Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20484 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20484 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12630-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1020/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 09/12/2022 R.G.N. 774/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Sanzione disciplinare conservativa
R.G.N.12630/2023
COGNOME
Rep.
Ud 20/05/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di NOME COGNOME confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la sua domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità della sanzione conservativa della sospensione dal lavoro per dieci giorni comminatagli il 3.6.2020 dalla Coop Lombardia RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. per motivazione apparente della sentenza impugnata.
Il motivo è infondato.
La sentenza non presenta alcuna delle anomalie motivazionali di cui all’art. 132, come definite dalle S.U. di questa Corte (v. sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014), ma contiene una adeguata esplicazione del percorso logico che sorregge il decisum e che fa leva sia sulla duplice qualifica di ‘socio’ e di ‘dipendente’ spesa dal lavoratore nelle missive dirette alla società e sia sul contenuto delle stesse, che descrivono alcuni episodi attinenti allo svolgimento del rapporto di lavoro e denunciano specifici inadempimenti datoriali.
Con il secondo motivo è dedotta la falsa applicazione dell’art. 208 c.c.n.l. per i dipendenti da imprese della distribuzione
cooperativa e dell’art. 2106 c.c., per errata equiparazione della figura del socio a quella di dipendente di società cooperativa.
Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 1, comma 2, lett. a) della legge n. 142 del 2001, per mancato riconoscimento del diritto del socio di partecipare alla definizione della struttura di direzione e della conduzione dell’impresa.
Il secondo e il terzo motivo, da trattate congiuntamente per la stretta connessione logica, sono inammissibili. Essi censurano nella sostanza l’interpretazione data dalla Corte di appello alle lettere inviate dall’attuale ricorrente alla società, senza nea nche fare cenno alla violazione dei canoni ermeneutici e fondando la denunciata violazione delle disposizioni di legge e di contratto collettivo sulla interpretazione propugnata col ricorso, alternativa a quella adottata dai giudici di appello.
L’attuale ricorrente, partendo dal presupposto di aver speso nella redazione delle lettere la sua qualità di socio e non quella di lavoratore dipendente, in contrasto con quanto accertato nella sentenza impugnata, argomenta che la Corte d’appello, nel giudicare legittima la sanzione inflittagli, avrebbe impedito l’esercizio del diritto di critica e delle prerogative spettantigli quale socio di cooperativa.
Le censure, così formulate, non si confrontano con la ratio decidendi della decisione impugnata, che ha invece ritenuto riferibili le missive in questione ad entrambe le qualifiche, di dipendente e di socio, e su tale presupposto ha giudicato sussistente l’addebito disciplinare; esse si rivelano come tali inammissibili.
Quanto finora esposto conduce al rigetto del ricorso.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 20 maggio 2025.