società »: ciò, sul presupposto del rifiuto dell’assemblea dei soci di avviare l’iter per l’approvazione del regolamento previsto de ll’art. 1.4 dello statuto, regolamento la cui mancata approvazione avrebbe inciso direttamente sull’oggetto sociale connotato in senso mutualistico; in via subordinata l’attrice ha chiesto l’accertamento della causa di scioglimento della società ex art. 2484, n. 2, c.c..
La nominata disposizione statutaria prevedeva che la società avrebbe svolto un ruolo di supporto rispetto all’attività dei consorziati, agendo a livello regionale, e cioè in relazione alla dislocazione della sede legale dei soci stessi: a tal fine i soci con sede nella medesima regione avrebbero nominato un rappresentante regionale al quale demandare il coordinamento delle attività commerciali tra RAGIONE_SOCIALE e i singoli soci della regione. Era inoltre contemplato che le specifiche attività oggetto di coordinamento e le relative modalità operative, in quanto attinenti unicamente al rapporto consortile, sarebbero state stabilite nel regolamento interno previsto dall’art. 7 dello statuto.
La società attrice ha dedotto che l’assemblea dei soci del 14 luglio 2017 si era rifiutata di avviare l’iter per l’approvazione del regolamento interno e che tale mancata approvazione privava il consiglio di amministrazione del potere di fissare le regole di coordinamento tra attività sociale e attività dei soci; inoltre , ad avviso dell’istante, l’assemblea, mancando di conferire al consiglio di amministrazione l’incarico di redazione del regolamento, aveva comunque impedito in via duratura il conseguimento dello scopo consortile.
Nella resistenza della società consortile il Tribunale di Milano ha respinto le domande attrici.
2. E’ stato pure rigettato il gravame proposto da Mega.
La Corte di appello di Milano, con sentenza dell’11 dicembre 2020, ha in sintesi rilevato, con riguardo alla domanda principale, quanto segue. Sia prima che dopo la delibera assembleare il consiglio di amministrazione aveva mantenuto intatto il suo potere, il cui esercizio era facoltativo, di predisporre o meno il regolamento previsto dal cit. art. 1.4 dello statuto. Detto statuto non attribuiva all’assemblea il potere di obbligare il consiglio di amministrazione a predisporre il regolamento (potere, questo, che era assegnato al consiglio di amministrazione, mentre all’assemblea era attribuita la facoltà di approvare lo stesso). Ove pure si ritenesse che il rinvio dell’art. 1.4 al regolamento interno dovesse «intendersi come riferito esclusivamente alla necessità dell’approvazione da parte dell’assemblea», la delibera del 14 luglio 2017 non aveva apportato alcuna modificazione allo statuto di RAGIONE_SOCIALE, neppure con riguardo all’oggetto sociale: infatti, dopo la delibera in questione, il cit. art. 1.4 non aveva subito modificazioni. Anche a credere che, in forza della delibera in questione, fosse stata eliminata dallo statuto la disposizione che prevedeva l’attuazione del coordinamento commerciale tra RAGIONE_SOCIALE e i singoli soci da parte dei rappresentanti regionali sulla base di apposito regolamento, una tale modifica dell’oggetto sociale non aveva integrato un significativo cambiamento dell’attività della società a norma dell’art. 2437, comma 1, lett. a), c.c.. Con riguardo alla domanda subordinata, il Giudice distrettuale ha poi osservato che la disposizione di cui all’art. 1.4 dello statuto, introdotta nel 2008, non era stata mai attuata, onde l’assemblea, con la delibera del 14 luglio 2017, aveva semplicemente deciso di non apportare alcuna modificazione alla situazione già esistente da nove anni senza che vi fosse stata in precedenza alcuna denuncia al riguardo: da tale evenienza doveva desumersi che nell’opinione dei soci l’oggetto sociale era pienamente conseguibile anche se con modalità parzialmente differenti da quelle previste dallo
statuto. Non essendo stata apportata alcuna modificazione statutaria, poi, nulla vietava che, in futuro, il consiglio di amministrazione potesse ritenere di dare attuazione alla disposizione contenuta nell’art. 1.4 predisponendo l’apposito regolamento e, stante la non definitività della deliberazione assunta dall’assemblea con riguardo alle modalità di coordinamento previste dalla richiamata norma statutaria, doveva reputarsi escluso che in forza della delibera stessa l’oggetto sociale fosse divenuto impossibile.
Avverso la sentenza della Corte di Milano Mega ha proposto un ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo prospetta la violazione dell’art. 2437, comma 1, lett. a), c.c.. Viene spiegato che la mancata approvazione del regolamento aveva determinato la mancata attuazione dello scopo consortile e quindi la trasformazione della società controricorrente in una ordinaria società per azioni di tipo lucrativo, con conseguente modifica dell’oggetto sociale. E’ rilevato che il regolamento avrebbe dovuto stabilire i criteri, oggettivi e condivisi dai consorziati, che garantivano l’effettivo svolgimento dell’attività di coordinamento e supporto nell’interesse di tutti i consorziati, così come da questi ultimi voluto attraverso la previsione dell’art. 1.4 dello statuto: secondo la società istante, la mancata approvazione del regolamento inciderebbe quindi sullo svolgimento coordinato dell’attività di ottimizzazione della fase di approvvigionamento a vantaggio diretto dei consorziati, rendendo non perseguibile l’attuazione dello scopo consortile con sostanziale mutamento dell’attività sociale. L’assunto della ricorrente è che in ragione della mancata approvazione del regolamento la società consortile sarebbe priva dei criteri che garantiscono l’effettivo svolgimento dell’attività di coordinamento e supporto nell’interesse di tutti i consorziati: «senza il regolamento la società consortile svolge,
come una comune società di capitali, solo attività economica, omettendo invece lo svolgimento della principale funzione di garanzia, connessa all’attività economica: l’attività di coordinamento e supporto ai consorziati» (ricorso, pag. 19).
2. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente denuncia, come s i è detto, la violazione dell’art. 2437, comma 1, lett. a), c.c. e, come è noto, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; tra le moltissime pronunce non massimate sul punto, cfr. di recente: Cass. 14 dicembre 2024, n. 32475; Cass. 12 dicembre 2024, n. 32040; Cass. 12 dicembre 2024, n. 32036; Cass. 18 novembre 2024, n. 29580).
Nel caso in esame la censura inerisce proprio all’accertamento della fattispecie concreta.
La Corte di appello ha evidenziato come l’attività dell’odierna controricorrente consistesse nell’acquisto e stoccaggio di materiale elettrico di ogni genere, di materiale elettronico, di prodotti affini e complementari, per la successiva rivendita a favore delle aziende socie, senza fini di lucro, oltre che in una serie di attività facoltative complementari, finalizzate, però, allo svolgimento del detto oggetto sociale (quali l’ immagazzinamento delle merci, il trasporto e le attività connesse alla logistica, i servizi in materia di promozione di mercato, la conclusione di operazioni commerciali, industriali, finanziarie e bancarie, ipotecarie ed immobiliari, il ricorso a forme di finanziamento con concessione di garanzie, l’ assunzione di partecipazioni e interessenze in
società e imprese). La stessa Corte di merito ha poi precisato che la previsione secondo cui il coordinamento delle attività commerciali afferenti al rapporto tra RAGIONE_SOCIALE e i singoli soci doveva essere attuato su base regionale «non costituisce certamente una caratteristica imprescindibile dell’oggetto sociale, senza la quale questo potesse ritenersi in concreto qualcosa di significativamente diverso, solo per il fatto che il coordinamento in questione veniva attuato discrezionalmente dal consiglio di amministrazione anziché dai rappresentanti regionali sulla base di un apposito regolamento». In tal modo il Giudice distrettuale ha operato una ricognizione concreta della fattispecie portata al suo esame, giungendo ad escludere che la mancata modulazione su base regionale dell’attività di coordinamento avesse incidenza sull ‘ oggetto sociale, così da determinare quel « significativo cambiamento dell’attività della società » che giustifica il recesso del socio, a mente del cit. art. 2437, comma 1, lett. a), c.c..
Quella della Corte di appello è dunque una valutazione che si sottrae al sindacato di legittimità.
Sintomaticamente, del resto, la ricorrente imputa alla sentenza impugnata « un’esegesi meramente testuale dello statuto» (così nel ricorso, a pag. 14), con ciò mostrando di indirizzare la doglianza verso un profilo che esula dalla ricognizione astratta della norma che assume violata (senza peraltro prospettare una censura di legittimità circa l’interpretazione delle disposizioni statutarie, dal momento che la stessa società istante non ha lamentato una violazione dei canoni legali dell’ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c. o un vizio di motivazione del ragionamento interpretativo).
Assumere, poi, che «senza regolamento interno, l’attività consortile di coordinamento a supporto ai consorziati non è svolta», onde in tale ipotesi «non è possibile realizzare lo scopo consortile e inoltre viene alterato l’oggetto sociale della società» (ricorso, pag. 18), eqiovale a porsi su di un piano di sterile contrapposizione rispetto
al l’affermazione della Corte di appello circa la non influenza del coordinamento regionale sulla reale consistenza dell’attività svolta da RAGIONE_SOCIALE (che quindi, secondo il Giudice distrettuale, non mutava in ragione dell’esistenza o meno del coordinamento stesso).
3. Col secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 2484, n. 2, c.c.. Si deduce che la società consortile, senza il regolamento, non si coordina affatto, e quindi non esercita alcuna attività «di supporto all ‘ attività dei consorziati agendo a livello regionale» come invece prescritto dall’art. 1.4 dello statuto . In mancanza dell’approvazione di apposita modifica dello statuto, la delibera assembleare del 14 luglio 2017 rappresenterebbe «in modo chiaro e definitivo, proprio quel fatto da cui può dedursi il riconoscimento della sopravvenuta impossibilità, da parte della società consortile, a conseguire il suo scopo, quindi l’oggetto sociale». In altri termini, secondo la società ricorrente, la delibera che aveva deciso di non approvare il regolamento rendeva impossibile il conseguimento di uno scopo consortile: elemento, questo, essenziale del contratto sociale.
4. Il motivo è inammissibile.
La sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale integra una situazione di definitività, tale da precludere qualsiasi ulteriore attività operativa della società e da comportarne la messa in liquidazione (così Cass. 6 aprile 1991, n. 3602, a proposito della previsione contenuta nel vecchio testo dell’art. 2448, n. 2, c.c.) .
Come in precedenza ricordato, la Corte di merito ha ritenuto che la mancata attuazione, nell’arco di nove anni, della disposizione di cui all’art. 1.4 dello statuto faceva credere che i soci ritenessero l’oggetto sociale pienamente conseguibile, anche se con modalità parzialmente differenti da quelle previste dallo statuto, e che, inoltre, la mancata deliberazione da parte dell’assemblea di un’approvazione del regolamento non aveva carattere di definitività con riguardo alle modalità di coordinamento regionale stabilite dalla detta disposizione,
con la conseguenza che non poteva determinare la sopravvenuta impossibilità dell’oggetto sociale.
La ricorrente non assume che la Corte distrettuale abbia ritenuto, in diritto, che una situazione di definitiva impossibilità di conseguire l’oggetto sociale sia improduttiva dell’effetto dello scioglimento della società programmato dall’art. 2484 c.c., ma deduce, in fatto, che la mancata approvazione del regolamento aveva reso impossibile il conseguimento dello scopo consortile. Anche qui viene dunque in discorso la supposta erronea ricognizione della fattispecie concreta: profilo che, come sopra ricordato, esula dal giudizio di legittimità.
5. -Il ricorso , in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.
6. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00, che liquida in euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione