Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8509 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8509 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11077/2023 R.G. proposto da: CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI ROMA, COGNOME E CIVITAVECCHIA, elettivamente domiciliato in ROMA MINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
MOSCA NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA DELLA CORTE DI APPELLO DI ROMA
-intimato- avverso la ORDINANZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 58/2022 depositata il 01/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udita la Procura Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dottor NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore del controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso,
FATTI DELLA CAUSA
1.Il notaio NOME COGNOME in relazione ad un procedimento disciplinare, veniva audito dal Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia. Il notaio presentava alla Procura della Repubblica di Roma denuncia di falso in atto pubblico in relazione al verbale della audizione. Il Consiglio Notarile chiedeva alla Commissione Regionale di Disciplina del Lazio la sospensione per sei mesi del notaio dall’esercizio della professione ravvisandone la responsabilità per violazione dell’art. 147, primo comma, lettera a) della legge notarile per avere ‘infondatamente accusato con le dichiarazioni ed espressioni di cui all’esposto’ il suddetto ‘Consiglio Notarile dell’approvazione in data 27 luglio 2015 di un verbale falso in quanto oggetto di manipolazione’. La Commissione Regionale
rigettava la richiesta ritenendo che il notaio COGNOME non avesse usato espressioni incontinenti o sconvenienti nei confronti del Consiglio né di singoli consiglieri, che non avesse usato espressioni che potessero avere travalicato i limiti del diritto di difesa né comunque leso la dignità, l’onore, la reputazione e la professionalità dei componenti del Consiglio né il prestigio o l’onore del Consiglio.
La Corte di Appello di Roma con ordinanza n.1310 del 1° marzo 2023 ha rigettato il reclamo del Consiglio Notarile avverso il provvedimento del CO.RE.DI.
2.Contro l’ordinanza in epigrafe il Consiglio Notarile ricorre con due motivi avversati dal notaio con controricorso.
La Procura Generale della Corte di Appello di Roma è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.
per essere la ordinanza impugnata solo apparentemente motivata. In particolare il ricorrente sostiene che la Corte di Appello non avrebbe ‘esaminato le espressioni contenute nell’esposto’; che la Corte di Appello, scrivendo della intenzione del notaio di difendersi attraverso la presentazione dell’esposto, avrebbe ‘adottato in favore del notaio una arbitraria affermazione in merito alle soggettive intenzioni e ai motivi che avrebbero portato il Mosca a denunciare gli elementi ritenuti falsi nel verbale’; che essa Corte non avrebbe spiegato perché ha valorizzato una ‘asserita ma inesistente potenziale utilizzazione dell’esposto in sede disciplinare’; che la Corte di Appello non avrebbe spiegato perché non ha ravvisato contraddizioni tra la presentazione dell’esposto e la difesa nel procedimento disciplinare originario; perché ha ritenuto di escludere che la condotta del notaio fosse una forma abusiva del diritto di difesa; perché ha escluso l’offensività dei
‘toni’ usati dal notaio nell’esposto; e perché, ancora, ha ritenuto rilevante che in relazione all’esposto alcuni membri del consiglio notarile erano stati rinviati a giudizio.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha descritto la condotta oggetto di censura (pagina2 della ordinanza); ha elencato i profili di falsità del verbale dei quali il notaio aveva denunciato la falsità (pag. 2 ordinanza); ha dato conto del contenuto e delle argomentazioni della decisione della Commissione Regionale (pag. 3 dell’ordinanza) impugnata; ha riportato i motivi di reclamo (pagina 3 e 4 dell’ordinanza). Ha poi dichiarato di condividere la decisione della CORAGIONE_SOCIALE secondo cui la presentazione della denuncia di falso non poteva essere ritenuta in sé e per sé integrativa di illecito disciplinare e per cui essa, al contrario, rientrava nella legittima attività di difesa del notaio rispetto all’incolpazione originaria. Ha aggiunto che la presentazione dell’esposto neppure poteva essere ritenuta illecita in quanto ultronea rispetto alla presentazione di una querela di falso, trattandosi di ‘modalità alternativa’ di esercizio del diritto di difesa rispetto ‘alla potenziale utilizzazione’, in sede di procedimento disciplinare presupposto, ‘delle dichiarazioni rese a verbale’; che neppure aveva rilievo il fatto che la sanzione del primo procedimento disciplinare fosse stata ‘confermata in sede giurisdizionale su altri elementi di prova’; che la presentazione della denuncia non poteva dirsi ‘pretestuosa’ anche alla luce del fatto – da cui era possibile trarre che, al contrario, si trattasse di denuncia ‘non manifestamente infondata’ e ‘non calunniosa’ – del rinvio a giudizio di alcuni membri del Consiglio per il reato di falso. La Corte di Appello ha sottolineato che le espressioni utilizzate dal notaio nell’esposto non erano integrative dell’illecito ipotizzato dal Consiglio, dato che non espresse con ‘toni’ offensivi o denigratori ed avevano un contenuto ‘strettamente finalizzato a corroborare le accuse’ di falso.
Come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. E’, pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione’ (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830).
Riguardo, più in particolare, al vizio di motivazione apparente – qui denunciato dal Consiglio Notarile ricorrente -la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando ‘la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture’ (v. Cass. 2767/2023 e precedenti dalla stressa richiamati).
Nel caso di specie la motivazione della ordinanza è ben al di sopra del minimo costituzionale. Gli elementi necessari e sufficienti a sorreggere la decisione di conferma del proscioglimento disposto dalla Commissione Regionale sono ben evidenziati dalla Corte di Appello: le espressioni usate dal notaio nell’esposto non erano, per
‘toni’, ossia nella forma, offensive né denigratorie; la presentazione dell’esposto era tutt’altro che ingiustificata, tanto che aveva dato luogo non solo ad una indagine ma anche al rinvio a giudizio di alcuni membri del Consiglio notarile. L’affermazione per cui la presentazione in sé dell’esposto non poteva essere ritenuta disciplinarmente rilevante, perché funzionale alla difesa del notaio rispetto all’addebito disciplinare presupposto, è una affermazione ultronea dato che la presentazione di un esposto non manifestamente infondato per un reato, in particolare per un reato quale il falso in atto pubblico, pluri-offensivo, non è mai lesivo del decoro dell’accusato. Ragionando all’opposto, come mostra di fare il ricorrente, la presentazione di una denuncia, non infondata, di un reato sarebbe di per sé automaticamente una calunnia e più in particolare la presentazione della denuncia, non infondata, di un reato in ipotesi commesso da un notaio sarebbe di per sé compromettente per il decoro e prestigio della classe notarile, laddove invece, come è evidente, compromettente per il decoro e prestigio della categoria può essere solo l’accertata responsabilità dell’accusato. Fermo quindi che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, sugli elementi essenziali la motivazione della ordinanza è tutt’altro che apparente, non vi è luogo a ulteriori considerazioni circa l’infondatezza del motivo.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte di Appello di Roma travisato le dichiarazioni rese dal notaio valutandole come non significative ai fini dell’incolpazione. Il ricorrente riporta (v. pagina 22 del ricorso) il testo di tali dichiarazioni -‘… mi presentavo all’audizione presso il Consiglio Notarle di Roma ma proprio per il timore che le cose andassero come poi sono andate mi facevo accompagnare dall’avvocato NOME COGNOME che quindi potrà testimoniare di cosa realmente io abbia detto in sede di audizione ( … ). Per non inasprire ulteriormente i toni e ritenendo comunque di trovarmi,
evidentemente a torto, di fronte a pubblici ufficiali in buona fede né io né l’avvocato COGNOME insistevamo nella richiesta di fonoregistrazione ( … ) . Il verbale ( … ) contiene in alcuni punti delle dichiarazioni che io non mai resto e quindi in ordine a tali dichiarazioni costituisce oggettivamente un falso in atto pubblico’ -e sostiene che le stesse avrebbero dovuto essere valutate come lesive del decoro e del prestigio della categoria notarile (e quindi integrative dell’illecito disciplinare di cu all’art. 147,lett. a) legge notarile).
Il motivo è inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato (sentenza n.5792 del 2024) che ‘Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art.395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale’.
Nel caso di specie, al di là della formale denuncia di travisamento del contenuto della prova, il ricorrente veicola con il mezzo in esame il tentativo di ottenere da questa Corte di legittimità un giudizio, riservato al merito, sulla continenza delle espressioni usate dal notaio nell’esposto. In particolare, il ricorrente vorrebbe conseguire in questa sede un giudizio opposto a quello che la Corte di Appello ha motivatamente espresso in relazione sia alla ritenuta aderenza funzionale delle espressioni stesse alla finalità di corroborare la denuncia di falso, sia alla ritenuta assenza di
gratuita ed immotivata aggressione della reputazione dei componenti del Consiglio menzionati nel verbale.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4000,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 6 marzo 2025.