LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Diritto di cronaca: limiti e diffamazione a mezzo stampa

Un professionista ha citato in giudizio una testata giornalistica per diffamazione, a seguito della pubblicazione di alcuni articoli che lo associavano a un’organizzazione criminale basandosi su un’ordinanza di custodia cautelare. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo la prevalenza del diritto di cronaca quando la notizia si fonda su atti giudiziari veritieri e le espressioni utilizzate, seppur aspre, sono contestualizzate nell’ambito dell’ipotesi accusatoria.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto di cronaca: quando riportare un’indagine non è diffamazione

L’esercizio del diritto di cronaca rappresenta uno dei pilastri della libertà di stampa, ma i suoi confini sono spesso oggetto di contenzioso legale, specialmente quando si interseca con la reputazione individuale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su questo delicato equilibrio, analizzando un caso di presunta diffamazione a mezzo stampa derivante dalla pubblicazione di articoli su un’indagine penale. La Corte ha stabilito che, in presenza di determinati presupposti, la cronaca giudiziaria, anche se con toni aspri, è legittima e non integra gli estremi della diffamazione.

I fatti del caso

Un professionista conveniva in giudizio una nota testata giornalistica, un suo giornalista e il direttore responsabile, chiedendo il risarcimento dei danni per diffamazione. L’accusa nasceva da tre articoli, pubblicati in giorni consecutivi, che riportavano i contenuti di un’ordinanza di custodia cautelare. In tali articoli, il professionista veniva descritto come un intermediario, economicamente disperato, coinvolto nel deposito di denaro di provenienza illecita per conto di un’associazione di tipo mafioso.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello rigettavano la domanda risarcitoria. I giudici di merito ritenevano che gli articoli rientrassero nell’esercizio legittimo del diritto di cronaca, in quanto basati su un provvedimento giudiziario esistente e veritiero. Le espressioni forti, come “personaggi sull’orlo del tracollo economico”, venivano considerate “colorite e non lusinghiere”, ma da contestualizzare nell’ambito dell’ipotesi accusatoria formulata dagli inquirenti. Il professionista, non soddisfatto della decisione, ricorreva per Cassazione.

I motivi del ricorso e l’analisi del diritto di cronaca

Il ricorrente basava il suo appello su due motivi principali. In primo luogo, lamentava la violazione delle norme sulla diffamazione e sulla pubblicazione di atti processuali, sostenendo che i tre articoli, letti nel loro insieme, avevano un chiaro intento denigratorio, privo di utilità informativa. Contestava inoltre la valutazione della Corte d’Appello riguardo alla depenalizzazione del reato di pubblicazione arbitraria di atti, che a suo dire non escludeva comunque l’illecito civile.

In secondo luogo, il ricorrente criticava la condanna al pagamento delle spese legali, ritenendo che la complessità della vicenda e le modifiche normative intervenute avrebbero dovuto giustificarne la compensazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una motivazione dettagliata su entrambi i punti.

Sul primo motivo, relativo alla diffamazione e al diritto di cronaca, i giudici hanno confermato la correttezza della decisione d’appello. Hanno chiarito che il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (art. 684 c.p.) è un reato monoffensivo, posto a tutela esclusiva del buon andamento dell’amministrazione della giustizia e non della reputazione dei soggetti coinvolti. Pertanto, la violazione di tale norma non genera automaticamente un diritto al risarcimento per danno alla reputazione, a meno che non si configuri un autonomo illecito diffamatorio.

Nel merito della presunta diffamazione, la Corte ha osservato che i giudici precedenti avevano correttamente valutato gli articoli nel loro complesso. L’accostamento del professionista all’associazione criminale corrispondeva all’ipotesi accusatoria contenuta nell’ordinanza cautelare, un fatto storicamente vero. L’esercizio del diritto di cronaca era quindi legittimo. Le espressioni forti sono state ritenute contestualizzate e non gratuitamente denigratorie, in quanto servivano a descrivere la tesi degli inquirenti, ridimensionando persino la caratura criminale del soggetto rispetto a un affiliato vero e proprio. La critica del ricorrente è stata quindi qualificata come un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

Sul secondo motivo, relativo alle spese di lite, la Corte ha ribadito che la condanna alle spese secondo il principio della soccombenza è la regola. La compensazione è una facoltà discrezionale del giudice di merito, e la sua mancata applicazione non richiede una motivazione specifica. Inoltre, il diritto al compenso per la fase decisionale spetta anche se non vengono depositate le memorie conclusionali.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio fondamentale per la libertà di stampa: il diritto di cronaca giudiziaria prevale sull’onore e la reputazione del singolo quando la notizia è veritiera (poiché basata su atti giudiziari), di interesse pubblico e riportata in modo continente. La continenza non viene meno per l’uso di espressioni “graffianti” o “colorite”, se queste sono funzionali a rappresentare la realtà descritta negli atti dell’indagine e non trasmodano in un attacco personale gratuito. Questa ordinanza ribadisce che il giudice deve valutare il contesto complessivo e non singole frasi estrapolate, offrendo così una tutela robusta al lavoro giornalistico che informa l’opinione pubblica su vicende giudiziarie rilevanti.

Quando riportare una notizia basata su un’indagine penale costituisce esercizio legittimo del diritto di cronaca e non diffamazione?
Secondo la Corte, ciò avviene quando la notizia è fondata su atti giudiziari veritieri (come un’ordinanza di custodia cautelare), è di interesse pubblico e viene esposta in modo continente. Anche espressioni aspre o “colorite” sono ammesse se contestualizzate nell’ipotesi accusatoria e non si traducono in un attacco personale gratuito.

La pubblicazione di estratti di un’ordinanza di custodia cautelare può dar luogo a un risarcimento per danno alla reputazione?
Non automaticamente. La Corte chiarisce che il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (art. 684 c.p.) tutela primariamente il corretto funzionamento della giustizia, non la reputazione dei singoli. Un diritto al risarcimento sorge solo se la pubblicazione integra anche, in via autonoma, gli estremi della diffamazione, cosa che nel caso di specie è stata esclusa.

Il giudice è obbligato a motivare la decisione di non compensare le spese legali tra le parti?
No. La Corte ha ribadito che la compensazione delle spese è un potere discrezionale del giudice di merito. La sua scelta di non avvalersene, applicando la regola generale della soccombenza (chi perde paga), non richiede una motivazione specifica e non può essere censurata in Cassazione per questo motivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati