Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31208 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31208 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22688 – 2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dai quali è rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
INPS, ISTITUTO NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso il suo Coordinamento generale legale,
rappresentato e difeso dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 537/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, sez. di TARANTO, pubblicata il 25/11/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/11/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria di parte ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 537/2019, la Corte d’Appello di Lecce, sez. di Taranto, in acco glimento dell’appello dell’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Taranto n. 1590/2016, ha respinto la domanda di NOME COGNOME, proposta da quest’ultima ex art 2932 cod. civ. e diretta ad ottenere il trasferimento coattivo dell’appartamento sito in Taranto, INDIRIZZO scala C, piano 11 interno 37, censito in catasto del Comune di Taranto al fgl 244, p.lla 1420 sub 94.
La domanda era stata proposta da COGNOME nell’esercizio del diritto di opzione previsto dall’art. 3, commi terzo e sesto, della legge 351/2001, convertito con modificazioni nella legge n° 410/2001, asseritamente a lei spettante, quale figlia convivente della conduttrice NOME COGNOME; il rigetto è stato fondato dalla Corte territoriale sul rilievo della causa impeditiva del trasferimento costituita dalla morosità della parte conduttrice e, cioè, prima suo padre e, poi, sua madre, a lui succeduta nel contratto.
La Corte d’appello, per quel che qui ancora rileva, ha altresì ritenuto non applicabile alla fattispecie l’art. 7 bis d.l. 203/2005,
convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, invocato in appello da COGNOME, che ha riconosciuto il diritto di opzione e di acquisto anche ai conduttori morosi, definendo bonariamente la morosità: ha rilevato, sul punto, il difetto dei requisiti previsti per l’applicabilità della norma.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi; l’INPS ha resistito con controricorso.
Il Procuratore generale presso questa Corte, in persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato memoria, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3 e 6, del d.l. 351/2001, come convertito nella legge 410/2001 e dell’art. 12 delle preleggi, per non avere la Corte d’appello valutato la sussistenza dei presupposti dell’insorgenza del diritto di opzione al 19/8/2004, cioè alla data in cui suo padre NOME COGNOME aveva ricevuto , dall’INPDAP, proprietario dell’ immobile dismesso, la raccomandata con cui era stato invitato ad esercitare il diritto di opzione; a quell’invito era, infatti, seguita, da parte sua, in data 11/10/2004, la comunicazione di esercizio dell’opzione , ma soltanto dopo due anni era stata comunicata una richiesta di pagamento dei canoni arretrati.
1.1. Il motivo è infondato.
Il programma di dismissione degli immobili pubblici si è articolato negli anni attraverso una successiva regolamentazione diretta a tutelare, da un canto, l’interesse alla salvaguardia del valore economico del patrimonio dismesso e, dall’altro, a regolamentare le conseguenze
delle inevitabili oscillazioni dei prezzi del mercato venute a verificarsi nelle more di ciascuna procedura di vendita, a protezione dell’acquirente . Si sono perciò susseguiti, in particolare per i beni degli enti previdenziali, il d.lgs. 16 febbraio 1996, n. 104, emanato in attuazione della delega ex art. 3, comma 27, della legge 8 agosto 1995, n. 335, il decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, nella legge 23 novembre 2001, n. 410 e successivi atti normativi.
In questo articolato quadro normativo, per quel che qui rileva, questa Corte ha già precisato che, ai sensi degli artt. 6, comma 5, del d.lgs. n. 104 del 1996 e 3, commi 3 e 6, del d.l. n. 351 del 2001, la regolarità nel pagamento dei canoni non integra una condizione sospensiva dell’esercizio del diritto di opzione proprio del conduttore, bensì ne costituisce un presupposto, ovvero un elemento costitutivo del diritto stesso; come tale, questo elemento presupposto prescinde dalla volontà delle parti, essendo imposto dallo stesso legislatore e non condiziona soltanto l’efficacia del trasferimento, ma deve ricorrere già alla data in cui la parte intenda avvalersi dei diritti a tal fine attribuiti dalla legge; pertanto, in presenza di contestazione da parte dell’ente proprietario, l’onere di provare la regolarità del pagamento dei canoni incombe sul conduttore (Sez. 6 -2, Ordinanza n. 4503 del 20/02/2020).
Nella sentenza impugnata, la Corte d’appello ha verificato la morosità già dal 2002, cioè in data antecedente alla data di esercizio del diritto di opzione, avvenuto nel 2004, perché COGNOME non ha prodotto, come verificato dal c.t.u., la ricevuta di avvenuto versamento del canone relativo al febbraio 2002; la Corte territoriale ha, quindi, rilevato che la morosità è proseguita nel gennaio e febbraio 2005 e per tutto il periodo successivo al marzo 2006.
Sul punto della morosità prima dell’esercizio del diritto di opzione, relativa al canone di febbraio 2002, la ricorrente ha sostenuto, seppure non richiamando il vizio di cui al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente considerato che l’INPDAP, formulando la sua proposta irrevocabile, non aveva in alcun modo contestato il mancato pagamento del canone di febbraio 2002.
Così formulata e per questo profilo, la censura è evidentemente inammissibile perché diretta ad ottenere una rivalutazione dei fatti preclusa in questa sede di legittimità.
Sul punto, infatti, la Corte d’appello ha rimarcato la mancanza di prova -il cui onere ha correttamente, per quanto detto, posto a carico di COGNOME -della regolarità dei pagamenti come contestati in giudiz io dall’INPS, a cui l’immobile era stato trasferito nel 2011 : costituendosi in giudizio, infatti, l’Istituto ha eccepito la mancanza di regolarità nei pagamenti preclusiva del trasferimento, producendo un dettagliato e specifico prospetto delle mensilità non corrisposte; l’ammontare della morosità è stata verificata con una c.t.u..
In conseguenza di questo accertamento in fatto, non più qui modificabile, la denuncia di violazione di legge comunque, seppure fondata, non riverbererebbe alcun effetto sulla decisione perché l’applicazione della norma nel senso invocato dalla ricorrente cioè la rilevanza della regolarità dei pagamenti soltanto alla data di esercizio dell’opzione – presuppone una situazione di fatto differente da quella accertata in sentenza, in cui comunque una morosità è stata riscontrata prima dell’esercizio del diritt o di opzione, sia pure per la sola mensilità del febbraio 2002 (sull’interesse a sollevare una censura di violazione di legge in riferimento all’applicabilità conc reta della norma, cfr. Sez. 2, n. 21230 del 19/07/2023; Sez. L, n. 9777 del 19/07/2001).
A ciò si aggiunga che la regolarità dei pagamenti è richiesta sia per l’esercizio del diritto di opzione sia, necessariamente, fino al trasferimento, perché l’opzione è soltanto una proposta irrevocabile cui corrisponde la facoltà di una delle parti di accettarla e configura perciò uno degli elementi di una fattispecie a formazione progressiva, costituita inizialmente dall’accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto; questo primo contratto ha effetti soltanto obbligatori e costituisce un preliminare azionabile ex art. 2932 cod. civ. (Sez. U, n. 19281 del 19/07/2018 e Sez. 2, n. 29605 del 25/10/2023).
É evidente, allora, che l’elemento costitutivo del diritto di opzione individuato dalla legge -cioè la regolarità nei pagamenti – è presupposto anche della legittimazione del conduttore all’acquisto : come detto, l’esercizio del diritto di opzione rappresenta soltanto la prima fase della formazione del provvedimento finale di dismissione trasfuso nell’atto di trasferimento; è perciò che la regolarità nei pagamenti doveva persistere sino al trasferimento e che, correttamente, a tale data è stato ulteriormente verificato.
Pertanto, riscontrando la morosità nel 2005 e nel 2006 come eccepita dall’Inps quale fatto impeditivo del diritto al trasferimento, la Corte d’appello ha correttamente applicato i suesposti principi.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione al n. 5 del comma primo dell’art. 360 comma cod. proc. civ., con riferimento al mancato esame e all’incompleta valutazione da parte della Corte d’appello delle risultanze emergenti della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, avendo la Corte
immotivatamente omesso di considerare l’inerzia dell’ente proprietario e promittente venditore nella dovuta, corretta e tempestiva richiesta delle poste di cui si riteneva creditore.
2.1. Il motivo è infondato. Il procedimento di formazione dell’atto di dismissione vede contrapposte una parte pubblica e una parte privata e l’esercizio dell’opzione in ogni caso produce effe tti soltanto obbligatori; in mancanza di specifiche previsioni normative, pertanto, il mancato rispetto, da parte dell’ente proponente, dei tempi indicati per scadenzare il procedimento che si conclude con la dismissione non può giustificare l’inadempimento all’obbligo di pagamento dei canoni, da parte del conduttore promissario; al contrario, come detto, la morosità è preclusiva del compimento della procedura perché fino al contratto di dismissione il bene resta in proprietà pubblica, sicché il conduttore deve il canone come corrispettivo del suo godimento.
È, perciò, certamente priva di fondamento giuridico la tesi, sostenuta da COGNOME in ricorso, secondo cui le fosse consentito non pagare i canoni dal 19/8/2004, dopo l’esercizio dell’opzione, «per evitare inutili anticipazioni di somme per canoni non più dovuti» (letteralmente, in ricorso, ella ha riferito di aver ritenuto «opportuno»).
Con il terzo motivo, COGNOME ha denunciato la violazione dell’art. 7 bis del DL 203/205, aggiunto dalla legge di conversione n°248/2005, per avere la Corte d’Appello ritenuto non sussistenti i presupposti applicativi della richiamata norma: erroneamente la Corte di merito si sarebbe soffermata unicamente sul comma 2 dell’articolo suindicato, trascurando l’applicabilità del comma 1, laddove è previsto che possano esercitare il diritto di opzione anche i conduttori privi di titolo ed irregolari, pure a prescindere dall’esistenza o meno di una morosità.
3.1. Il motivo è infondato. Il primo comma dell’art. 7 bis, invocato dalla ricorrente, prevede che siano estesi i diritti di opzione, di prelazione, di garanzia e di prezzo, di cui all’articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, agli occupanti delle unità immobiliari ad uso residenziale degli enti previdenziali di cui al medesimo decreto che erano privi del titolo alla data di entrata in vigore del medesimo e ai conduttori in base ad assegnazione irregolare avvenuta entro la stessa data: la stessa prospettazione dei fatti risultanti dalla sentenza e dal ricorso esclude l’applicabilità del primo comma, posto che il diritto di opzione è stato esercitato da COGNOME in quanto familiare del conduttore dell’immobile; non ricorre, pertanto, evidentemente, l’ipotesi di «estensione» del diritto di opzione come prevista dal primo comma perché quel che difetta nella fattispecie in esame non è il titolo di occupazione, ma la regolarità nei pagamenti del canone.
Pertanto, correttamente la Corte d’appello ha valutato l’applicabilità del secondo comma, secondo cui g li enti previdenziali pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, sono stati autorizzati a definire bonariamente la posizione debitoria dei conduttori degli immobili ad uso abitativo di cui al comma 1, maturata al 30 dicembre 2004, verso formale rinuncia, da parte dei conduttori, a qualsiasi azione, eccezione o pretesa e sanatoria in un’unica soluzione e senza interessi della morosità locativa per canone ed oneri accessori.
In merito, l’operatività di questa definizione bonaria è stata, quindi, esclusa, per difetto di rinuncia, con giudizio qui non più sindacabile.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna di NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore dell’ INPS, liquidate in dispositivo in relazione al valore della causa.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore dell’ INPS, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda