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Diritto di recesso: quando la mancata approvazione conta

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un socio che voleva esercitare il diritto di recesso da una società consortile. Il socio sosteneva che la mancata approvazione di un regolamento interno da parte dell’assemblea avesse modificato l’oggetto sociale. La Corte ha stabilito che la valutazione se tale mancanza costituisca un ‘cambiamento significativo dell’attività’ è una questione di fatto, non di diritto, e quindi di competenza dei giudici di merito e non della Cassazione.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

Diritto di recesso del socio: la mancata approvazione di un regolamento è sufficiente?

Il diritto di recesso rappresenta uno strumento fondamentale di tutela per il socio di una società di capitali, consentendogli di svincolarsi dalla partecipazione sociale al verificarsi di eventi che modificano in modo sostanziale l’assetto originario dell’investimento. Ma cosa accade se la modifica non riguarda direttamente lo statuto, bensì la mancata attuazione di una sua previsione? Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione chiarisce i confini tra valutazione di fatto e violazione di legge, confermando che non ogni inerzia assembleare legittima l’uscita del socio.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, socia di una società consortile per azioni, aveva citato in giudizio quest’ultima. Il motivo della contesa era il rifiuto, da parte dell’assemblea dei soci della consortile, di avviare l’iter per l’approvazione di un regolamento interno previsto dallo statuto. Tale regolamento avrebbe dovuto disciplinare il coordinamento delle attività commerciali tra la società consortile e i singoli soci a livello regionale, un elemento ritenuto cruciale per la realizzazione dello scopo mutualistico.

La società socia sosteneva che questa mancata approvazione costituisse una ‘modifica della clausola dell’oggetto sociale che consente un cambiamento significativo dell’attività della società’, causa di recesso prevista dall’art. 2437, comma 1, lett. a), del codice civile. In subordine, chiedeva che venisse accertata la causa di scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale (ex art. 2484, n. 2, c.c.), poiché senza il regolamento lo scopo consortile sarebbe divenuto irraggiungibile.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano respinto le domande, ritenendo che la delibera assembleare non avesse modificato lo statuto né reso impossibile il raggiungimento dell’oggetto sociale, anche in considerazione del fatto che la clausola sul regolamento era rimasta inattuata per ben nove anni senza contestazioni.

La questione del diritto di recesso e lo scioglimento

La questione giuridica sottoposta alla Suprema Corte verteva su due punti principali:

1. Legittimità del diritto di recesso: La società ricorrente insisteva sul fatto che la mancata approvazione del regolamento avesse di fatto trasformato la società consortile in una normale società per azioni con scopo di lucro, snaturandone l’oggetto sociale e giustificando così il recesso.
2. Impossibilità di conseguire l’oggetto sociale: Si sosteneva che la decisione dell’assemblea fosse definitiva e rendesse impossibile il coordinamento tra i soci, elemento essenziale del contratto sociale, integrando così una causa di scioglimento.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto entrambi i motivi di ricorso inammissibili, focalizzandosi sulla distinzione tra l’errata ricognizione della fattispecie concreta (valutazione dei fatti) e la violazione di legge (errata interpretazione della norma).

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha chiarito che il compito dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) è quello di accertare e valutare i fatti del caso. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva concluso, con una valutazione di merito, che la mancata approvazione del regolamento non costituisse un ‘cambiamento significativo dell’attività’ tale da giustificare il diritto di recesso. Aveva infatti osservato che l’attività principale del consorzio (acquisto e stoccaggio di materiale per la rivendita ai soci) continuava regolarmente e che il coordinamento regionale era una modalità operativa, non una caratteristica imprescindibile dell’oggetto sociale. La decisione su cosa costituisca un cambiamento ‘significativo’ è una valutazione di fatto, che non può essere riesaminata nel giudizio di legittimità, a meno che non si lamenti un vizio di motivazione o una violazione delle norme sull’interpretazione del contratto, cosa che la ricorrente non aveva fatto.

Analogamente, per quanto riguarda la presunta causa di scioglimento, la Corte ha ribadito che l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale deve essere definitiva e assoluta. La Corte d’Appello aveva ritenuto, ancora una volta con un apprezzamento di fatto, che la decisione dell’assemblea non avesse carattere di definitività e che il fatto che la società avesse operato per nove anni senza quel regolamento dimostrava che l’oggetto sociale era comunque perseguibile. La ricorrente, anche su questo punto, contestava l’interpretazione dei fatti data dal giudice di merito, non una violazione di una norma di diritto.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Il suo ruolo è garantire l’uniforme interpretazione e la corretta applicazione della legge (funzione nomofilattica), non riesaminare i fatti già accertati dai giudici dei gradi precedenti. Per un socio che intende esercitare il diritto di recesso, non è sufficiente lamentare una generica modifica dell’operatività aziendale. È necessario dimostrare che tale modifica incida in modo sostanziale e significativo sull’attività definita nell’oggetto sociale. La valutazione di tale ‘significatività’ è, in ultima analisi, un accertamento di fatto rimesso alla prudente valutazione del giudice di merito.

La mancata approvazione di un regolamento interno da parte dell’assemblea costituisce sempre una modifica dell’oggetto sociale che legittima il diritto di recesso del socio?
No. Secondo l’ordinanza, spetta al giudice di merito valutare caso per caso se la mancata attuazione di una previsione statutaria, come l’approvazione di un regolamento, integri un ‘cambiamento significativo dell’attività della società’ tale da giustificare il recesso. Non è un automatismo.

Quando il rifiuto dell’assemblea di attuare una previsione statutaria può causare lo scioglimento della società?
Il rifiuto può causare lo scioglimento solo se determina una situazione di ‘sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale’ che sia definitiva e precluda qualsiasi ulteriore attività operativa. Se la società può comunque perseguire il suo scopo, anche con modalità differenti, non si verifica una causa di scioglimento.

Qual è la differenza tra un’errata valutazione dei fatti e una violazione di legge nel giudizio di Cassazione?
L’errata valutazione dei fatti (o ‘erronea ricognizione della fattispecie concreta’) riguarda il modo in cui il giudice di merito ha ricostruito e interpretato gli eventi del caso. La violazione di legge, invece, riguarda un errore nell’interpretazione o nell’applicazione di una norma giuridica. La Corte di Cassazione può giudicare solo sulla seconda, non sulla prima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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