Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11034 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11034 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6283/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale legale
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, con domiciliazione digitale legale
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1367/2022 depositata il 10/08/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME:
FATTI DI CAUSA
Per quanto qui interessa, NOME COGNOME agiva davanti al Tribunale di Palermo, per ottenere il risarcimento del danno, che avrebbe subito per sei articoli diffamatori pubblicati su ‘La Repubblica’ come quotidiano e sito internet dal marzo al ottobre 2010, nei confronti del direttore responsabile del quotidiano NOME COGNOMEnei confronti del quale però rinunciava successivamente l’azione) e nei confronti di RAGIONE_SOCIALE poi RAGIONE_SOCIALE; il Tribunale, con sentenza n. 6181/2016, accoglieva la domanda soltanto per uno degli articoli, pubblicato il 23 ottobre 2021, condannando al risarcimento nella misura di euro 5.000, oltre interessi dalla decisione al saldo, il resto respingendo perché gli altri non sarebbero stati articoli lesivi e comunque essendovi applicabile il diritto di cronaca quale scriminante.
Il COGNOME proponeva appello principale e RAGIONE_SOCIALE appello incidentale.
La Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 1406/2022, rigettava l’appello principale e accoglieva quello incidentale, respingendo così in toto la domanda risarcitoria.
Il COGNOME ha proposto ricorso, suddiviso in due motivi, da cui RAGIONE_SOCIALEsi è difesa con controricorso. Memorie sono state depositate da entrambe le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione degli articoli 595 c.p., 2043 e 2059, 2697 c.c. in relazione agli articoli 2, 21, 27 Cost., e 6, 8 e 10 CEDU, nonché falsa applicazione degli articoli 51 e 59, ultimo comma, c.p.
1.1 La C orte territoriale non avrebbe ‘fatto corretto uso dell’imprescindibile criterio della verità, requisito essenziale del diritto di cronaca’ già a partire da Cass. 5259/1984: non si dovrebbero introdurre ‘arbitrarie aggiunte o indebite insinuazioni’, dovendo il giornalista porsi rispetto ai fatti come semplice teste, animato da dolus bonus e da ius narrandi (Cass. pen. 15086/2019). Per questo si critica una parte della motivazione della sentenza (ricorso, pagine 11-12), argomentando sul ‘significato dell’espressione <>’, richiamando letteratura (Machiavelli e Manzoni) e il decreto di archiviazione poi ottenuto dal ricorrente sulle accuse di NOME COGNOME – su cui si era mossa l’inchiesta oggetto degli articoli -, e altresì negando che ‘lo scaltro espediente dell’utilizzo del condizionale’ e ‘l’alternanza sapiente tra apparenti giudizi di stima e subdole tecniche insinuanti’ possano ‘neutralizzare’ l’effetto diffamatorio, integrando piuttosto il difetto di leale chiarezza, richiesto da Cass. 5259/1984.
Inoltre, a differenza di quanto asserisce il giudice d’appello a pagina 8 della sentenza (‘La veridicità della notizia circa l’avvenuta identificazione del COGNOME e la ricezione da parte del medesimo di un avviso di garanzia portano, poi, a considerare <> e, comunque non lesiva, l’incriminata espressione <>, sia perché al condizionale, così da far intendere che si tratta solo di un’ipotesi, sia perché l’identificazione del COGNOME, realmente appartenente ai Servizi segreti, come il soggetto accusato dal COGNOME per le asserite minacce ricevute potrebbe considerarsi in senso tecnico e nel gergo giornalistico quale primo riscontro delle dichiarazioni del
propalante’), contro le ‘condivisibili premesse’, la verità putativa non deriverebbe dalla mera verosimiglianza, occorrendo ‘la dimostrazione dell’involontarietà dell’errore’, e quindi del controllo della fonte e dell’attendibilità di quest’ultima (si invoca Cass. 29265/2022).
Ancora, si censura che in tale frase sia rinvenibile ‘la categoria del <>’, argomentando pure sotto questo profilo.
Si giunge inoltre ad affermare che il giudice d’appello avrebbe ‘fatto malgoverno’ degli articoli 595, 51 e 59, ultimo comma, c.p. ‘delle norme civilistiche in tema di prova e in materia di responsabilità civile conseguente a lesione dei diritti della personalità’ qui si invoca l’articolo 2697 c.c. e si critica poi come ‘ancor più soggetta a censura’ la motivazione sull’articolo del 23 ottobre 2010 per cui è stato accolto l’appello incidentale, in relazione al suo titolo ‘nuovi riscontri’: il giudice d’appello avrebbe ritenuto che l’aggettivo non fosse sufficiente per ‘inficiare la veridicità’, e ‘rinvia a quanto argomentato con riferimento all’articolo del 21. 10. 2010’, onde il ricorrente stesso non può che ‘rinviare’ a quanto già detto sulla ‘pregnanza del termine <>’.
Si sostiene, altresì, che con l’espressione ‘nuovi riscontri’, lasciando intendere che già ve ne erano, il giornalista avrebbe ‘offerto … un resoconto infedele in chiave colpevolista’, oltrepassando quindi i limiti della cronaca giudiziaria.
Vi sarebbe pure un passo della sentenza del giudice d’appello che ritiene ‘legittimo, e rispondente al canone della continenza’, l’accostare il COGNOME a soggetti delle forze dell’ordine ‘infedeli e condannati per il c.d. <>’, perché (si invoca, tra l’altro, Cass. 11259/2007) ‘il giudizio di liceità della cronaca non può limitarsi ad una valutazione degli elementi formali ed estrinseci’, dovendosi esaminare anche l”uso di espedienti
stilistici’ che possano condurre i lettori giudizi negativi sulla persona.
Ancora, la C orte territoriale avrebbe violato l’articolo 2697 c.c. per avere attribuito l’onere probatorio della verità delle notizie diffuse non al giornalista ma ‘ad una parte diversa’.
1.2 Questo motivo, come si è visto assai ampio (occupa nel ricorso le pagine 7-22), altro non è che una revisione fattuale della decisione del giudice d’appello, invocando sì anche varia giurisprudenza ma invocandone la pretesa violazione in modo assertivo e generico, e soprattutto estrapolando artificiosamente i passi dalla complessiva struttura motivazionale.
Il motivo è pertanto da qualificarsi inammissibile perché diretto a edificare un terzo grado di merito, e ciò a prescindere dal limite dell’articolo 348 ter c.p.c.
Il secondo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., denuncia violazione degli articoli 132, secondo comma, n.4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost: la motivazione della sentenza impugnata sarebbe meramente apparente e manifestamente illogica.
2.1 Si afferma che la motivazione della sentenza, ‘impugnata in relazione agli articoli del 21. 10. 2010 e del 23. 10. 2010, presenta profili di insanabile contraddittorietà e di palese incongruità’ al punto da rendere ‘in alcuni tratti del tutto incomprensibile l’iter logico’.
Si torna peraltro alla questione dei riscontri, il giudice d’appello avendo asserito che la giurisprudenza di legittimità riconosce insufficiente la mera verosimiglianza, ma avendo in seguito pure affermato: ‘La veridicità della notizia circa l’avvenuta identificazione del Piraino e la ricezione da parte del medesimo di un avviso di garanzia portano, poi, a considerare <> e, comunque non lesiva, l’incriminata espressione <>’. Si
argomenta pure sulla verosimiglianza, sull’avviso di garanzia e sull’appartenenza ai Servizi segreti.
Si conclude prospettando, in sostanza, ‘un utilizzo abusivo della professione giornalistica’.
2.2 Premesso che la frase ‘ La veridicità della notizia circa l’avvenuta identificazione del Piraino e la ricezione da parte del medesimo di un avviso di garanzia portano, poi, a considerare <> e, comunque non lesiva, l’incriminata espressione <> ‘ era già stata considerata nel primo motivo, non si può negare che anche in questo si è dinanzi, in realtà, ad un tentativo di costruzione di un terzo grado di merito, in relazione comunque ad un passo artificiosamente estrapolato (e ancora attinente alla parte della sentenza che porterebbe comunque all’applicazione dell’articolo 348 ter c.p.c.).
In parte qua , dunque, il motivo patisce inammissibilità; merita invece rigetto laddove denuncia -ed è una denuncia manifestamente infondata, visto il contenuto della sentenza – la pretesa assenza di motivazione.
In effetti, a ben guardare entrambi i motivi del ricorso ‘ lavorano ‘ -il primo del tutto, il secondo in misura prevalente in quanto vi è introdotta anche la censura sull’esistenza di vera motivazione -sulla scomposizione dell’argomentazione motivazionale per giungere poi a criticare in via diretta il fatto o comunque a censurare elementi secondari/insufficienti.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di € 5000, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2025