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Diritto di cronaca: quando la notizia non è diffamazione

Un professionista ha citato in giudizio una società editrice per un articolo ritenuto diffamatorio. Dopo una condanna iniziale al risarcimento, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, ritenendo l’articolo un legittimo esercizio del diritto di cronaca perché basato su notizie vere. La Corte di Cassazione ha confermato questa visione, rigettando il ricorso del professionista e stabilendo che la motivazione della corte territoriale, seppur sintetica, era sufficiente e che non vi era stata alcuna diffamazione.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto di cronaca: la Cassazione traccia i confini con la diffamazione

Il confine tra informazione e lesione della reputazione è spesso sottile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su quando un articolo di stampa rientra nel legittimo diritto di cronaca, anche se tratta argomenti delicati per i soggetti coinvolti. La Suprema Corte ha stabilito che se le notizie riportate sono vere, non si configura diffamazione, anche se la motivazione del giudice di merito è sintetica.

La vicenda processuale

Un professionista aveva intrapreso un’azione legale contro una nota società editrice, chiedendo un risarcimento per i danni alla sua reputazione causati da un articolo pubblicato su un quotidiano nazionale. L’articolo verteva su vicende professionali del ricorrente.

In primo grado, il Tribunale aveva dato ragione al professionista, condannando l’editore a un risarcimento di 20.000 euro. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato completamente la sentenza. Secondo i giudici di secondo grado, l’articolo conteneva “notizie vere” e, pertanto, la sua pubblicazione costituiva un corretto “esercizio del diritto di cronaca“. Di conseguenza, la domanda di risarcimento è stata rigettata.

Non soddisfatto, il professionista ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi principali, tra cui l’omesso esame di un fatto decisivo, la violazione delle norme sulla diffamazione e una motivazione definita “apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile”.

Il legittimo esercizio del diritto di cronaca secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno chiarito che il ruolo della Corte non è quello di riesaminare i fatti del caso, ma di verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici di merito.

La Corte ha sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente ricostruito la vicenda, concludendo che non vi fosse stata alcuna diffamazione. La motivazione della sentenza d’appello, sebbene sintetica, è stata giudicata sufficiente e comprensibile, raggiungendo quel “minimo costituzionale” richiesto dalla legge per essere valida.

Le motivazioni

I giudici della Suprema Corte hanno smontato i motivi del ricorso uno per uno. In primo luogo, hanno evidenziato che criticare la valutazione dei fatti operata dal giudice d’appello non è consentito in sede di legittimità. Il ricorso, secondo la Corte, tentava di ottenere un nuovo giudizio sul merito della vicenda, cosa preclusa in Cassazione.

In secondo luogo, la censura relativa alla violazione dell’articolo 595 del codice penale (diffamazione) è stata ritenuta infondata. La Corte ha confermato che la valutazione del giudice d’appello era stata completa, anche se concisa, e che aveva correttamente escluso la natura diffamatoria dell’articolo basandosi sulla veridicità dei fatti narrati. Questo rafforza il principio fondamentale secondo cui la verità della notizia è una scriminante essenziale per il diritto di cronaca.

Infine, anche il motivo sulla presunta “motivazione apparente” è stato respinto. La Cassazione ha ribadito che una motivazione è invalida solo quando è talmente carente da non rendere comprensibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice. Nel caso di specie, la motivazione esisteva ed era chiara nel suo percorso argomentativo, pur nella sua brevità.

Le conclusioni

La decisione consolida un principio cardine in materia di diffamazione a mezzo stampa: la veridicità dei fatti, unita all’interesse pubblico della notizia e alla continenza espositiva, costituisce il fondamento del diritto di cronaca e prevale sulla pretesa risarcitoria del singolo. L’ordinanza chiarisce inoltre che la sinteticità della motivazione di una sentenza non ne determina automaticamente l’invalidità, purché essa esprima in modo chiaro e sufficiente le ragioni della decisione. Per le parti processuali, ciò significa che un ricorso in Cassazione deve concentrarsi su vizi di legittimità e non può limitarsi a riproporre una diversa lettura dei fatti già valutati nei gradi di merito.

Quando un articolo di giornale è considerato legittimo esercizio del diritto di cronaca e non diffamazione?
Secondo la Corte, quando le notizie riportate sono “notizie vere”. La veridicità dei fatti è considerata un elemento fondamentale che esclude la diffamazione.

Una motivazione breve in una sentenza d’appello è sempre considerata un vizio che ne causa l’annullamento?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che una motivazione, anche se sintetica, è valida se sussiste e raggiunge il “minimo costituzionale”, ovvero se permette di comprendere le ragioni della decisione.

È possibile contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti effettuata dalla Corte d’Appello?
No, il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per ottenere un nuovo esame dei fatti della causa. La Corte si limita a valutare la corretta applicazione della legge (vizi di legittimità) e non può riesaminare il merito della vicenda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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