Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25828 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25828 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26084/2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv.ta NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, e COGNOME entrambi rappresentati e difesi dagli avv.ti COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio digitale ex lege ;
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 447/2024 della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA, depositata il 19/6/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 19/6/2024, la Corte d’appello di Perugia, in accoglimento dell’appello proposto dall’Editoriale Il RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna dell’Editoriale RAGIONE_SOCIALE e del COGNOME al risarcimento dei danni subiti dal COGNOME in conseguenza della pubblicazione contenuta nell’articolo a firma del COGNOME e pubblicata su Il Fatto Quotidiano (edito dalla società appellante), all’interno del quale comparivano riferimenti alla persona di NOME COGNOME indicato come il ‘ ‘giuda’ nelle parole di NOME COGNOME durante il famoso dibattito alla biblioteca comunale di Palermo, dopo la strage di Capaci ‘; espressione, quest ‘ ultima (il ‘ giuda ‘) , utilizzata dal COGNOME nel corso della rievocazione dell’episodio della nomina, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, di NOME COGNOME quale capo dell’ufficio istruzione presso il Tribunale di Palermo, ritenuto prevalente nella comparazione concorsuale con NOME COGNOME;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha ritenuto che il contenuto dell’articolo oggetto dell’odierno giudizio, pur oggettivamente lesivo della reputazione e dell’onore del Geraci, dovesse ritenersi giustificato dall’esercizio, da parte del COGNOME, del proprio diritto di cronaca, non essendosi il giornalista reso in alcun modo responsabile della falsa affermazione per cui lo stesso COGNOME avrebbe espressamente identificato il Geraci, nell’occasione rievocata, come il ‘ giuda ‘ in parola, ed essendo risultata viceversa adeguatamente confermata, sul piano probatorio, la circostanza secondo cui proprio il COGNOME fosse la persona a cui il COGNOME si era indirettamente riferito
nella pubblica dichiarazione palermitana ricordata nell’articolo qui contestato;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi di impugnazione;
l’RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME resistono con un comune controricorso;
il ricorrente ha depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 111 Cost., 132 co. 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4. Nullità della sentenza per mancanza di motivazione nel minimo costituzionale richiesto per giustificare la decisione;
osserva il ricorrente come la corte territoriale avrebbe dettato una motivazione totalmente illogica nella parte in cui ha ritenuto che le espressioni utilizzate dal giornalista tra parentesi (il ‘ ‘giuda’ nelle parole di NOME COGNOME durante il famoso dibattito alla biblioteca comunale di Palermo, dopo la strage di Capaci ‘) escludessero che il COGNOME avesse espressamente indicato il COGNOME come il ‘giuda’ in parola, pervenendo illegittimamente a negare l’evidente carattere diffamatorio dello scritto contestato;
il motivo è infondato;
dev’essere in primo luogo rilevata inammissibilità dell’evocazione del vizio relativo alla violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. attraverso il confronto della motivazione con elementi tratti aliunde rispetto al solo testo della decisione impugnata, tanto desumendosi dei principi fatti propri dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di rilevabilità del carattere illogico o apparente della motivazione (cfr. Sez. U,
Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 – 01);
al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum ;
infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie ( ex plurimis , Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);
ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente
il percorso logico, avendo la corte d’appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, delle ragioni poste a fondamento della propria decisione, apparendo del tutto logicamente plausibile che il riferimento al ‘ giuda nelle parole di NOME COGNOME ‘ significasse, non già che il COGNOME avesse identificato il ‘giuda’ nella persona del COGNOME, bensì che il COGNOME si fosse limitato a parlare di un ‘giuda’, che sarebbe stato poi identificato in altra sede nella persona del COGNOME;
l’ iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 111 Cost., 112, 132 co. 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. Nullità della sentenza: mancanza di motivazione nel minimo motivazionale richiesto e vizio del procedimento. La sentenza della Corte d’Appello di Perugia non ha rispettato il perimetro della domanda ma, esondando dallo specifico oggetto di essa, ha dato alla doglianza attorea una risposta deassiale e fondata su una motivazione congetturale;
osserva in particolare il ricorrente come la corte territoriale avrebbe indebitamente operato una torsione dei contenuti effettivi della domanda dell’attore, non limitandosi a considerarne il riferimento al solo dato testuale dell’articolo del COGNOME, con particolare riferimento alla parte in cui, nel rievocare le parole di NOME COGNOME, ne lasciava all’evidenza ricavare la (falsa) conclusione che il COGNOME si fosse direttamente ed espressamente riferito al Geraci come un ‘ giuda ‘;
sotto altro profilo, la corte territoriale avrebbe dettato una motivazione palesemente incongrua e illogica con riguardo all’interpretazione delle dichiarazioni testimoniali rese dal testimone COGNOME il quale aveva recisamente escluso che il COGNOME, nell’occasione de qua , intendesse riferirsi alla persona del COGNOME come il ‘ giuda ‘ evocato;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, diversamente da quanto denunciato dall’odierno istante, la corte territoriale non abbia in alcun modo operato la pretesa ‘torsione’ della domanda avanzata da ll’attore, avendo piuttosto considerato in modo espresso il dato testuale dell’articolo del COGNOME sottolineando come, dalla lettura di detto testo, dovesse escludersi la possibilità di ricavare la conclusione secondo cui il COGNOME avesse espressamente indicato la persona del COGNOME come il ‘giuda’ evocato;
afferma infatti il giudice a quo che « la frase ‘NOME COGNOME (il ‘giuda’ nelle parole di COGNOME durante il famoso dibattito alla biblioteca di Palermo, dopo la strage di Capaci)’ non risulta possa essere letta o interpretata nel senso che COGNOME in quella occasione aveva detto che NOME COGNOME era un giuda. Proprio l’espressione posta tra parentesi ‘il giuda nelle parole di COGNOME‘, accostata al nome NOME COGNOME, lascia intendere che durante il dibattito il nome di NOME COGNOME non era stato fatto. La notizia, quindi, data dall’articolo e, nello specifico, dalla frase sopra richiamata, non consisteva nel fatto che NOME COGNOME si fosse rivolto a NOME COGNOME con l’appellativo di ‘giuda’, quanto piuttosto che era a COGNOME che COGNOME intendeva riferirsi parlando di ‘qualche giuda’ durante il famoso dibattito alla biblioteca di Palermo ‘NOME COGNOME (‘il giuda nelle parole di NOME COGNOME‘ esplicita chiaramente questo concetto
e dunque la notizia è che COGNOME è colui al quale faceva riferimento COGNOME allorché parlò di un giuda’ »;
deve dunque ancora una volta ribadirsi come appaia del tutto logicamente plausibile che il riferimento al ‘ giuda nelle parole di NOME COGNOME ‘ significasse, nell’articolo contestato, non già che il COGNOME avesse identificato il ‘giuda’ nella persona del COGNOME, bensì che il COGNOME si fosse limitato a parlare di un ‘giuda’, che sarebbe stato poi identificato in altra sede nella persona del COGNOME;
parimenti priva di fondamento deve, infine, ritenersi l’affermazione sostenuta dall’odierno istante in ordine alla pretesa illogicità dell’interpretazione dei contenuti della testimonianza resa dal teste COGNOME, avendo la corte territoriale piuttosto evidenziato, in termini di assoluta coerenza, la superabilità dell’apparente contraddizione tra le testimonianze rese dai testi COGNOME e COGNOME, spiegando, in modo coerente e logicamente plausibile, le ragioni della prevalente affidabilità accordata alla prima deposizione: giudizio di affidabilità che, in quanto espressione propria dei poteri di valutazione discrezionale del giudice di merito, non è consentito porre a oggetto di alcun eventuale apprezzamento critico in questa sede di legittimità;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 111 Cost. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. Omesso esame del dirimente documento costituito dalla edizione on-line de Il Fatto Quotidiano del 23 maggio 2017;
osserva il ricorrente come la corte territoriale fosse incorsa nel vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. avendo omesso l’esame del decisivo documento consistito nella pubblicazione on-line de Il Fatto Quotidiano del 23 maggio 2017, all’interno della quale veniva affermato che ‘ COGNOME non indicherà mai chi fosse quel Giuda ‘; pubblicazione la
cui rilevanza era stata ripetutamente invocata dall’odierno istante, tanto nel giudizio di primo grado, quanto nel giudizio d’appello;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, con la proposizione della doglianza in esame, l’odierno ricorrente si sia inammissibilmente astenuto dall’argomentare , in termini critici, il punto concernente la decisività dell’esame del documento evocato: non appare, infatti, ricavabile ictu oculi la conclusione secondo cui, ove la corte d’appello avesse preso in considerazione questo documento, la decisione sarebbe stata sicuramente diversa, giacché il contenuto di tale documento non esclude affatto la possibilità che COGNOME, pur incline a non voler indicare (mai) l’identità del ‘giuda’ pubblicamente, l’avesse invece rivelata privatamente (come infatti coerentemente confermato da ll’istruttoria, secondo la ricostruzione operata dalla corte d’appello) ;
converrà ribadire al riguardo come, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, la norma di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., se, da un lato, ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo , di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe con ragionevole certezza determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di
elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 01);
dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome sostanzialmente diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logicogiuridica unicamente rilevanti in questa sede;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso; liquidano come da le spese seguono la soccombenza e si dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 6.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 1/7/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME