Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5277 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5277 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26708/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘avvocato AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in PARMAINDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA del TRIBUNALE di PARMA n. 993/2021 depositata il 12/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, nei confronti di NOME COGNOME, per la cassazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza n. 9932021 emessa dal Tribunale di Parma quale giudice d’appello, pubblicata il 12.7.2021, con la quale veniva confermata la condanna al risarcimento dei danni per diffamazione emessa nei loro confronti, per l’importo di euro 5.000 ciascuno, in favore del COGNOME.
– NOME COGNOME resiste con controricorso.
-Questa la vicenda, per quanto ancora di interesse: il commercialista NOME COGNOME conveniva in giudizio dinanzi al giudice di pace i colleghi NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendone la condanna al risarcimento dei danni provocati nei suoi confronti dalle espressioni diffamatorie utilizzate dagli stessi, contenute negli scritti difensivi che i convenuti avevano fatto pervenire al RAGIONE_SOCIALE di appartenenza, in risposta ad un esposto che l’attore stesso aveva presentato nei loro confronti. Il Giudice di Pace di parma condannava i ricorrenti al pagamento di euro 5.000 ciascuno.
– L’appello dei signori COGNOME e COGNOME veniva rigettato dal Tribunale di Parma, che confermava la condanna pur sulla base di un diverso ragionamento logico-giuridico rispetto a quello posto a fondamento RAGIONE_SOCIALEa decisione dal giudice di prime cure. Riteneva infatti il tribunale che, come segnalato dagli appellanti, le testimonianze sulle quali si era fondato il giudice di primo grado erano testimonianze esclusivamente de relato e che lo stesso non avesse indicato i criteri per la liquidazione del danno.
4.1.- Il tribunale osservava però che, anche prescindendo dalle testimonianze de relato, le espressioni utilizzate dai due RAGIONE_SOCIALE nella difesa articolata davanti al RAGIONE_SOCIALE contro un esposto proposto dallo stesso COGNOME nei loro confronti avessero avuto una ripercussione negativa sulla reputazione del COGNOME, offuscando la sua immagine in ambito sociale e soprattutto professionale, e riteneva congruo, ai fini di una liquidazione equitativa del danno, l’importo determinato dal giudice di primo grado.
– Entrambe le parti hanno depositato memoria.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale, all’esito RAGIONE_SOCIALEa quale il Collegio si è riservato di depositare la decisione nel termine indicato dall’art. 380 bis. n. 1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ.
Sostengono i ricorrenti che, nel ribadire l’accoglimento RAGIONE_SOCIALEa domanda pur con diversa motivazione, il tribunale avrebbe violato i limiti consentiti, non essendo rimasta la decisione adottata in sede di impugnazione radicata alle risultanze acquisite al processo, avendo invece dato il giudice ingresso a nuove questioni, neppure devolute con l’atto di appello.
Sottolineano che il COGNOME allegava in primo grado, per quanto genericamente, che le espressioni utilizzate dai convenuti avessero danneggiato la sua dignità sociale e professionale; in sede di memoria istruttoria, in primo grado, l’attore circoscriveva il thema probandum all’accertamento RAGIONE_SOCIALEa sofferenza soggettiva che assumeva di aver subito, senza dedurre alcuna prova relativa alla lesione RAGIONE_SOCIALEa sua reputazione professionale. Invece, il tribunale riconosceva il danno non patrimoniale al COGNOME come conseguente alla lesione RAGIONE_SOCIALEa sua reputazione sociale e professionale, benché questo danno non fosse stato provato e, a monte, neppure fosse
stata allegata la circostanza specifica che quelle memorie, prodotte all’interno di un procedimento RAGIONE_SOCIALEre, avessero avuto una qualche diffusione e risonanza esterna, nell’ambiente sociale o professionale RAGIONE_SOCIALE‘attore, comunque al di fuori del RAGIONE_SOCIALE. Non si era mai parlato in primo grado di una diffusione degli scritti difensivi al di fuori RAGIONE_SOCIALE‘ambito in cui erano stati prodotti e neppure, sostengono i ricorrenti, risulta agli atti un qualche elemento probatorio, neppure di carattere indiziario, che consenta di dare per avvenuta la divulgazione del contenuto RAGIONE_SOCIALEe memorie difensive da essi prodotte da cui poter desumere un concreto pregiudizio alla reputazione RAGIONE_SOCIALE‘attore. Ne traggono la conclusione che la motivazione del giudice d’appello risulti totalmente disancorata dalle risultanze probatorie acquisite al processo. Sostengono, in particolare, che l’affermazione che si rinviene nella motivazione, secondo la quale le espressioni utilizzate dai convenuti avrebbero avuto una specifica ripercussione negativa sulla reputazione del COGNOME, offuscando la sua immagine non solo in ambito sociale ma soprattutto in ambito professionale, è del tutto gratuita e priva di qualsiasi tipo di riscontro.
Aggiungono che non farebbero parte del contesto di allegazione e prova, perché l’attore non lo ha mai specificato -nemmeno a livello di mera asserzione- né il mezzo di comunicazione utilizzato per la diffusione del contenuto RAGIONE_SOCIALEe memorie al di fuori del procedimento RAGIONE_SOCIALEre né l’eco suscitata dal contenuto di queste memorie e le ripercussioni negative sulla vita familiare, sociale e professionale RAGIONE_SOCIALE‘attore e neppure le necessarie attività poste in essere dallo stesso per fronteggiare le preoccupazioni e le diffidenze dei clienti e dei colleghi e per dimostrare la correttezza del proprio operato.
2. – Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la nullità RAGIONE_SOCIALEa sentenza per violazione RAGIONE_SOCIALE‘articolo 360 numero 5 c.p.c. e chiedono di accertare il travisamento RAGIONE_SOCIALEa prova; aggiungono che si rientri nel ristretto ambito di ammissibilità RAGIONE_SOCIALEa censura di cui all’art. 360
numero 5 c.p.c., in quanto il rigetto RAGIONE_SOCIALE‘impugnazione è fondato su motivazioni totalmente diverse da quelle contenute nella sentenza di primo grado, come espressamente affermato peraltro dalla sentenza stessa, e sostengono che alcuni dati sono stati totalmente pretermessi, ovvero il contenuto effettivo RAGIONE_SOCIALE‘esposto del COGNOME e quale fosse la reale immagine pubblica RAGIONE_SOCIALEo stesso all’epoca dei fatti, come percepibile dalle notizie pubblicate sugli organi di informazione.
Sostengono che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza d’appello, l’esposto del COGNOME, pur denunciando comportamenti dei ricorrenti aventi rilevanza RAGIONE_SOCIALEre, trascendeva in manifestazioni gratuitamente lesive RAGIONE_SOCIALEa loro reputazione, in quanto l’esposto conteneva la denuncia di condotte anche penalmente rilevanti ascrivibili ai due RAGIONE_SOCIALE, ai quali si addebitava anche il compimento di un falso. Il travisamento ascritto ai giudici di appello consisterebbe nel fatto che il COGNOME non si limitava affatto a formulare accuse di rilevanza meramente RAGIONE_SOCIALEre, come riportato dal giudice RAGIONE_SOCIALE‘impugnazione, ma, al contrario, prospettava una situazione complessiva tale da far ritenere che le condotte attribuite ai due RAGIONE_SOCIALE potessero rilevare anche sotto il profilo penale. Aggiungono che il giudice di appello non avrebbe considerato anche un altro fatto storico, consistente nell’immagine pubblica del COGNOME per come compariva nelle notizie di stampa RAGIONE_SOCIALE‘epoca, in quanto lo stesso era stato indagato in passato tra l’altro per abuso d’ufficio, peculato e anche per corruzione. Quindi, il tribunale avrebbe travisato sia la portata effettiva ed integrale RAGIONE_SOCIALEe accuse mosse dal COGNOME nei loro confronti in sede RAGIONE_SOCIALEre, sia che l’immagine pubblica del COGNOME, a causa del suo coinvolgimento quale imputato o indagato in molteplici procedimenti penali, del tutto scisso e precedente rispetto agli accadimenti oggetto di causa, era già autonomamente compromessa.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la nullità RAGIONE_SOCIALEa sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 51 e 598 cod. pen., RAGIONE_SOCIALE‘art. 89 cod. proc. civ. nonché per violazione RAGIONE_SOCIALE‘articolo 112 cod. proc. civ.: sostengono che l’attività difensiva svolta dai due RAGIONE_SOCIALE in sede RAGIONE_SOCIALEre avrebbe dovuto essere valutata in correlazione alla portata denigratoria RAGIONE_SOCIALEe gravissime accuse mosse nei loro confronti dal COGNOME, rivelatesi poi del tutto infondate. Sulla base di ciò, sostengono i ricorrenti, le loro difese non erano state un attacco personale teso a screditare il collega, ma il legittimo esercizio di una difesa commisurata alla gravità RAGIONE_SOCIALEe accuse mosse nei loro confronti, accuse di contenuto calunnioso in relazione ai quali alle quali ai ricorrenti doveva riconoscersi il più ampio spazio possibile di esercizio del diritto di difesa, che andava calibrato in funzione RAGIONE_SOCIALEa gravità RAGIONE_SOCIALEe accuse. L’espressione RAGIONE_SOCIALEe esigenze difensive poteva legittimamente tradursi anche in una valutazione negativa sul comportamento RAGIONE_SOCIALEa controparte, consentita dalla sua condotta processuale, ed esprimersi a mezzo RAGIONE_SOCIALEa illustrazione RAGIONE_SOCIALEa scarsa attendibilità RAGIONE_SOCIALEe sue affermazioni.
Sostengono quindi che il tribunale avrebbe dovuto riconoscere loro l’esimente RAGIONE_SOCIALEa legittima difesa, mentre non sarebbe arrivato a queste conclusioni avendo travisato, come argomentato all’interno del secondo motivo, il contenuto RAGIONE_SOCIALE‘esposto.
Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni che seguono.
Al fondo, il tribunale omette totalmente di inserire la domanda di risarcimento danni da diffamazione nel contesto nel quale la diffamazione stessa avrebbe avuto luogo, e il ruolo all’interno di esso ricoperto dai soggetti coinvolti, e in tal modo altera la ricostruzione stessa dei doveri comportamentali gravanti sulle parti e RAGIONE_SOCIALEe eventuali scriminanti al comportamento tenuto, che si colorano diversamente, sotto il profilo RAGIONE_SOCIALEa giuridica rilevanza, a seconda del contesto in cui le dichiarazioni potenzialmente diffamatorie siano
state emesse e del ruolo ricoperto dalle parti del giudizio all’interno di esso. Le dichiarazioni per cui è causa sono state rese dai ricorrenti nell’ambito di un procedimento RAGIONE_SOCIALEre dinanzi al consiglio RAGIONE_SOCIALE‘ordine di appartenenza, il RAGIONE_SOCIALE, in cui ricoprivano il ruolo di incolpati, a seguito di un esposto RAGIONE_SOCIALEre depositato proprio dal COGNOME, ed erano contenute nelle memorie che i ricorrenti hanno inviato al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE. In questo contesto vanno inquadrate ed esaminate le censure.
Ciò premesso, il primo motivo deve essere accolto perché sussiste la denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Il tribunale avrebbe legittimamente potuto, ove avesse ritenuto la domanda di risarcimento comunque fondata, accoglierla sulla base di una linea motivazionale del tutto diversa da quella del giudice di primo grado, espungendo le testimonianze de relato sulle quali il giudice di pace aveva fondato il proprio convincimento dal proprio percorso motivazionale. Legittimamente avrebbe potuto prendere in considerazione a questo scopo il pregiudizio non patrimoniale subito dal professionista a tutto campo e cioè il discredito subito sia nella sua sfera personale che in quella sociale e professionale, procedendo ad una complessiva valutazione RAGIONE_SOCIALEa denunciata lesione al proprio onore e alla reputazione. E tuttavia, per far ciò avrebbe dovuto comunque muoversi nell’ambito dei fatti allegati e poi provati dalle parti.
Invece, dà per scontato, benchè le considerazioni asseritamente diffamatorio fossero contenute in un documento riservato, nel contesto sopra indicato – in cui la regola è che le dichiarazioni rese dalle parti non vengono divulgate all’esterno perché sono secretate – ha affermato che fosse avvenuta una generale lesione RAGIONE_SOCIALEa reputazione anche professionale del COGNOME, senza che fosse stato neppure allegato che quelle affermazioni erano state divulgate
all’esterno né alcuna prova era stata articolata o ammessa in proposito.
Né appare congruente con l’affermazione di una lesione generalizzata RAGIONE_SOCIALE‘onore e RAGIONE_SOCIALEa reputazione del soggetto, che presuppone la diffusione di notizie atte a gettare il discredito su una persona, la mera formulazione di una linea difensiva all’interno di un procedimento RAGIONE_SOCIALEre, in replica, peraltro, alle affermazioni pregiudizievoli contenute in un esposto.
Manca quindi, da parte RAGIONE_SOCIALEa corte di merito, l’accertamento RAGIONE_SOCIALE‘elemento oggettivo RAGIONE_SOCIALEa diffamazione correlato al pregiudizio che si assume subito dal danneggiato, ovvero la diffusione esterna, nella cerchia professionale e personale del soggetto, di notizie a contenuto denigratorio.
Il secondo motivo in sé è inammissibile, perché volto a sollecitare un diverso apprezzamento dei fatti da parte di questo giudice.
Il terzo motivo di ricorso deve invece essere accolto, non avendo il giudice adito proceduto a verificare se le dichiarazioni rese dai ricorrenti rientrassero nell’ambito RAGIONE_SOCIALE‘esercizio del loro diritto di difesa, e quindi fossero scriminate.
Va premesso in proposito che sia la proposizione di un’accusa, nei confronti di un soggetto, a mezzo di un esposto o una denuncia, che la relativa difesa sono lecite e consentite ma devono sottostare a regole inter relazionali ben precise.
Questa Corte ha più volte affermato che non integra il delitto di diffamazione (art. 595 cod. pen.) la condotta di chi invii un esposto al RAGIONE_SOCIALE contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale di un professionista, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen., “sub specie” di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni RAGIONE_SOCIALEe regole deontologiche (in questo senso, a proposito di un esposto a carico di un avvocato, Cass. pen. n. 42576 del 2026 ; per un’altra fattispecie,
relativa ad una segnalazione fatta pervenire all’RAGIONE_SOCIALE dogane, v. Cass. pen. n. 1695 del 2014).
Per contro, la Cassazione penale ha ritenuto che integri il reato di diffamazione la condotta di colui che invii una missiva gratuitamente denigratoria ad un RAGIONE_SOCIALE professionale; sussiste, infatti, in tal caso il requisito RAGIONE_SOCIALEa comunicazione con più persone, considerato che la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore, anche nella natura stessa RAGIONE_SOCIALEa comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, RAGIONE_SOCIALEre) che deve essere portato a conoscenza di altre persone, diverse dall’immediato destinatario, sempre che l’autore RAGIONE_SOCIALEa missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi; né in tal caso può ricorrere l’esimente del diritto di critica, il quale sussiste solo allorché i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorché erroneamente, convinto RAGIONE_SOCIALEa loro veridicità. (Nella specie la missiva, indirizzata all’RAGIONE_SOCIALE, conteneva fatti destituiti di fondamento, non recava nemmeno la dicitura ‘riservata-personal e’ ed era destinata, per come formata, ad essere anzitutto conosciuta dagli addetti all’apertura RAGIONE_SOCIALEa corrispondenza) (Cass. n. 26560 del 2014).
Si è ritenuto quindi che gli esposti costituiscano, in genere, legittima espressione del diritto di critica, ma che essi debbano comunque fondarsi sottostare alla ragionevole convinzione soggettiva che i fatti corrispondano a verità, mentre non è costituiscono legittima espressione del diritto di critica nel caso in cui superino il limite RAGIONE_SOCIALEa continenza, non essendo suffragati da fatti obiettivamente riscontrabili e controbilanciati dal requisito RAGIONE_SOCIALEa verità putativa. A questo fine, pertanto, il giudizio di liceità sull’esplicazione del diritto di critica richiesto al giudice civile ai fini RAGIONE_SOCIALEa decisione sulla domanda di risarcimento deve estendersi in concreto alla verifica del
carattere non veritiero o meno, anche solo in termini di verità putativa, dei fatti attribuiti. (Cass. civ. n. 9799 del 2019).
Se i principi sopra indicati valgono a ricostruire la posizione RAGIONE_SOCIALE‘autore RAGIONE_SOCIALE‘ esposto, la cui facoltà di esprimere critiche sull’operato altrui va comunque incontro ai limiti sopra indicati, occorre non perdere di vista che la situazione dei ricorrenti era, all’opposto, quella dei destinatari RAGIONE_SOCIALEe critiche stesse, dal contenuto anch’esse potenzialmente diffamatorio, costretti a difender si dalle accuse di un collega di fronte al proprio RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Il tribunale avrebbe dovuto quindi valutare se gli stessi si erano mantenuti o meno nei confini RAGIONE_SOCIALEa causa di giustificazione del legittimo esercizio del diritto di difesa. Il tribunale non ha adeguatamente esaminato questo punto, passando al punto successivo, ovvero all’esame se le condotte dei ricorrenti potessero ritenersi scriminate per la speciale esimente prevista dall’art. 598 c.p., concernente la non punibilità RAGIONE_SOCIALEe offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative ( come nell’ambito di un procedimento RAGIONE_SOCIALEre: Cass. pen. n. 7633 del 2011)
Preliminare era però la verifica, non avvenuta, RAGIONE_SOCIALEa riconducibilità del comportamento tenuto nei limiti del legittimo esercizio del diritto di difesa, a tal fine verificando
P.Q.M.