Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24323 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24323 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22851/2020 proposto da:
NOME COGNOME, elett.te domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che, unitamente all’AVV_NOTAIO, la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dal l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2767/2019 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, depositata il 21/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/7/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 21/11/2019, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni pretesamente subiti dall’attrice in conseguenza delle asserite dichiarazioni diffamatorie imputate alla responsabilità del COGNOME;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come il giudice di primo grado avesse correttamente escluso il carattere diffamatorio delle dichiarazioni rese dal COGNOME, essendosi lo stesso attenuto ai criteri della verità putativa delle informazioni pubblicamente diffuse, dell’adeguata continenza espressiva e del pubblico interesse della notizia, con la conseguenza integrale ascrizione delle relative dichiarazioni al legittimo esercizio del diritto di critica politica nei confronti dell’attività della COGNOME, nella sua veste amministratrice comunale, dovendo ritenersi che le affermazioni rese dal COGNOME non fossero intese a colpire la persona della COGNOME bensì, più in generale, lo stile politico della formazione politica di appartenenza della stessa, e che la censurata mancata denuncia dei fatti penalmente rilevanti dalla stessa subiti non si riferisse alla mancata denuncia agli organi pubblici preposti (nella specie tempestivamente inoltrata), bensì alla sola omessa tempestiva informazione di tali fatti all’opinione pubblica attraverso la stampa;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria;
considerato che,
con l’unico motivo di impugnazione proposto, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2, 3 e 21 Cost., degli artt. 595 e 51 c.p. e della legge n. 47/48, per avere la corte territoriale erroneamente escluso il valore diffamatorio delle affermazioni rese dal COGNOME, ritenendo legittimo il paragone dallo stesso istituito tra la ricorrente e i ‘brigatisti’ o gli ‘ex travestiti’, nonché ritenendo corrispondente a verità la circostanza di fatto consistita nella mancata denuncia, da parte della COGNOME, dei fatti penalmente rilevanti dalla stessa sofferti, riferendo detta trascuratezza alla sola omessa tempestiva informazione di tali fatti alla stampa;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in esame, la ricorrente -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si sia limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo ;
a tale ultimo riguardo, è appena il caso di rilevare come, tanto la circostanza del mancato riferimento dell’accostamento a ‘i brigatisti’ o agli ‘ex travestiti’ alla COGNOME (viceversa rapportato alla formazione
politica a cui la stessa apparteneva), quanto la circostanza che la rilevata (dal COGNOME) mancata denuncia, da parte della COGNOME, dei fatti penalmente rilevanti di cui la stessa era stata vittima riguardasse la tempestiva informazione della pubblica opinione (e non già la denuncia agli organi di polizia giudiziaria), costituiscano apprezzamenti che entrambi i giudici del merito hanno conAVV_NOTAIOo sui contenuti delle dichiarazioni asseritamente diffamatorie del COGNOME, e dunque dei ‘fatti di causa’ ;
una diversa interpretazione di tali ‘fatti di causa’, incline a prospettarli in termini diversi rispetto a quelli condivisi dai giudici di merito (nel senso che il paragone coi brigatisti e gli ex travestiti avrebbe riguardato la COGNOME e che la censurata mancata denuncia si riferisse alla denuncia alla polizia giudiziaria), non può in nessun caso integrare il vizio di falsa applicazione di legge, poiché il ricorso di tale specifico vizio necessariamente postula che l’identità dei ‘fatti di causa’ (così come ricostruiti dal giudice di merito) non sia messa in discussione dall’istante ;
nel caso di specie, pertanto, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dall’odiern a ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura
diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro, 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione