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Diritto di cronaca: quando non c’è diffamazione

Un imprenditore ha citato in giudizio diversi organi di stampa per diffamazione, a seguito della pubblicazione di articoli che lo collegavano a un’indagine sulla mafia. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. La Corte ha stabilito che il diritto di cronaca era stato esercitato legittimamente, poiché la notizia era di interesse pubblico, basata su una verità putativa e riportata con continenza espressiva, menzionando anche una precedente assoluzione dell’imprenditore. È stato inoltre sottolineato che il ricorrente non aveva fornito prova del danno subito.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto di cronaca e diffamazione: la Cassazione traccia i confini

Il confine tra il legittimo diritto di cronaca e la diffamazione a mezzo stampa è uno dei temi più dibattuti nelle aule di giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 2709/2024, offre importanti chiarimenti su quando la pubblicazione di una notizia relativa a indagini penali non costituisce reato, anche se coinvolge figure note. La Corte ha stabilito che se sussistono i requisiti di interesse pubblico, verità putativa e continenza espressiva, l’onore del singolo cede il passo al diritto della collettività di essere informata.

I fatti di causa

Un imprenditore citava in giudizio un’agenzia di stampa, due quotidiani (uno a tiratura nazionale e uno locale), i rispettivi direttori, editori e una giornalista. Oggetto del contendere erano alcuni articoli pubblicati nel 2007 che riportavano la notizia di un’indagine della Procura su presunti rapporti tra la mafia siciliana e quella americana, indicando l’imprenditore tra gli indagati e accostandolo a noti boss.

L’imprenditore sosteneva di non aver mai ricevuto avvisi relativi a tale indagine e che gli articoli lo dipingevano come un soggetto abitualmente dedito ad attività mafiose, richiamando una precedente vicenda penale del 2003 da cui, però, era stato assolto. Chiedeva quindi il risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano le sue richieste, ritenendo che i giornalisti avessero agito nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di cronaca. La Corte territoriale, in particolare, fondava la sua decisione su due pilastri: l’assenza di lesività degli articoli e la mancata prova del danno da parte dell’attore.

La decisione della Corte di Cassazione e il rispetto del diritto di cronaca

L’imprenditore si rivolgeva quindi alla Corte di Cassazione, presentando sei motivi di ricorso. La Suprema Corte, tuttavia, li ha rigettati tutti, confermando la sentenza d’appello.

I giudici hanno esaminato punto per punto le censure del ricorrente, che lamentava, tra le altre cose, una motivazione apparente da parte della corte di merito e l’omesso esame di fatti decisivi, come la mancata prova della veridicità delle accuse riportate negli articoli.

La Cassazione ha chiarito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della sentenza impugnata. In questo caso, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione chiara e argomentata, basata su due autonome rationes decidendi:
1. L’insussistenza della diffamazione: gli articoli rispettavano i tre requisiti del diritto di cronaca (interesse pubblico, verità putativa, continenza).
2. La mancata prova del danno: l’attore non aveva dimostrato i danni-conseguenza della presunta diffamazione.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha spiegato che, per smontare la decisione d’appello, il ricorrente avrebbe dovuto criticare efficacemente entrambe le ragioni del decidere. Invece, molti dei suoi motivi si concentravano solo su una di esse, risultando quindi inammissibili. Ad esempio, criticare la mancata ammissione di prove sul danno è inutile se regge la motivazione principale, ovvero che non c’è stata alcuna diffamazione (il cosiddetto “danno-evento”).

Il punto centrale della decisione risiede nella valutazione del diritto di cronaca. La Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che la notizia fosse di indubbio interesse pubblico e che i giornalisti avessero agito con la dovuta accortezza, avendo cura di sottolineare che l’imprenditore era già stato assolto in un precedente procedimento. Questo elemento è stato considerato cruciale per bilanciare il diritto all’informazione con la reputazione del singolo, dimostrando la correttezza dell’operato dei media.

Inoltre, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del processo civile: le censure relative alla valutazione delle prove e alla ricostruzione dei fatti sono riservate al giudice di merito e non possono essere riproposte in sede di legittimità, a meno che non emerga un vizio logico-giuridico macroscopico, come una motivazione totalmente mancante o meramente apparente, cosa che nel caso di specie è stata esclusa.

Conclusioni

L’ordinanza n. 2709/2024 della Corte di Cassazione riafferma i principi cardine che regolano il diritto di cronaca nel nostro ordinamento. La decisione sottolinea che la pubblicazione di notizie su indagini penali è lecita se risponde a un interesse pubblico, se si basa su fonti verificate con diligenza (verità putativa) e se viene esposta con un linguaggio corretto e non denigratorio (continenza). La menzione di precedenti assoluzioni, lungi dall’essere irrilevante, può anzi costituire un elemento che rafforza la correttezza dell’informazione fornita al pubblico. Per chi si ritiene diffamato, inoltre, rimane l’onere non solo di dimostrare la falsità della notizia, ma anche di provare concretamente il danno subito, un passaggio fondamentale che, se mancante, può determinare il rigetto della domanda risarcitoria.

Quando la pubblicazione di una notizia su un’indagine penale è legittima e non diffamatoria?
Secondo la Corte, la pubblicazione è legittima quando sussistono tre condizioni: 1) l’interesse pubblico alla diffusione della notizia; 2) la verità (anche solo putativa, cioè basata su un serio lavoro di verifica delle fonti) dei fatti narrati; 3) la continenza, ovvero un’esposizione misurata e non inutilmente offensiva dei fatti.

Riportare la notizia di una precedente assoluzione in un articolo può escludere la diffamazione?
Sì, la Corte ha considerato positivamente il fatto che i giornalisti avessero avuto cura di sottolineare che il soggetto era stato assolto in un precedente procedimento. Questo dimostra un atteggiamento diligente e corretto nel riportare l’intera vicenda, contribuendo a bilanciare il diritto all’informazione con la tutela della reputazione individuale.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove o la veridicità dei fatti?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove o ricostruire i fatti, attività che spettano ai giudici di primo e secondo grado. La Cassazione può solo verificare che la sentenza impugnata sia immune da vizi giuridici e che la sua motivazione sia logica, coerente e non meramente apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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